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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"XXX EDIZIONE Teviso, 11 gennaio 2025
Segnalato
Un avversario per amico
di Barel Danila
Cappella Maggiore (TV)
«Caro Andrey, questa volta hai vinto tu. Ma ti aspetto a casa mia tra due anni e lì ti batterò!»Così, con questo promettente arrivederci, Silvano congedò l'atleta rivale che gli aveva appena soffiato la medaglia più preziosa.
Si scambiarono un'affettuosa pacca sulla spalla accompagnata da uno sguardo di stima e amichevole provocazione, entrambi consapevoli che quella sarebbe stata solo una tappa di un avvincente viaggio di sfide e vittorie condivise.
I due giovani avevano avuto modo di gareggiare e di farsi notare anche in precedenti competizioni, ma fu solo in Svezia, ai campionati mondiali del 1954, che si imposero come campioni d'oro e d'argento. Un risultato inaspettato che, nei pochi minuti di una discesa libera, li aveva catapultati nell'olimpo dello sci mondiale.
Nei due anni che seguirono Andrey e Silvano, seppur a distanza di migliaia di chilometri, in due paesi tanto diversi per storia e per cultura, condussero vite parallele. Si allenarono al massimo delle loro possibilità, con sacrificio e dedizione, accomunati dallo stesso obiettivo: partecipare alle Olimpiadi invernali di Cortina. Oltre che per soddisfazione e orgoglio personale, volevano rappresentare al meglio il proprio paese: da una parte l'Unione Sovietica, che per la prima volta partecipava alle Olimpiadi invernali, e dall'altra l'Italia, paese ospitante che, inutile dirlo, ci teneva a fare bella figura sia per l'organizzazione che per i risultati sportivi.
Fin dall'assegnazione dei Giochi le polemiche non mancarono, come del resto avviene fisiologicamente in occasioni di tale portata.
Dibattiti tra contrari e favorevoli si sprecavano, a partire dai vertici istituzionali fino a coinvolgere i frequentatori del bar del paese e di qualsivoglia luogo di aggregazione. Mentre alcuni vedevano l'evento come un'opportunità unica per emergere sulla scena internazionale e per stimolare l'economia e la cultura locali, altri erano fortemente critici nei confronti dei costi economici, dell'impatto ambientale e delle implicazioni politiche.
Alla fine di tanto parlare e sparlare, più si avvicinava la fatidica data di inizio, più tutti, indistintamente, si sentivano emotivamente coinvolti. Anche i più scettici, finalmente zittita la lingua tagliente, si lasciarono contagiare dal romantico spirito olimpico dimostrandosi anche loro impazienti di assistere a quei Giochi che avevano tanto criticato.
Sembrava tutto perfetto, l’atmosfera era elettrizzante e gli animi erano colmi di aspettative entusiasmanti, e ovviamente non poteva mancare l'imprevisto. Quello del 1956 fu un inverno straordinariamente freddo, con abbondante ghiaccio ma pochissima neve.
Dettaglio per nulla trascurabile se si voleva sciare! E allora che fare? Silvano, ancor prima del comitato organizzatore, intuì subito la soluzione. Ce l’aveva sotto gli occhi, in casa. Fratello e papà erano Alpini, e, se era vera l’affermazione scolpita sulla parete del monte Doss Trento, per gli Alpini non esiste l’impossibile! Fu così che alle Penne Nere venne affidata una missione complicata, ma fortunatamente pacifica. Armati di gerle e carriole, come pazienti e silenziosi certosini, raccolsero la poca neve che imbiancava i crinali delle montagne e la portarono dove mancava, al cospetto del grande Trampolino Italia, la sinuosa scarpa dal tacco vertiginoso che fiera dominava l’altura di Zuel. Il tutto svolto a meno venti gradi, dietro le quinte, lontano dagli onori della cronaca.
