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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue genti, le storie di ieri e di oggi”XXVIII EDIZIONE Arcade, 5 gennaio 2023
Segnalato
La Madonna dei ghiacci
di Bacchilega Davide
Lugo (RA)
Settimo comandamento: non rubare. Così insegnava il prete. Peccato grave, peccato mortale.
«Noi non stiamo rubando, vero?»
«Non dire sciocchezze» gli rispose il fratello. «Noi stiamo lavorando.»
«Don Angelo dice che rubare è peccato. Peccato grave.»
«E tu lo stai ad ascoltare? Ogni giorno pregava per la pace, ma la guerra è durata più di tre anni.»
«Le cose che prendiamo non sono nostre.»
«Sono di chi ne ha bisogno.»
Subito dopo la fine del conflitto, il governo italiano aveva proibito alla popolazione di salire sui monti per accaparrarsi i rifiuti della Grande Guerra. Poi si era reso conto che fermare quella gente era impossibile. Da ciò che recuperavano, inoltre, quelle persone per la maggior parte sfollati di ritorno nei loro altipiani – potevano guadagnarsi da mangiare.
«Qua ci siamo già stati la settimana scorsa» disse Francesco. «Prendiamo quella cengia e passiamo dall’altra parte.»
Erano chiamati “i recuperanti”, coloro che si inerpicavano sulle creste della Grande Guerra per raccogliere ciò che le battaglie avevano lasciato. I tesori più ambìti erano ferro, rame, alluminio e piombo: venivano raccolti e rivenduti alla pesa dei paesi, prima di finire alle fonderie del fondovalle, a corto di materie prime. Per molti, come per Pietro e Francesco, quell’attività rappresentava l’unica speranza di portare qualcosa in tavola.
Partivano da casa all’alba con un badile, un piccone e altri piccoli strumenti. Un po’ di pane e formaggio. Stavano fuori tre o quattro giorni di seguito. Dormivano nelle grotte. Sembravano piccoli archeologici alla ricerca di tesori sepolti. Accendini, scatolette, fibbie, proiettili, granate, filo spinato, stufe, tubi, corde d’acciaio, armi, pentole: era questo l’agognato bottino. Il piombo veniva pagato 1,20 lire al chilo, l’ottone 1,80 e il rame 5 lire. Il ferro, appena 10 centesimi di lira al chilo. Comunque, erano soldi buoni.
Quando il loro zaino si riempiva di dieci o quindici chili di ferraglia, tornavano alla base. Più si andava lontano, più si trovava. Perché i posti vicini erano già stati ripuliti.
Se si era molto fortunati si potevano trovare anche i cadaveri dei soldati, italiani o austriaci. Quelli italiani venivano pagati 20 lire l’uno dallo Stato, per dargli degna sepoltura.
Quel mattino, il cielo non prometteva nulla di buono. Pietro e Francesco avanzavano affondando gli stivali in trenta centimetri di neve. Se si fosse scatenata una bufera, avrebbero dovuto trovare un riparo. D’altra parte erano capaci tutti di recuperare il ferro in primavera, con le montagne sgombre. Ma a quel punto, sarebbe rimasto poco per loro. Meglio anticipare i concorrenti e “ndar par scaie” in inverno.
Per i due ragazzi era come una grande caccia al tesoro: gambe buone e fiato lungo, vette immense davanti agli occhi, anfratti da esplorare e ricompense da riscuotere.
Non stavano rubando, diceva Francesco a Pietro. Stavano solo riavendo indietro una minuscola parte di ciò che la guerra gli aveva tolto. Come ad esempio il terzo fratello, il maggiore, Antonio. Partito soldato, non era più tornato. Chissà se lo avrebbero recuperato loro, fra quelle rocce.
Fino ad allora, comunque, Pietro e Francesco non ne avevano mai incontrati, di cadaveri. Non conoscevano la sensazione di trovarsi faccia a faccia con un morto.
