Terzo classificato
Tutte le edizioni > Edizione scuola > 2023-20-05
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE RISERVATO ALLA SCUOLA
PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna e il suo mondo”III EDIZIONE - Vittorio Veneto 20 Maggio 2023
Terzo classificato
Il cambiamento
di Aurora Piai - Mareno di Piave (TV)
Buongiorno a tutti sono Bianca, ho quarantasette anni e abito ormai da ben vent’anni anni nella mia amata città di Lavarone. Non ho sempre abitato qua e sono sicura che se, quando avevo sedici anni, qualcuno mi avesse detto che sarei andata a vivere in montagna mi sarei messa a ridere e gli avrei chiesto se stava scherzando. Questo perché ero la tipica ragazza di città viziata e convinta che abitare li (tuttala stagione ovviamente, perché durante l’inverno ci andavo spesso pure io) significasse solamente essere poveri e, lasciatemi passare il termine, “sfigati”. Adesso ho capito invece che la montagna è un luogo magnifico da cui puoi imparare molto, ad esempio a me ha fatto capire come dare il giusto valore ad ogni cosa. Ma bando alle ciance, ora vi racconterò la mia storia e come mai ho cambiato punto di vista su questo luogo.
Prima del compimento dei miei diciassette anni la mia vita era un po’ come ogni adolescente del giorno d’oggi vorrebbe: ero la ragazza popolare della scuola, avevo una famiglia ricca, frequentavo i migliori corsi di danza classica della zona e avevo un ragazzo fantastico e una grande scorta di amici. Un giorno mentre ero a “il centro” successe una cosa molto strana: andai a pagare con altre due mie amiche e la carta non andava. Non capivo che fare e i miei genitori non rispondevano alle chiamate, quindi alla fine mi trovai obbligata ad andarmene lasciando lì tutto ciò che dovevo comprare.
Tornata a casa andai subito per lamentarmi coi miei, perché mi avevano fatto fare brutta figura, e li trovai entrambi in salotto con la faccia seria e cupa.
Mi dissero che dovevano parlarmi e in quel momento ero troppo preoccupata da dimenticarmi persino cosa dovevo dir loro . Mio padre iniziò dicendo che la sua azienda era andata in fallimento ancora un bel po’ di tempo fa e che avevano fatto finta di niente con me per non farmelo pesare, pensavano che riuscissero a venirne fuori ma non fu così e adesso dovevamo lasciare casa e andare ad abitare da mio nonno Lino. Non sapevo che pensare, e scoppiai a piangere dicendo che non volevo, ma i miei con risolutezza e allo stesso tempo dolcezza mi dissero che non avevamo scelta e di andare a preparare la valigia che la mattina seguente saremmo partiti. Corsi in camera ancora disperata e mi misi a incastrare nella valigia, che mamma aveva preparato in camera, più cose possibili. Quando vidi che non ci stava più niente riempii pure lo zaino e dopo mi distesi sul letto ancora sotto sopra da ciò che era accaduto.
Mi misi a pensare sul fatto che il paesino dove abitava mio nonno paterno era perso nel nulla, era il tipico villaggio di campagna con poca connessione, con un solo bar e senza nient’altro. Da piccola abitavo lì ma l’unica cosa che ricordo erano i numerosi campi in cui mi divertivo a correre; poi mio padre aprì l’azienda e ci trasferimmo. Arrivata a scuola tutti mi prendevo in giro dandomi della contadina ed escludendomi, poi la mia famiglia si arricchì e quel breve tratto di vissuto venne eliminato da tutti e soprattutto da me.
É per questo che tornare lì mi risultava così pesante, inoltre non ero abituata a quello stile di vita e mio nonno mi incuteva timore.
L’ultimo ricordo di lui era una grandissima litigata che aveva fatto con papà un giorno in cui eravamo andati a trovarlo e che ci aveva cacciato urlando, non so bene però il perché, credo fosse per il fatto che non accettava il nostro trasferimento a Milano.