«Altro che medaglie agli atleti, a noi dovrebbero darle, visto il lavoro che abbiamo fatto!» si autoelogiò Luigi, il fratello di Silvano, una volta terminata l’impresa.
Intanto gli atleti cominciavano ad arrivare, riempendo gli alberghi della valle e portando una sana e frizzante ventata di internazionalità. Giornalisti e cronisti animavano le vie cittadine alla ricerca di curiosità, e magari di qualche segreto da raccontare al mondo intero, che, ancora ferito dall’ultimo conflitto mondiale, era affamato di storie liete.
Andrey con tutta la squadra sovietica alloggiava all’hotel Tre Croci. Il suo primo pensiero fu di contattare Silvano.
Dai memorabili mondiali del 1954 i due avevano intrattenuto una cordiale corrispondenza con la quale ciascuno si teneva aggiornato sui progressi o momenti difficili dell’altro. Uno scambio di opinioni e visioni che spronava entrambi a impegnarsi e a misurarsi costantemente con le proprie capacità e i propri limiti. Silvano, nato e cresciuto a Cortina, conosceva il paese e le montagne come le proprie tasche e fu per lui un piacere e un orgoglio accompagnare Andrey alla scoperta di quei luoghi tanto cari che si apprestavano a diventare il teatro naturale delle loro esibizioni, che si preannunciavano spettacolari. La vicinanza di un avversario serviva poi paradossalmente a stemperare la tensione che inevitabilmente imperava sovrana.
Il giorno seguente iniziò a spargersi la voce di un probabile ritiro di Andrey dalle Olimpiadi a causa di una non ben specificata indisposizione. Una notizia bomba che nell’arco di qualche ora scatenò le più svariate versioni dei fatti.
A Silvano precipitò il mondo addosso, preoccupato e dispiaciuto per quanto stava accadendo all’amico.
Per questo abbandonò gli allenamenti e si precipitò da lui. Doveva rendersi conto personalmente della gravità della situazione.
Non fu semplice raggiungere l'alloggio senza farsi notare e bloccare da qualcuno. Ma grazie alla complicità di un cameriere, vecchio e affezionato compagno di scuola che lo fece intrufolare dal retro, riuscì a incontrare Andrey. Bastò uno sguardo per capire che non stava per niente bene. Era pallido e sciupato, tanto da sembrare persino dimagrito; nonostante il medico gli avesse già somministrato dei farmaci, continuava ad accusare improvvisi crampi addominali che lo facevano contorcere sul letto.
E poi c'era quella febbre cocciuta che non diminuiva, segno che forse la terapia non era quella giusta, o peggio ancora, che la diagnosi era sbagliata.
«Ma ti hanno spiegato cosa ti è capitato?» chiese Silvano.
«Figurati! Parlano tra di loro e non mi dicono niente. Sono andato a dormire ieri sera che stavo benissimo.
Poi stanotte mi sono svegliato in un lago di sudore, mi girava la testa e avevo un tale mal di pancia che mi mancava il respiro.»
Silvano lo osservava avvilito e rassegnato. In quelle condizioni non poteva certo pensare di stare sugli sci, e mancavano appena due giorni alle gare! Troppo poco tempo per immaginare un recupero, e troppo sconvolgente immaginare di solcare le piste senza l’avversario del cuore, quello da battere, che temi ma che allo stesso tempo ti dà la carica, facendoti tirar fuori doti e forze impensate.
Il film che si era girato nella mente non sarebbe più andato in onda. Fine della storia!
Come spesso accade, è proprio chi sta male a consolare chi sta bene. Con quell’ironia che a volte è l’unico valido modo per affrontare e accettare le avversità, Andrey stuzzicò l'amico: «Dai, in fondo dovresti essere contento. Senza di me forse avrai qualche probabilità di vincere!»
Il sorriso sbocciò spontaneo sul loro volto. Seppur vestendo panni diversi, per non dire opposti, provavano empaticamente la stessa commozione mista a rabbia, la stessa voglia di mollare, sconfortati da un amaro senso di impotenza e ingiustizia.