Dopo avere recuperato una scatola di munizioni e un rotolo di fil di ferro, quel pomeriggio fecero però la loro prima macabra scoperta. Sotto un alto sperone, notarono una divisa militare. Dentro la divisa, c’era un uomo tutto intero, a faccia in giù, ricoperto dalla neve. Lo voltarono dall’altra parte, scoprendo che era un soldato austriaco. Era facile riconoscerlo, per via dell’uniforme e dell’elmetto.
Gli elmetti austriaci erano infatti più robusti di quelli italiani, che venivano facilmente trapassati da uno shrapnel. Quelli austriaci, colpiti da un proiettile, al massimo si crepavano. Per questo gli elmetti austriaci erano più preziosi da recuperare rispetto a quelli italiani, fatti di un’esile lamiera.
Chissà da quanti mesi era lì quel corpo. I due fratelli provarono a tirarlo fuori dalla neve, ma il corpo pesava come un macigno.
Alla fine, costringendo i loro muscoli a urlare di dolore, riuscirono a estrarlo dal ghiaccio. Il lieve fetore che esalava dal corpo innescò l’impulso di vomitare, ma il loro stomaco era vuoto e l’unica reazione dell’organismo fu un conato a salve.
Francesco frugò nel cadavere e, oltre all’elmetto, gli prelevò un accendino e un paio di fibbie della divisa. Poi prese l’accetta e con un colpo secco staccò l’anulare dalla mano del soldato. Così sarebbe stato più facile sfilargli la fede dal dito. Era d’oro: ci avrebbero ricavato di più che dai bossoli.
«Non puoi fare questo» lamentò Pietro. «È peccato.»
«Di cosa stai parlando?» disse Francesco. «Questa roba non è più sua. I morti non hanno niente.»
«Non puoi tagliargli il dito.»
«C’è forse un comandamento che dice: “Non fare a pezzi i cadaveri”? Non mi pare.»
C’era “Non uccidere”, rifletté Pietro, ma quello era già morto. “Non desiderare la roba d’altri”, ma quello non era più “un altro”.
Era nulla, ormai.
Forse Dio non li avrebbe puniti.
Il secondo cadavere lo scovarono lì vicino, appoggiato al tronco di un abete. Un altro austriaco. Dopo averlo alleggerito dei metalli, gli aprirono la divisa all’altezza del petto trovando una catenina. Pareva d’oro, così come il ciondolo sigillato dal ghiaccio che vi era appeso. Dopo averlo pulito, Pietro scoprì che raffigurava una madonnina.
Bella faccia tosta venire ad ammazzare dei cristiani con la Madonna sul cuore, pensò Pietro. Ma anche loro, che tagliuzzavano e derubavano cadaveri, tenevano un crocefisso sopra al comò. Meglio non farne una questione di principio. «Tienilo tu» gli fece Francesco. «Ti porterà fortuna.»
Pietro baciò allora il ciondolo e lo intascò. Volle interpretare il ritrovamento come un segnale di buon auspicio. Se quella “Madonna dei ghiacci” si era donata a lui, significava che era degno della sua grazia.
Tre giorni dopo, sulla via del ritorno, scorsero sul sentiero uno strano oggetto. Sembrava una pigna, ma quello non era proprio luogo di pini. Francesco deviò il percorso di qualche passo per individuarne la natura. Quando ci fu sopra, si accorse che era una granata.
«Lasciamola stare, quella» fece Pietro.
«Quale comandamento lo dice?» disse Francesco, prendendosi gioco del fratello. «Le bombe sono piene di ferro e rame.»
«Può esplodere!»
«Se non è esplosa in guerra, non esploderà certo in pace!»
Così Francesco tirò fuori la granata dal ghiaccio. Iniziò a colpirla con una mazza per aprirla e recuperare il ferro. Dopo qualche minuto di intenso lavorio, l’ordigno si aprì rivelando il suo prezioso contenuto. Francesco separò il ferro dal rame e infilò tutto nello zaino.
