Uno della bassa - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Uno della bassa

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2007
Premio speciale
"Trofeo Cav. Ugo Bettiol"

Uno della bassa

di Silvia Faini - Bovezzo (BS)



Era la seconda volta che prendeva il treno in vita sua. La prima era stata per la cresima, a Roma, con don Luigi. Che anno era poi? Il ‘69, forse il ‘70, si rispose, mentre il treno filava tra i meli carichi di frutti della Val Venosta. Non pareva vero, a lui nato e cresciuto in campagna, che ci fossero tante montagne al mondo e che l’avessero mandato fra gli alpini, anziché in fanteria come tutti quelli del paese.
“Avrai freddo, ti ho messo in valigia le calze pesanti” gli aveva detto sua madre quel mattino con le lacrime agli occhi, stringendosi a quel suo ragazzone biondo che fingeva di essere un uomo.
Suo padre invece, mani in tasca e pipa in bocca, aveva borbottato: “Telefona, eh? Non far stare in pensiero tua madre...“. Tua madre, già, come se a lui, nascosto dietro i suoi modi asciutti, quasi bruschi, non importasse molto del figlio alto ormai una spanna più di lui.
Gli piacevano quei posti, quelle case linde, quegli orti dalle insalate rigogliose. C’era voluto poco per abituarsi al bello e anche se le persone, in paese, erano di poche parole, in caserma si respirava quasi un’aria da ordinata vacanza, per merito dei modi signorili del maggiore Ronchi. Si era abituato anche al silenzio della sera, all’infinità di stelle che a casa non gli parevano così lustre, e ai suoni del bosco durante le marce. Aveva perfino imparato a sciare e a camminare con le racchette nella neve alta fino al ginocchio.
Quando li chiamarono, quel mattino di marzo, capì subito, dalla faccia del tenente Albisi, che non era cosa da poco. “Ha nevicato, stanotte - disse il comandante - e i carabinieri, che hanno già perlustrato tutta la zona attorno alla baita, hanno chiesto il nostro aiuto: i cani non sono riusciti a trovare tracce. Quel bambino deve saltar fuori!”.
“Porca vacca, un bambino!” sussurrò a mezza bocca Bergomi.
“Questa è la foto” - stava dicendo il tenente - “fatela passare. Sua madre dice che era dietro casa, giocava sulla catasta di assi e lei gli gettava un’occhiata dalla finestra. Aveva in mano una macchinina rossa, e pantaloni scuri, di fustagno, e una giacca a vento azzurra... come i suoi occhi” terminò il tenente cui era tornata in mano la fotografia. ‘’Vesta, tu e Billante con me” disse poi rivolgendosi a Piero, quando furono all’esterno. Impartì altri brevi ordini, si mise alla testa della colonna e si incamminò. Aveva smesso di nevicare e in paese alcuni stavano già sgombrando dalla neve i marciapiedi e scuotevano il capo sconfortati vedendoli passare: non era la prima volta che un bambino si perdeva, ma non con quel tempo e per una notte intera.
Quando arrivarono alla baita una giovane donna esile si affacciò alla soglia, poi restò lì, col volto più bianco della neve e i capelli sottili, biondi come lino, che il vento le muoveva sul volto. Piero ne incrociò lo sguardo per un istante e sentì una fitta allo stomaco: aveva gli stessi occhi del bambino.
“Ha visto, tenente? Era la mamma...“ disse a mezza bocca.
Albisi non replicò; si fermò, esaminò la montagna che si ergeva ripida davanti a loro, impartì alcuni ordini e si incamminò nuovamente: gli uomini si aprirono a ventaglio, scandagliando con le pertiche il terreno ad ogni passo.
“Sarà vivo, tenente, con ‘sto freddo?” chiese ancora Piero.
“Speriamo, Vesta, speriamo...“ sospirò Albisi.
La fatica della salita cominciava a farsi sentire e il sole, che splendeva in un cielo sgombro di nubi, non riusciva a scaldare l’aria. Quando furono al torrente Albisi li fece entrare in quelle due spanne d’acqua, per perlustrare fra i massi e i rami caduti.
