Venti ore di treno
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”XVIII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2013
Premio speciale
"Trofeo Cav. Ugo Bettiol"
Venti ore di treno
di Vanes Ferlini - Imola
Dieci minuti e sarà tutto finito. Se almeno smettesse di nevicare ... Mi sono offerto volontario, mio Dio fa che non me ne debba pentire. Se potessi scappare lontano, in una grotta da eremita, e aspettare che tutto finisca per tornare a casa. Cosa c'entro io con tutto questo? A cosa mi serve questo fucile? Perché sono finito su questa montagna maledetta? Che pensieri mi vengono, sono proprio un vigliacco. La colonna di tedeschi è stata segnalata appena dietro il crinale. Dieci minuti ancora.
Dovevo giungere alla soglia dei quarant'anni per rendermi conto delle mie origini... e tutto per pura coincidenza. Una vecchia scatola metallica ritrovata in soffitta, dentro un baule di cianfrusaglie. Un libretto militare, una foto in bianco e nero ingiallita ai bordi, una medaglia annerita dal tempo, alcune lettere ancora nelle proprie buste. Il timbro postale reca il fascio littorio e varie date dei primi anni di guerra. Se mio padre non fosse morto all'improvviso, se io non avessi la mania dell'ordine, se avessi buttato via le cianfrusaglie senza aprire il baule...
La neve ha imbiancato tutto, sembra di essere in una favola. Le montagne appaiono ancor più maestose, sembra di galleggiare nel silenzio. Al mio paese c'è il mare e non nevica mai. Chissà che effetto fa il sangue sparso sulla neve... Non devo aver paura, è da tanto che aspettavo questo momento, l'occasione per dimostrare di valere qualcosa. Dopo, potrò dire: "C'ero anch'io, ho fatto la mia parte". Non voglio passare da eroe, gli eroi fanno una brutta fine.
Voglio solo alzarmi un mattino senza più udire piani di guerra, senza che nessuno mi dica quanta gente dovrò ammazzare... anche se sono tedeschi, che in fondo non è nemmeno colpa loro.
Mio padre mi ha parlato assai poco dei suoi genitori. Del resto non gli ho mai fatto molte domande ma ormai è tardi e questo pensiero mi rode. Da quello che so, mia nonna paterna doveva essere una donna tutta d'un pezzo, ligia alla religione e ai precetti morali, poco disposta al perdono. Mio nonno invece era un idealista e uomo d'azione al tempo stesso. Di lui mio padre non parlava volentieri, probabilmente perché se n'era andato di casa quando era molto piccolo e non l'aveva mai conosciuto.
Ho una gran voglia di scappare, abbandonare il fucile e fuggire da qualche parte dove non si odano spari né scoppi di granate. Qui ogni più piccolo rumore viene amplificato dall’eco della montagna, uno sparo si ode a chilometri di distanza.
Perdonami, Franco. Se mi stai guardando perdonami, non dicevo sul serio. Le tue ultime parole mi sono rimaste impresse come marchio di fuoco: "Non per vendetta, ma per la libertà... la libertà di tutti". Non sono coraggioso come te, Franco, però ti prometto che farò la mia parte, perché i nostri figli crescano in un paese libero, almeno. Mi ricordo quando scherzavamo, tu e io, che siamo nati all'ombra dei fichi d'india e non abbiamo mai visto la neve, proprio noi siamo venuti a combattere quassù, praticamente in un paese straniero, che si chiama sempre Italia ma per la nostra gente è come fosse un altro, e ci hanno preso per matti e non hanno capito che non si può più nascondere la testa nella sabbia, che è finito il tempo che "ci penserà qualcun altro, non è cosa nostra".
Se conquistiamo la libertà, ogni cosa potrà essere nostra. Non vogliamo più essere italiani di serie inferiore, come ci hanno trattato finora: mafiosi e terroni... vi facciamo vedere noi chi siamo, noi che abbiamo il cuore più grande di tutti e il coraggio di morire lontano dalla nostra terra.
Venti ore di treno da Belluno a Palermo. Non amo l'aereo, preferisco restare con i piedi a terra, e questo viaggio che sembra interminabile è anche un percorso all'indietro nel tempo. Sapevo che i miei nonni paterni erano siciliani e pure mio padre era nato laggiù (dove laggiù, per i veneti, indica qualsiasi località a sud del Po) ma lo consideravo un dato oggettivo, senza particolare valore, non mi ero mai soffermato a pensarci... finché non ho ritrovato le lettere del nonno, la sua medaglia, la foto con i baffetti e i capelli neri impomatati.
Devo stare tranquillo, le cariche esploderanno tutte, le abbiamo piazzate bene, forse non ci sarà bisogno di sparare neanche un colpo. La neve si sta accumulando, maledizione. Speriamo non faccia danni all’innesco delle cariche. Mio Dio, fa che tutto vada bene ... Forse è inutile invocare Dio, forse Lui non ascolta nemmeno. Del resto sto cercando di ammazzare un gran numero di uomini ... uomini come noi, solo che stanno dall'altra parte. Forse nemmeno loro vogliono fare la guerra. Forse sarebbe sufficiente far fuori gli ufficiali del convoglio e gli altri si arrenderanno tranquillamente. Magari pure gli ufficiali sono stanchi della guerra. Magari vorrebbero arrendersi. E invece salteranno tutti in aria. E quelli che si salveranno, li dovremo far fuori uno ad uno. Non possiamo fallire, è una missione troppo importante.