Quella settimana aveva regalato una buona raccolta. Forse la Madonna dei ghiacci stava già dando loro una mano.
Una volta a valle, la prima cosa che fecero fu andare da Mezza Cartuccia. Il suo vero nome non lo sapevano. Tutti lo chiamavano così perché era l’intermediario che comprava i metalli – cartucce comprese – dai recuperanti, per poi rivenderli alle industrie in città. Era un omino non più alto di un metro e cinquanta, da qui quel poco lusinghiero “Mezza”. Alla bisogna, trafficava anche in oro, quel poco che si trovava sui monti: collane, anelli, monete e denti d’oro. Già, perché qualche recuperante non esitava a strappare quei pregiati molari dalle bocche dei militari morti.
«Oh, che bel raccolto che avete fatto» disse il mercante ai ragazzi.
«Tutta roba buona, di prima qualità» fece Francesco.
Mezza Cartuccia, con la sua stadèra, pesò il ferro, il piombo e il rame portati dai ragazzi, e ripagò i fratelli con un paio di banconote.
«E abbiamo anche dell’oro, stavolta.»
«Fate vedere.»
Francesco tirò fuori la fede del soldato austriaco e volse lo sguardo verso il fratello, invitandolo a mostrare la medaglietta con la Madonna. Pietro scosse però la testa, come se avesse l’intenzione di tenere il tesoro per sé. Mentre Mezza Cartuccia studiava l’anellino, Francesco alzò le spalle come per dire “contento tu”.
Soddisfatto della merce, l’omino diede un’altra banconota a Francesco. «Non spendeteli tutti in vino…» si raccomandò.
«A proposito, è già ora di pranzo. Prima di scendere a valle, sarà bene mettere qualcosa nello stomaco.»
Mezza Cartuccia caricò dunque il materiale nel suo camioncino, mise in moto il mezzo e sparì da lì. Pietro e Francesco sapevano benissimo dove stava andando. Non era un mistero che l’intermediario avesse un debole per la trippa di Iole, specialità servita all’osteria San Martino, che si trovava proprio sulla strada che portava in città.
Tagliando a piedi per i boschi, avrebbero raggiunto la locanda poco dopo Mezza Cartuccia, che per quelle strade accidentate era costretto a fare un giro più lungo.
Quando i ragazzi uscirono dal fitto della vegetazione, sbucando nei pressi dell’osteria, trovarono infatti il camioncino dell’intermediario parcheggiato dietro l’edificio. Spiando da una finestra, videro Mezza Cartuccia seduto comodamente a tavola a gustarsi la trippa.
«Facciamo presto» disse Francesco al fratello.
«Questo non è rubare?»
«Ci riprendiamo solo la nostra roba.»
Francesco aiutò Pietro, che era più leggero, a salire sul retro del camion. Da qui, il ragazzo afferrò un po’ di pezzi a caso dai bidoni di rottami e li infilò nel suo zaino. Li avrebbero rivenduti sempre a Mezza Cartuccia la settimana successiva. Guadagnando due volte dalle stesse cose, sarebbe stato più facile sopravvivere a quella miseria.
Era ancora tutta lì, la memoria fresca di anni di atrocità. Austriaci e italiani impegnati nella Guerra Bianca avevano lasciato sul campo tonnellate di materiale. Pezzi di cannone, ruote di teleferica, sbarre di metallo: Pietro e Francesco li portavano giù a spalla dalle creste, quando non entravano negli zaini. Come deposito provvisorio, usavano a volte delle baracche in quota abbandonate. Dormivano lassù per non perdere tempo e ci stavano anche diversi giorni.
Il loro sogno era quello di scoprire una galleria colma di armi e diventare ricchi come signori. Ma questo miracolo non si avverò mai, sostituito da altre piccole epifanie: robusti scarponi militari che sarebbero durati anni calzati da loro, baionette luccicanti, una manciata di corone austroungariche che in qualche modo sarebbero riusciti a farsi convertire in lire.