“Ferrato!” - disse Billante rivolgendosi a Piero - “io non lo so se ce la faccio, sai?”
“Chiamami col mio nome, Billante, non con quello del mio paese! A far cosa non ce la fai?” sorrise poi, vedendo il compagno slittare sui massi viscidi.
“Ferrato” - replicò questi ignorando quanto gli era stato detto - “io non so se ce la faccio a vedere un bambino morto...“.
“Chi lo dice che sia morto?”
“Fa freddo ... Morirei anch’io a star fuori tutta notte...“.
‘’Non può essere qui, è troppo lontano da casa. Abbiamo camminato quasi due ore, come ci arriva un bambino di nemmeno tre anni fin qui, da solo? Forse invece è andato giù, verso il paese... “.
“No, hanno già guardato i carabinieri. Quello era un lavoro più facile, le salite a noi le hanno lasciate!” rispose, ansimando sconsolato, il commilitone.
Fermarono la perlustrazione quando arrivarono alla cascata. Albisi si guardò attorno, scrutò a lungo col binocolo i pendii innevati, poi prese la cartina della zona e la controllò un’ultima volta. “Proviamo nel bosco” decise sospirando. Si rimisero in marcia, aprendosi un varco nella neve, che il vento, in alcuni avvallamenti, aveva accumulato fino all’altezza della vita.
“Vesta e Billante, voi su, verso quella radura. Fate passare il bosco palmo a palmo, esplorate in ogni cespuglio, smuovete ogni ramo. Non può essere scomparso, non ci sono grotte o crepacci. Forza!”.
Frugavano in silenzio, a una decina di passi l’uno dall’altro. Piero, più rapido e col passo più leggero, cercava di non fare troppo rumore, per cogliere eventuali suoni: il pianto del bambino, i suoi passettini nella neve. Forse era abituato a quel clima, era nato lì; in paese, dicevano, ogni anno nevicava tanto, e al bimbo di sicuro piaceva. Anche lui, a casa, da piccolo giocava a palle di neve. “Ferrato!” - lo chiamò da sotto Billante.
- “lo non trovo niente, né impronte, né cespugli smossi...“.
“Nemmeno io!” replicò Piero, stanco e affamato, e alzò il viso per controllare la posizione del sole. E fu in quel momento, in quel breve istante in cui lo sguardo si posò sulla cresta soprastante che gli sembrò di vedere qualcosa di scuro muoversi in fretta, dove gli abeti lasciavano il posto ai larici dalle chiome ormai spoglie. Fu una frazione di secondo. Piero restò col fiato sospeso e una fitta allo stomaco. No, non poteva essere il bambino: non aveva visto nulla di azzurro, ma una forma scura, grande. Un camoscio, si disse, e si fermò a riflettere. No, non poteva essere un camoscio, non aveva la pancia bianca. Un cervo, uno stambecco forse, che era sceso a cercarsi il cibo. Aveva sentito dire che, da quelli parti, quando il gelo induriva anche i prati attorno al paese, i selvatici affamati si spingevano fino al cimitero e andavano a brucare i fiori intirizziti sulle tombe. Uno stambecco, decise infine con l’istinto da cacciatore ereditato dal nonno che, alla Bassa, cacciava lepri e uccelli per rimpinguare i magri pasti familiari, e ne cercò le tracce, spingendosi con passo risoluto verso l’alto, spostando i rami che gli intralciavano il cammino e gli graffiavano il viso. Si fermò ansante quando vide delle piste e si girò verso il basso, a osservare Billante che avanzava a fatica lungo il pendio. Col binocolo scrutò i compagni, scorse il tenente Albisi al limitare del bosco che parlava con un carabiniere e controllava le mappe. Si asciugò gli occhi inumiditi dal freddo, girò il binocolo verso l’alto e, con un sussulto al cuore, vide la preda. Ma l’urlo di vittoria che aveva in gola gli morì sulle labbra, perché nel piccolo spazio tondo del binocolo si delineò una figura umana, vestita di scuro, che procedeva a tentoni fra gli alberi radi, stringendosi addosso un fagotto altrettanto scuro, da cui sfuggivano però lembi azzurri.
