Una lavagna bianca
Tutte le edizioni > Edizione18
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”XVIII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2013
Segnalato
Una lavagna bianca
di Laura Casati Gatti - Voghera (PV)
Si faceva chiamare Jack perché il nome gli piaceva. Sapeva di romanzo e di avventura, di imprese eroiche e di coraggio sconfinato. Quel coraggio che, dicevano, lo caratterizzava. Camminava dietro il muro della trincea, o di quel che ne restava, il berretto calcato in testa. Era il suo elmetto.
Era un comandante infaticabile ed esperto. Aveva combattuto decine di battaglie, centinaia forse, nemmeno lui lo ricordava più; aveva strisciato nel fango, sopportato la fame e la sete, aveva aspettato acquattato in un improbabile nascondiglio trattenendo il fiato e col cuore in tumulto nel petto, aveva gridato e attaccato correndo più veloce del vento, senza pensare, senza vedere, senza sentire.
Era stato onorato di molte medaglie, per la sua determinazione e la fedeltà alla bandiera. Era stato portato ad esempio, quale ufficiale valoroso e generoso. Era ammirato e rispettato.
Ma a Jack tutto questo scivolava sopra come a una corazza. Nessuno sapeva cosa nascondesse il suo passato, né cosa gli riservasse il futuro. Aveva occhi scuri che scrutavano l'orizzonte e vivevano nel presente.
Quella sera l'orizzonte era rosso come il fuoco, la dolomite delle montagne già leggermente tinta di rosa. Nulla di buono si prospettava per quella notte. Non si può riposare se gli occhi sono feriti di rosso. Rosso color sangue, color del vino, colore di incendi e di rumori, di chiasso, di grida.
Jack era pensieroso e si era chiuso in quel silenzio che precedeva le decisioni importanti. Attaccare o difendersi? Attendere? Prevenire? Nascondersi? Cogliere di sorpresa? La responsabilità di una decisione era sua soltanto. Responsabilità per quei soldati che gli erano stati affidati, per le loro famiglie, il loro futuro. Responsabilità di garantire loro un futuro, innanzitutto.
L'esercito nemico li aveva accerchiati. Aveva conquistato la posizione prima di loro e quella avanti a loro. Brutta faccenda.
Jack guardò fugacemente il sottotenente Marcone che consultava delle mappe, visibilmente preoccupato, e gli si avvicinò. Il filo che li teneva uniti era sottile ma indissolubile. Ne avevano passate troppe insieme. Il loro era un legame che andava al di là della stima, al di là dell'amicizia, oltre l'affetto e la solidarietà. Era condivisione di immagini, odori, respiri. Era come ritrovarsi l'uno nell'altro quasi in uno specchio. Nell'amico Marcone, Jack vedeva riflesse le sue stesse rughe, le sue speranze, le sue stesse ferite.
"Dobbiamo optare per il piano B". Jack aveva una voce ferma e risoluta.
"Gli uomini non saranno d'accordo, comandante".
"Non abbiamo altra scelta. Soldato Hans, soldato Pierre, voglio che teniate d'occhio la selva ad ovest, non sparate a meno che non sia assolutamente necessario. Non dobbiamo destare sospetti".
Il soldato Pierre e il soldato Hans si materializzarono dalla penombra, dove stavano pulendo distrattamente i loro fucili, e allo stesso modo si smaterializzarono all'istante, dirigendosi alla postazione loro assegnata, senza una parola. Non si misero sull'attenti e non fecero il saluto.
A Jack non importava, purché obbedissero seduta stante. Fece cenno a Marcone ed insieme scesero nel forte. Prepararono il loro piano, diedero istruzioni agli uomini.
Bisognava farsi trovare pronti. Bisognava attendere l'assalto nemico, accoglierlo in casa propria, e al segnale contrattaccare. Far credere che la postazione fosse stata abbandonata, poi sferzare il colpo mortale.
Ci voleva sangue freddo. Non bisognava cedere alla paura. Aspettare il segnale, aspettare, aspettare. Sarebbe arrivato il momento opportuno, non bisognava anticiparlo, in questo stava l'abilità, facilmente confondibile con l'incoscienza.
E poi non esitare: al segnale, buttarsi. Jack aveva imparato che ogni esitazione poteva essere fatale. Per questo di fronte agli uomini doveva mostrarsi sicuro. Saldo, come l'acciaio. Se gli uomini avessero annusato la sua paura, avrebbero esitato, e tutto sarebbe stato vano.
Ma l'attesa non piace a nessuno. L'attesa brucia nelle vene, taglia il respiro, toglie lucidità. L'attesa uccide più che l'attacco.
Jack attendeva, teso come la corda di un arco pronto a scoccare. Marcone controllava la situazione. I soldati Hans e Pierre trattenevano il fiato, acquattati tra i cespugli.
La notte arrivò in silenzio. Scivolò sui monti, dilagò nel bosco, riempì ogni angolo più nascosto. Nel buio nessuno osava muovere un muscolo.
A volte il silenzio può essere tremendo. E' lì, nel silenzio assoluto, che ritrovi i tuoi sogni e i tuoi incubi, i tuoi amici e i tuoi nemici, il tuo presente, passato e futuro, tutti concentrati in un solo soffio a stento sospeso. Un turbinio immobile per un istante che sembra una vita intera. E cos'è poi, la vita, se non un istante, nel respiro dell'universo? Una meteora che scivola via nel cielo notturno, e forse nessuno nemmeno la vede? Eppure, è sempre scia luminosa. E per un istante, per quell' istante, se qualcuno la guarda ne vede il vigore e ne scopre la fragilità, ma soprattutto, resta incantato dalla sua infinita bellezza.