Nella mia cuccetta, alla luce del neon e ai sobbalzi delle rotaie, cerco per l'ennesima volta di decifrare le lettere. La calligrafia è spigolosa, ci sono molte cancellature, termini forse dialettali e comunque per me incomprensibili. Inoltre mi procura una sensazione fastidiosa entrare nell'intimità di questo sconosciuto che era mio nonno ma il desiderio di sapere è troppo forte. Credo comunque che mittenti e destinatari non siano più di questo mondo e spero mi perdoneranno.
Nonostante la lontananza nel tempo, sento che queste lettere (e gli altri oggetti della scatola che porto in valigia) mi appartengono, non tanto perché mi sono giunti in modo fortuito ma piuttosto perché in essi ci sono le mie radici, c'è quella parte di me che ho ritrovato e che solo ora incomincio a conoscere. È come ricongiungersi a qualcuno che si era perduto, ma senza saperlo. All'improvviso mi viene un'idea. Con precauzione apro la valigia, cercando di non svegliare i miei coinquilini di cuccetta, tiro fuori il notebook e metto la chiavetta.
Signore scusami se mi rivolgo a Te implorando coraggio, di certo non approvi tutto questo. Forse te ne stai lassù e guardi milioni di persone ammazzarsi a vicenda senza misericordia e aspetti che la carneficina sia finita per emettere il tuo giudizio. O forse invece stai piangendo e questa neve fai scendere come lacrime, che saranno presto sporche di nuovo sangue. O magari stai pensando di mandare nuovamente sulla terra il tuo figliolo... ce ne sarebbe bisogno. Avrei dovuto scrivere una lettera a casa ma ci hanno imposto di essere fantasmi, nessuno deve sapere dove siamo e cosa facciamo. Chissà cosa si prova a morire, proprio nell'attimo in cui l'alito ti lascia per sempre. Franco ha avuto un giorno intero per capire di essere alla fine eppure in quel lungo giorno non ha proferito una parola di rimpianto anzi, mi ha incoraggiato a continuare.
"Pensa a tutti quelli che sono morti nel Risorgimento" mi diceva. "Questo è il nostro Risorgimento, dobbiamo cacciare via lo straniero, altrimenti come faremo a guardare i nostri figli negli occhi? Siamo tutti sulla stessa barca... e quando al nostro paese sapranno quello che abbiamo fatto, saranno orgogliosi di noi, magari ci dedicano una piazza o una via" e si metteva a ridere, nonostante stesse morendo.
Già, il nostro paese. Donne col fazzoletto nero dietro le persiane e vecchi seduti su sedie impagliate, davanti l'uscio di casa. E quando il postino arriva, non è mai una buona notizia.
Ho digitato su Google il nome e cognome di mio nonno. La ricerca ha estratto alcuni siti con brevi note che vertono sulla seconda guerra mondiale e la Resistenza. Rimango sorpreso e rammaricato del fatto che ci sia gente che sa chi era e cosa ha fatto, mentre per me finora era un perfetto sconosciuto. Scopro che dopo l'8 settembre 1943 riuscì a tornare a casa (un paesino nell'entroterra palermitano) ma subito se ne partì per il Veneto, aggregandosi alla resistenza partigiana e combattendo in numerose azioni di guerriglia. Morto durante un attacco del Distaccamento Garibaldi a un convoglio tedesco. Medaglia d'argento alla memoria.
Credo sia questo che mio padre non gli perdonò mai: rinunciare alla salvezza e al futuro con la famiglia per combattere per la libertà che oltretutto, all'epoca, era una parola vacua, dato che si soffriva la fame e il pane era molto più necessario della libertà.
Coraggio, ancora pochi minuti. Non devo aver paura, sono il tiratore migliore della squadra, sarà un gioco da ragazzi. E questo cos'è? Mi pare di sentire un profumo. Oh mio Dio, è violetta, il profumo della mia Carmelina! È svanito... ma in questa stagione non ci sono viole, me lo sono immaginato. Mio Dio, non voglio morire! Voglio riabbracciare la mia Carmelina e tuffarmi ancora nella sua cascata di capelli neri e inebriarmi di violetta fino a stordirmi e dimenticare tutto. E poi non voglio che Giuliano cresca orfano, senza nemmeno il ricordo di suo padre. Voglio almeno vedere per cosa ho combattuto e poi devo insegnare a mio figlio l'orgoglio di essere siciliano e italiano al tempo stesso. È morto il tempo in cui il mondo finiva ai margini del paese e tutto quello che c'era oltre non ci riguardava. La terra di queste montagne coperte di neve è uguale alla terra riarsa del nostro paese ... questo mio figlio deve saperlo e solo io posso farglielo capire.