“Cristo santo!” mormorò Piero sentendosi gelare, non per il freddo che gli ghiacciava il sudore addosso, ma per la consapevolezza che quell’uomo si stava portando via il bambino. “Allora è vivo” pensò in un barlume di speranza, e stava per gridare a Billante che si precipitasse per acciuffare quel maledetto farabutto, quando si rese conto che il suo richiamo avrebbe messo maggiormente in allarme l’uomo, che sicuramente già si sentiva braccato, ma che pensava di farla franca. Certo conosceva quei posti, pensò Piero, forse sapeva che di là, oltre il valico, c’era una baita, un ricovero per gli attrezzi, forse solo un buco nella montagna.
Allora tacque. Valutò che Billante avrebbe capito, si sarebbe messo sulle sue tracce, e riprese la caccia. Cercò di muoversi senza far rumore, augurandosi che l’uomo non si voltasse e procedesse piano, gravato dal peso del bambino. “Te la farò pagare!” mormorava fra sé, incespicando negli ostacoli che non vedeva perché i suoi occhi erano fissi verso la forma scura che, nonostante il bambino, si muoveva più agilmente di lui.
“Te la farò pagare” sibilava stringendo i denti, senza più sentire il freddo che gli mordeva la schiena e rimuginando, senza volerlo, sulle storie sentite da piccolo, sulla strega Romerina che - raccontava la nonna - di notte si aggirava per le campagne, tutta vestita di nero, e portava via i bambini capricciosi. E lui, che non si sentiva mai la coscienza a posto, quando era ora di coricarsi, infilava anche la testa sotto le coperte, perché la Romerina non lo potesse vedere.
Si fermò, scrutò la sua preda col binocolo; l’uomo si voltò, svelando una barba caprina e due occhi spiritati. “È così allora l’uomo nero!” pensò istintivamente Piero. Il bambino, infagottato in una coperta, non si muoveva.
“Che diavolo gli hai fatto, maledetto bastardo?” urlò qualcosa dentro Piero, che sentì lo stomaco azzannato da una tagliola. Strinse i pugni e riprese ad avanzare, più cautamente, perché ormai gli alberi erano così radi che se l’uomo avesse sentito il suo passo si sarebbe messo a correre, o avrebbe scaraventato il bambino a terra. Doveva prenderlo alle spalle, strappargli il bambino prima che avesse tempo di reagire, metterlo al sicuro e poi fargliela pagare. Oh no, non gli avrebbe permesso di scappare: avrebbe pagato, pagato per tutte le carogne come lui.
Il vento doveva essergli favorevole perché ormai erano a una decina di passi e l’uomo non si era accorto della sua presenza. Piero lo vide fermarsi a riprendere fiato, forse convinto di averla scampata, e si appiattì contro un macigno, ma non quanto avrebbe voluto. Lo sguardo dell’uomo, più abile del suo a riconoscere le forme della montagna, lo indovinò accanto al masso, o forse fu il sole che, battendo sul fucile, lo tradì. L’uomo si girò completamente, guardò Piero dritto negli occhi con sguardo di sfida, digrignò i denti inferocito e sollevò verso l’alto il bambino, come per scagliarlo lontano.
“No, fermo! Non ti farò niente, fermo!” disse Piero allora mostrandosi con le mani alzate. - “Mettilo a terra, mettilo giù!” disse, mimando con le mani il gesto, per essere sicuro che l’uomo, forse disabituato all’italiano, imparato solo a scuola, capisse.
“Giù, calma, giù!” diceva Piero, che, con la coda dell’occhio, aveva scorto Billante che si inerpicava lungo le sue orme.