E poi il silenzio fu interrotto. Nel buio si ascolta ogni rumore, si annusano gli odori, si sentono le ombre, senza bisogno di vederle. Qualcuno stava per entrare, circospetto, nel forte. Qualcuno dei nemici. Aveva portato avanti per primo il fucile, aveva sparato.
Jack sentì i suoi uomini sussultare senza rumore. Non si è mai abituati abbastanza allo scoppio degli spari. Da due milioni di anni, il genere umano è abituato al rumore del vento, della pioggia, allo scroscio delle cascate, lo sciabordare dei fiumi, persino al rombo del tuono. Solo da qualche centinaio di anni, l'uomo ha conosciuto l'esplosione delle armi. Per questo sussulta. Le armi, quelle da fuoco, non sono nella natura dell'uomo. Come non lo sono i motori, i claxon, le officine, le discoteche. La natura dell'uomo è impregnata di universo, dello scorrere dei giorni come onde sulla spiaggia, uno dopo l'altro, uno che si ritira in risacca, l'altro che impetuoso spinge tutto nuovamente avanti. La natura ha il suo ritmo, calmo e inesorabile. Le stagioni dei prati e degli alberi, l'erosione invisibile delle rocce, il sole asciuga, la pioggia bagna, il tempo risana.
Ma una vita spezzata prima dei suoi giorni, chi la risana? Non c'è pioggia, sole o vento che possano farlo.
Le armi da fuoco sono prepotenti e devastanti. Strappano l'uomo alla natura e lo portano in luoghi che non sono il suo luogo. Come si riposa nell'aridità? Come si ha pace nello sconquasso? Come conoscersi e ritrovare sé stessi quando tutto, attorno, è solo paura e confusione?
L'uomo avanzò guardingo. Due passi. Attese, fiutò l'aria stagnante della trincea, l'odore di pallottole e polvere da sparo. Si voltò e fece un cenno. Altri uomini entrarono al buio, piano dapprima, poi in gruppo.
Quando furono all'interno Jack diede il segnale. L'inferno bruciò in un istante. Un fuoco che alimenta un incendio dilaga con forza distruttrice.
Vi furono spari, schianti, grida. I soldati Hans e Pierre uscirono dai loro rifugi per aiutare i compagni. Fermavano l'esercito nemico prima che potesse invadere il forte.
E mentre fuori impazzava la battaglia, nel forte tornò il silenzio. Tutti i nemici giacevano a terra. I soldati di Jack erano sporchi e affannati. Marcone incontrò gli occhi dell'amico, impenetrabili agli altri, così familiari a lui. Annuì per incoraggiamento. Di fronte alla distruzione, Jack ritrovò la voce. “Fuori!” gridò con tutto il fiato che gli era rimasto e che pensava di non avere più.
A quel grido, gli uomini si precipitarono fuori dal forte, a raggiungere Hans e Pierre. Un soldato cadde ferito e Marcone si chinò a raccoglierlo, per portarlo al riparo. Jack correva, inseguiva, saltava rami, sassi, radici. Aveva gambe da cerbiatto cacciato. Correva in discesa, salita, incespicava, si nascondeva dietro un masso e correva di nuovo. Hans lo seguiva e gli parava le spalle. Pierre con Marcone sparavano nel bosco, senza fermarsi. L'adrenalina dell'attesa si era liberata, ed ora travolgeva ogni cosa. Il cuore batteva al ritmo degli spari. Nulla più si poteva vedere, sentire, capire.
E poi li vidi avvicinarsi, scalare un masso, saltare giù. Hans aveva in mano un bastone, Pierre lanciava pigne tra i cespugli. Gridavano cose incomprensibili, ma dal timbro delle voci sembravano felici. Il nemico era stato respinto. Avevano vinto.
Alessandro si stese ai miei piedi, sporco di terra e di erba, e appiccicoso di sudore. Si tolse il berretto e con esso lasciò cadere il soprannome di Jack. Mi disse “ho sete”.
Tirai fuori dallo zaino il thermos con il the caldo, chiamai i piccoli soldati a raccolta, Michele paffuto, abbronzato e gongolante, Alessandro più grande, più magro e slanciato, e i due nuovi amici trovati lì al rifugio: Hans, austriaco, biondissimo, figlio dei due gestori, e Pierre, francese, lentigginoso e caparbio, figlio di una coppia giovane, che come me e mio marito, erano lì in vacanza.
Diedi loro da bere, a tutti e quattro. Insieme risposero grazie, danke, merci. Rimasero lì seduti a bere, riposarsi e guardare le montagne, sotto il sole caldo e rassicurante. Guardandoli così, insieme, dopo aver giocato spietatamente alla guerra tutti dalla stessa parte contro un nemico ignoto e senza volto, pensai che il cuore di un bambino è una lavagna bianca, e tutto può imparare, la violenza, l'amicizia, l'uguaglianza, la vendetta, la discriminazione, la pietà. A noi adulti il compito di guidarlo nella giusta direzione, senza dimenticare di imparare dalla sua innocenza.
“Ale, Michele, è ora di tornare a valle”. I miei figli raccolsero i loro zainetti. Salutarono gli amici soldati, cominciammo la discesa.
Sui prati pascolavano mandrie di mucche tranquille.
“Giochiamo che eravamo dei pastori e portavamo a pascolare le mucche?” chiese Michele trotterellando con passo allegro.
Alessandro raccolse un bastone da terra. “Andiamo, Nino, le mucche hanno bisogno di noi. Bianchina è un po' stanca, tienila d'occhio tu, che non resti indietro sola, io penso a Nerina che deve essere munta”.
E mentre il sole calava e l'aria si faceva fresca, io e mio marito scendevamo al paese in compagnia di due simpatici pastorelli.