Quella notte non dormii quasi nulla e l’indomani partii. Arrivati in un paesino in Valsugana scendemmo dalla macchina e andammo subito dal nonno che ci accolse molto felicemente. La casa era una piccola baita in mezzo a un enorme distesa di campi, era molto carina da vedere ma non ero
minimamente abituata ad abitazioni del genere.
Appena scesa a mala pena salutai, me ne andai subito in camera, che era un piccolo ambiente con un semplice letto e una scrivania. Era la stanza di mio padre e aveva ancora qualche scatolone pieno di sue vecchie foto e giochi. Mi distesi nel letto e subito provai a video chiamare i miei amici ma niente, non c’era il Wi-fi. Disperata mi distesi a piansi per almeno un’ora, dopo non sapendo che fare aprii la scatola e vi vidi moltissime foto di papà da piccolo. Aveva un sorriso grandissimo e sembrava molto felice, non lo vedevo sorridere da così tanto tempo. In seguito, non sapendo che fare, decisi di provare a dare una possibilità a quel luogo e andai a vedere il villaggio.
Mentre camminavo mi imbattei in un ragazzo che aveva circa la mia età e che mi venne a salutare chiedendomi chi fossi e appreso che venivo dalla città e sentito il mio modo acido di parlare che avevo in quel momento, se ne andò. Mi ricordo che, appena svoltò l’angolo, me la presi molto, anche se ora capisco perché in quel momento si comportò così.
Tornai a casa e i seguenti giorni continuarono uguali, non riuscivo proprio ad adattarmi a quello stile di vita, però man mano iniziai a diventare meno scortese e arrivai pure ad aiutare ogni tanto papà e nonno con gli animali e nel campo.
Dopo circa due settimane i miei genitori decisero che era il momento di mandarmi a scuola e così il giorno seguente iniziai. La prima persona che vidi fu il ragazzo del primo giorno che scoprii chiamarsi Marco. So che sarei dovuta andarmi a scusare per il mio comportamento nei suoi confronti, ma avevo ancora la sensazione di superiorità e quindi continuai con il comportamento iniziale.
Così andò avanti per più giorni, le ore scolastiche erano terribili perché non parlavo con nessuno e a casa non era meglio perché quelli che credevo runici mi iniziarono ad ignorare, infatti svanirono anche le poche chiamate che all’inizio svolgevo e mi ritrovai da sola. L’unica cosa che mi distraeva era passare del tempo con nonno e soprattutto con mio padre, anche perché non stavo mai con lui quando eravamo a casa.
Posso dire che la montagna mi ha quindi insegnato, come prima cosa, l’importanza della famiglia che è sempre li a sostenerti. Pian piano iniziai ad adattarmi a stare a casa, quasi quasi quella routine quotidiana mi iniziò a piacere perché i miei genitori rendevano bello anche quello che non avrei creduto nemmeno di fare. L’unica cosa è che mi continuavo a sentire sola, perché anche se avessi voluto fare amicizia con qualcuno tutti mi avevano etichettata come la cittadina e nessuno mi si avvicinava più, tranne per Marco.
Non so perché quel ragazzo mi dava sui nervi, ma decisi di provare a conoscerlo e pian piano diventammo amici. Fu sempre carino con me, anche se non me lo meritavo, e fu lui ad aiutarmi a diventare runica di altri ragazzi della classe. La mia vita aveva preso tutta un’altra piega ed ero maturata. Avevo capito il senso della famiglia, l’importanza delle cose che possedevo e soprattutto cos’era l’amicizia. Posso dire che in tutti i sensi Marco era il mio migliore amico e il primo vero che avessi trovato, perché quelli che avevo prima in città e di cui mi ero sempre fidata capii mi stavano vicino solo per i soldi e per ciò che possedevo. La montagna possiamo dire che in un certo senso che mi migliorò e al giorno d’oggi non smetterò mai di ringraziare i miei genitori per avermi portato lì.