L’uomo gettò un urlo disumano, sollevò il piccolo ancora più in alto e quando ormai Piero temeva che lo lanciasse contro una roccia, se lo strinse di nuovo al petto e fuggì con la velocità di un capriolo. Ma Piero fu pronto a reagire: gettò a terra lo zaino e si buttò all’inseguimento. Non gli ci volle molto, con l’agilità dei suoi vent’anni, per raggiungerlo e afferrarlo per i capelli, per la barba, per la giacca, per tutto ciò che gli capitava fra le mani. L’uomo, divincolandosi e scalciando come un cavallo imbizzarrito, cercava di scrollarselo di dosso, schiumando dalla bocca e farfugliando parole indecifrabili. Piero, infine, riuscì a strappargli il bambino e sentì che era vivo, che si muoveva. Sfuggì alla presa dell’uomo che ululava come un cane ferito e che gli si avventava addosso. “Billante!” gridò Piero con voce strozzata. Il compagno alzò il viso, lo vide, capì al volo e corse nella sua direzione. Piero sferrò all’uomo un pugno che lo fece barcollare, appoggiò il bambino sotto un mugo e ingaggiò una lotta furibonda. “Adesso te la faccio pagare, bastardo maledetto! Cosa gli hai fatto, carogna?” ansimava, rotolandosi con lui nella neve e fra le pietre. L’uomo era forte, aveva braccia che stringevano come presse, e mani come artigli; riuscì a rialzarsi e cercò di correre a riprendersi il bambino, ma Piero lo afferrò per un lembo dei pantaloni e lo atterrò; in un attimo gli fu sopra e iniziò a tempestarlo di pugni, poi gli piantò un ginocchio sulla gola e sarebbe arrivato a soffocarlo se una voce, da dietro, non avesse urlato: “Basta Ferrato, che fai, lo vuoi ammazzare?”. Si voltò, tremando per la tensione: Billante stringeva fra le braccia il bambino, di cui si vedevano gli occhi gonfi di pianto e di sonno.
“Lascialo adesso, Piero!” disse Billante chiamandolo, per la prima volta da mesi, con il suo nome. Lui allora, col fiato corto, staccò il ginocchio dalla gola dell’uomo, che restò a terra privo di sensi.
“Tieni il bambino, che a lui penso io!” gli disse Billante porgendoglielo. Piero, ancora tremante, lo prese e lo abbracciò, mentre il compagno legava l’uomo con la sua corda da arrampicata; quando ebbe finito si volse. “Che fai, Ferrato? Non piangere, che bagni la creatura!” sorrise, cercando di scherzare. Piero si asciugò le lacrime col dorso della mano, scostò la coperta, esaminò rapidamente il bambino.
“Forse non gli ha fatto niente...“ disse Billante.
“Già, forse... - sospirò Piero. - Adesso che succederà?”.
“Torniamo giù dal tenente e gli spieghiamo che quella bestia è rotolata più volte, fino a perdere i sensi; ma abbiamo recuperato il bambino e lo portiamo da sua madre!”.
La giovane donna bionda ringraziava e piangeva, e continuava ad andare e venire dalla camera in cui Hansi dormiva, per sincerarsi che fosse ancora lì, proprio lì, mentre i ragazzi bevevano il caffè e mangiavano i suoi biscotti speziati.
Era quasi buio quando si rimisero in strada per tornare in caserma e i radi passanti li salutavano sorridendo con cenni del capo. “Tenente, signor tenente... - sussurrò Piero al comandante. - c’è una cabina, posso telefonare?”.
“Vuoi vantarti con la morosa? Sì, vai!” sorrise Albisi e Piero si fece di brace. “Ciao, sono io!” disse all’apparecchio. “Oddio, cosa ti è successo?” - chiese sua madre dall’altra parte. - “Hai telefonato ieri...“. “Niente... Non c’è Paolo?”. “Paolo? Sì, certo... Aspetta!” si udì. Poi: “Paolo, corri c’è il tuo fratellone al telefono!” e dei passetti di bambino.
Dopo un istante Piero ritornò fra gli altri, che gli batterono pacche sulle spalle: “Mora o bionda? No, non dire che è rossa! Le rosse sono tremende!”.
Piero ridacchiò, scrollò le spalle e li lasciò dire: finalmente si sentiva il cuore in pace.
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