Accennando un timido saluto con la mano, Silvano uscì dalla stanza: «Torno stasera a vedere come stai.» E nel frattempo si interrogava su cosa avrebbe potuto fare, ma non gli veniva in mente nulla di sensato se non confidare in un miracolo. Considerando però la sua fede poco vivace, forse era meglio non illudersi. Anziché tornare agli allenamenti, preferì andare a casa, a sfogarsi con sua madre, donna dalla saggezza semplice e pratica, che sapeva sempre trovare le parole giuste per ogni circostanza, che sapeva mettere ordine negli animi confusi.
E infatti così fu.
«Io se fossi in te andrei da Fiorella, la maga delle erbe... hai presente quella vecchietta che vive da eremita su a Mandres?
I suoi rimedi alle erbe funzionano davvero. C'è chi viene anche da molto lontano.»
Un bagliore di speranza illuminò gli occhi di Silvano. In fondo perché non fare un tentativo? Anche lui aveva sentito tanto parlare di lei. Certo c’era chi la chiamava maga, chi fata, chi strega. Ma a quel punto poco importava, non era il caso di inchiodarsi a disquisire sulla definizione. Meglio verificare sul campo, tanto nella peggiore delle ipotesi avrebbe fatto un giro a vuoto, comunque utile come esercizio fisico.
Si alzò di scatto dalla sedia, ringraziò la madre con un amorevole bacio sulla fronte e spinto da un ritrovato ottimismo si incamminò alla volta di Mandres. Incalzato dall’impazienza di arrivare, che lo spingeva ad accelerare sempre di più il passo, giunse da Fiorella sfigurato dalla fatica, ma contento. Cercò in fretta e furia di ricomporsi, bussò energicamente alla porta e da lì a breve gli comparve una donna sulla settantina, magra, capelli color cenere aggrovigliati in una treccia disordinata e vispi occhi verdi in perfetta sintonia con le sue erbe.
«Buongiorno giovanotto. Dai, non stare lì impalato Entra, che fuori fa freddo!»
Silvano non ebbe il tempo di proferire parola che si ritrovò seduto in cucina davanti a una tazza contenente un liquido fumante e profumato, forse tè.
«Bevi che così ti scaldi. Scommetto che non hai mai bevuto un infuso di timo e piantaggine buono come il mio.»
Il tè non era di sicuro la sua bevanda preferita, ma nonostante l’iniziale perplessità, dovette riconoscere che il bollente intruglio era squisito, un vero toccasana che gli aprì naso e polmoni, e che servì a sciogliere il ghiaccio. Con la voce tremante spiegò il motivo della sua visita. Era visibilmente emozionato e la donna percepì subito il sincero legame che univa il ragazzo al suo diretto avversario sulle piste. E questo gli faceva doppiamente onore.
«Seguimi!» ordinò a quel punto Fiorella dirigendosi verso una stanza attigua. Un ambiente incantato, che odorava di fieno, con tutt’intorno scaffali zeppi di vasi di vetro, ciascuno provvisto di etichetta che ne specificava il contenuto. Al centro troneggiava un grande tavolo in legno massiccio dove trovavano posto vari arnesi del mestiere, compreso un librone dall’aspetto piuttosto antico dal titolo "I discorsi di Andrea Mattioli".
Mentre Silvano si domandava chi poteva mai essere questo tizio, la maga, con fare di chi sa il fatto suo, si inforcò gli occhiali, prese alcuni vasi e da ciascuno estrasse foglie e fiori, pesandoli con attenzione prima di mescolarli in una ciotola. Non sembrava affatto una che improvvisava; le movenze, i gesti, l’espressione del viso, tutto di lei emanava passione e sapienza. In un quarto d’ora la miscela era pronta, già dosata in sacchettini e corredata da bugiardino scritto al momento con le istruzioni su quando e come assumere il medicamento.