Comunque un giorno mentre stavamo girando per strada sentimmo l’anziano del villaggio che stava raccontando la leggenda di una città a un gruppo di bambini. Questa città era la città di Borgo Carrero, situata poco distante da qui e per questo decidemmo di andarvi. Ma ora vi racconto la sua storia: essa sorge nel comune di Grignano e ha ora il nome di Ospitale.
In origine si narra si chiamasse Carrero o Careno e che fosse stata seppellita da una frana voluta da Dio come punizione.
Si racconta infatti che i cittadini non avessero avuto carità nei confronti di un pellegrino, sotto le cui spoglie c’era Gesù. Infatti un giorno un medicante bussò per le case del villaggio a chiedere del pane e dell’acqua, ma la gente lo cacciò sempre, pure lo stesso sacerdote perché aveva le vesti sporche. Alla fine arrivò da una povera donna che gli avrebbe volentieri offerto del pane se lo avesse avuto ma non lo aveva e in quel momento l’uomo le disse di girarsi e vide delle pagnotte in forno.
Ne diede un po’ ai figli e il restante a quel strano uomo che gli disse di barricarsi in casa fino alla mattina seguente e così lei fece. Poi Gesù andò nella montagna e scatenò una tempesta e il mattino seguente la donna vide che il paese non c’era più e che la chiesa era diventata un enorme voragine, il così detto “bus del Diau”.
In realtà probabilmente Carrero era un nome che fu assegnato alla città di Ospedaletto, e non un ulteriore villaggio nato prima, e le frane fanno parte delle numerose piogge che colpirono la Valsugana. Però per spiegare la catastrofe accaduta, come d’abitudine in quel periodo, fu usata questa storia che aveva lo scopo di fare proto catechismo.
Nonostante sapessimo che non era rimasto nulla di quella misteriosa città, io e Marco decidemmo comunque di andarci, non so aspettandoci cosa.
Proponemmo I’idea anche al resto del gruppo che la rifiutò, ma comunque io e lui decidemmo dì andare e durante il weekend ci incamminammo nel luogo che ci era stato indicato da quell’anziano.
Arrivati, come ci aspettavamo, trovammo solamente macerie, ma non so per quale motivo iniziammo a fantasticare su come dovesse essere il villaggio e il pomeriggio passò come se in questo mucchio di mattoni ci fosse qualcosa di magico.
Fu un pomeriggio fantastico e non so come spiegarlo, ma credo che in entrambi si mosse qualcosa come se seriamente fosse stata fatta una magia in quel luogo.
Quel giorno lo ricordo nei minimi dettagli pure oggi.
Dal quel momento io e Marco diventammo inseparabili e ora siamo sposati e con 2 figli.
Comunque.finendo con il racconto, dopo quattro anni i miei genitori furono in grado di tornare in città, ma poi decisero di stabilirsi definitivamente nel villaggio del nonno comprando una casa.
Questo perché era lì che papà aveva ritrovato la felicità ed era proprio lì che volevano vivere. Io fui felice di questa notizia e poi decisi con Marco di
andare a vivere a Lavarone, dove ora felicemente viviamo la nostra vita. Questo è un paese bellissimo che ha tutto quello che serve per condurre una vita in serenità. Inoltre è pieno di bellezze come il forte Belvedere, il Parco Palù.
Il Lido Marzari, il sentiero delle Sorgenti, Neveland e molti altri luoghi che i miei figli possono vedere quotidianamente e questo mi riempie di gioia. Infine sono contenta di farli crescere in un ambiente che a me ha insegnato molto e ora posso dire che quello che sto vivendo è tutto quello che voglio dalla vita.
Aurora Piai
Classe 3^C Liceo
“Marcantonio Flaminio” Vittorio Veneto