Mi rigiro una lettera tra le mani mentre in testa, come una tigre in gabbia, si dibatte un interrogativo: cosa abbia spinto il nonno a lasciare la famiglia, la sua terra natìa e una relativa sicurezza per andare a combattere i tedeschi in Veneto, una terra che, a qualsiasi siciliano di allora, appariva talmente lontana da sembrare quasi straniera. Di certo mio nonno aveva una prospettiva diversa, una visione molto più ampia di quella dei suoi compaesani... e anche della mia. Mentre il treno prosegue il suo viaggio monotono nel cuore della notte e non so nemmeno quale parte dell'Italia stiamo attraversando in questo momento, mi convinco che lui possedeva per davvero degli ideali, quelli che trasformano un uomo qualunque in un eroe, quelli che hanno permesso alla mia generazione di nascere e vivere in un paese libero e unito, quelli che ci stiamo dimenticando forse perché li consideriamo scontati o appartenenti al passato e quindi lontani, se non addirittura defunti. Il nonno però sapeva che la roccia delle Dolomiti è fatta della stessa sostanza che anima la terra riarsa di Sicilia... e per questo le amava entrambe, allo stesso modo.
Sento il rombo dei motori, stanno arrivando. Sarò costretto a sparare, a uccidere. Non è la prima volta, ma ogni volta diventa più difficile. Sparerò a qualcuno che starà pensando alla sua ragazza, lontana, da qualche parte in Germania... forse usa anche lei il profumo alla violetta. Se non sparo prima io, spareranno loro, è inevitabile. E poi devo vendicare Franco.
Ma che senso ha la vendetta? Allunga la catena dell'odio, ci tiene prigionieri del passato, oscura il futuro e le speranze di cambiamento. No, niente vendetta. Devo combattere per poter ancora accarezzare i capelli di Carmelina e insegnare a Giuliano come cresce un uomo libero, perché quello che abbiamo fatto non vada perso... perché non debba accadere più.
Più di un'ora di corriera da Palermo al paese. Vedo scorrere decine di chilometri di colline indorate dai campi di grano, punteggiate dal verde di olivi ed eucalipti, annerite dalle sterpaglie bruciate. L'ultima lettera che mio nonno scrisse è indirizzata alla moglie. Contiene la raccomandazione, nel caso non fosse tornato a casa, di rivolgersi a un cugino, di cui riporta in stampatello nome, cognome e indirizzo. È la meta di questo mio viaggio improvvisato e anche un po' sconsiderato, eppure dovevo farlo, per conoscere mio nonno e soprattutto per conoscere meglio me stesso. Mi sono sempre considerato veneto e invece sono siciliano anzi, entrambe le cose e ancora di più: il nonno mi ha insegnato, seppur in ritardo, il senso di appartenenza a una terra unita dal sacrificio di chi parlava molti dialetti diversi ma la stessa lingua.
La colonna di camion e blindati sembra un serpentone scodinzolante sulla strada innevata. Devo stare calmo, ognuno di "noi sa ciò che deve fare, abbiamo studiato il piano nei dettagli.
Accidenti quanti camion, è proprio un convoglio importante. Se proprio devo morire, che almeno ne valga la pena, maledizione. Basta paura, basta pensare al paese, a Carmelina. L'avanguardia sta arrivando sul ponte... non devo preoccuparmi, li farò fuori tutti, sono immortale... ecco, il centro del convoglio è sul ponte... la prima carica esplode... e le altre? Perché non brillano le altre? Maledizione, hanno fatto cilecca, il ponte non è crollato!
Siamo fottuti, siamo in pochi contro la colonna tedesca... dobbiamo attaccarli prima che loro si organizzino, dobbiamo fermarli a tutti i costi sono il caposquadra, non devo aver paura, devo dare l'esempio fuori tutti! e mi slancio in avanti... sto arrivando, Franco... coraggio!
Ho scaricato una mappa da internet ma l'indirizzo che mio nonno scrisse non esiste. Chiedo in giro ma nessuno lo conosce, finché un'anziana signora mi dà un'indicazione. Parla solo dialetto, per me incomprensibile, per cui ci intendiamo a gesti. Trovo finalmente la porta e busso. Silenzio. Picchio più forte.
La porticina di legno si apre e dall'oscurità dell'interno emerge la figura esile di un vecchietto con il bastone e la fronte rugosa che sembra un campo arato. Lo saluto e gli mostro la lettera con l'indirizzo. La prende con mano ferma. Rimane a fissarla a lungo, tanto che temo non sappia leggere, poi la piega con cura, la infila nella tasca della giacca, quindi mi abbraccia, mi bacia tre volte, la barba ispida mi punge il viso, avverto il calore del suo corpo gracile ma ancora terribilmente vitale.
Rimango sorpreso, confuso. Un poco titubante, ricambio l'abbraccio ed è come se fosse mio nonno... e in un istante si annulla il tempo e ogni distanza.