Silvano avrebbe voluto trattenersi un po’ di più, ma il tempo era tiranno. Aprì il portafoglio per pagare ma venne prontamente fermato: «Almeno aspetta di vedere che la ricetta funzioni. Quando il tuo amico si sarà rimesso verrete insieme a saldare il conto: presentatevi con la medaglia al collo e portatemi un buon salame, che quello non lo posso raccogliere qui nei prati.»
Dopo un tenero abbraccio, Silvano se ne andò soddisfatto e sollevato. Volò a valle, cercando di governare le contrastanti sensazioni che lo attraversavano. Razionalmente non poteva convincersi che un pugno di erbe secche avrebbe risolto il problema.
Il cuore però non gli impediva di sognare, di credere che l’impossibile potesse diventare possibile.
Arrivato all’hotel Tre Croci, si introdusse nella camera di Andrey, le cui condizioni non erano cambiate granché. Mentre lo metteva al corrente del suo viaggio a Mandres, estrasse dallo zaino i sacchetti terapeutici.
«Lo so che può sembrare un’idea folle», gli disse, «ma tanto vale provare. Mal che vada, malato sei e malato rimarrai!»
Con un velo di tristezza Andrey rispose: «Mia nonna, che purtroppo non c’è più, si è sempre curata con le erbe.»
Un segno del destino che faceva ben sperare!
Quella notte Silvano non riuscì a chiudere occhio; troppe le emozioni vissute in quella giornata incredibile. Si alzò molto prima che il gallo cantasse per recarsi da Andrey. Fu una gioia immensa apprendere che i crampi erano diminuiti, sia di frequenza che di intensità. Allora poteva ancora confidare di vederlo sfrecciare sulle Tofane. Un giorno era obbiettivamente poco per auspicare una completa guarigione, ma, vista la situazione, l'importante era partecipare, in pieno spirito decubertiano.
«Febbre e dolori non mi spaventano. Stringerò i denti, ma io quella discesa la voglio fare!»
Il ragazzo era determinato e motivato.
Finalmente il grande giorno arrivò con la notizia che sconvolse pubblico e stampa. Andrey, fino alla sera prima dato per ritirato, si presentò sulle piste, sorprendendo gli stessi tecnici che volutamente erano stati tenuti all'oscuro di tutto. Se avessero saputo delle erbe di Fiorella, figuriamoci se gliele avrebbero fatte prendere! Silvano invece si dovette sorbire la paternale per l'irresponsabile assenza dagli allenamenti. Insomma erano tutti in agitazione, tranne i due campioni che non desideravano altro che godersi quella discesa che poteva davvero dirsi libera. Libera da condizionamenti e pressioni, libera di festeggiare un'amicizia autentica.
Silvano partì per decimo, carico di adrenalina. Mai si era sentito così in forma. Gli sci scivolavano facili e leggeri in un susseguirsi di curve e salti mozzafiato. Tagliò il traguardo incitato dal boato degli spettatori che non smettevano di applaudirlo. Era primo, e tra l'altro con un notevole distacco dal secondo. Tutti quelli che scesero dopo di lui non riuscirono a fare meglio. Ma mancava ancora Andrey, l'ultimo a partire.
Silvano rimase in zona arrivo per aspettarlo. Era in ansia per lui, consapevole che l'attendeva una sfida innanzitutto con sé stesso, una dura prova di resistenza e forza di volontà.
Col fiato sospeso e in religioso silenzio tutti seguirono la sua discesa e quando lo videro arrivare le urla furono incontenibili.
Ce l'aveva fatta! E si classificò addirittura quinto. Un risultato eccezionale che lo lasciò incredulo.
Esausto si abbandonò tra le braccia di Silvano.
Piangeva... piangevano come bambini, bambini felici per la loro vittoria.
Perché si può vincere anche senza arrivare primi!
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