Tra le pieghe della montagna, in quei primi mesi dopo la guerra, si poteva recuperare di tutto. Lo sciogliersi della neve, in primavera, avrebbe poi sciacquato i peccati degli uomini. La pioggia avrebbe lavato le cicatrici dei sopravvissuti e delle rocce. La natura placida delle montagne, che aveva assistito alla violenza della guerra, avrebbe lasciato spazio a nuovi paesaggi.
«Eccola, un’altra» disse Francesco, sulla via del ritorno dalla spedizione settimanale, adocchiando l’ennesima granata.
«Abbiamo già gli zaini pieni» fece Pietro.
«Un posto lo troviamo» ribatté il fratello. «Pensa quanti bei soldi!»
Così, come d’abitudine, andò Francesco a recuperare la bomba. Si mise a cavalcioni dell’ordigno per cercare di aprirlo, ma quella volta la granata non si sottomise al volere del ragazzo, e ricordando il motivo per cui era stata progettata, decise di esplodere.
Pietro fu assordato dal boato dello scoppio, mentre vide il fratello sollevarsi dal suolo di un metro abbondante prima di ricadere a terra.
Quando Pietro giunse da lui, Francesco era già morto. Aveva sofferto poco. Strinse forte nel pugno la medaglietta con la Madonna, come per chiederle di avere misericordia dell’anima del fratello.
Quel giorno, Pietro giunse a valle con un peso diverso dal solito. Non il suo zaino pieno di ferro, lasciato sui monti. Ma il corpo di Francesco, caricato a spalla. Il secondo fratello che aveva perso su quelle montagne.
Settimo comandamento: non rubare. Così insegnava il prete. Peccato grave, peccato mortale.
Dopo i funerali di Francesco, Pietro tornò da Mezza Cartuccia. L’omino aveva saputo della notizia e abbracciò il ragazzo.
Pietro si liberò subito da quella stretta e si strappò dal collo la collanina con la medaglietta.
«Questa è tua, non voglio niente in cambio» disse Pietro. «Noi ti abbiamo derubato. Lo abbiamo sempre fatto. Prendevano i pezzi dal tuo camion mentre mangiavi al San Martino. Te li vendevamo due volte. Per questo Francesco è morto. Abbiamo commesso un peccato grave, un peccato mortale.»
Pietro cacciò il ciondolo in mano all’omino, con ruscelli negli occhi. «Prendi questa madonnina, è tutta d’oro. Accettala e siamo pari.»
Mezza Cartuccia tenne la medaglietta nel pugno, senza nemmeno guardarla. Con l’altra mano, tozza e callosa, sfiorò la guancia del ragazzo.
«L’ho sempre saputo che prendevate qualcosa dal mio camion» disse l’omino. «Ma non fa niente. Dovevate sopravvivere.
Come tutti.»
«Quindi se tu sapevi che stavamo rubando, non è come rubare veramente, giusto?» chiese Pietro singhiozzando.
Mezza Cartuccia gli restituì il ciondolo con la Madonna dei ghiacci. «Questa tienila tu. Finora ti ha protetto. Di giovani, su queste montagne, non ne devono morire più.»
Giulia prende il padre Pietro sottobraccio e lentamente si dirigono verso casa. La loro passeggiata mattutina è terminata. Meglio sparire da lì prima che quella nube nera che sa di bufera piombi su di loro.
Sotto la montagna, la nuova strada del boom economico è percorsa da automobili e autoarticolati che sfrecciano nel ventre della valle. Con il remoto ronzio delle vetture nelle orecchie, Pietro aggrappa lo sguardo a rimasugli di bellezza: i boschi, gli altipiani, gli uccelli che sorvolano le trascuratezze dell’uomo.
È primavera sulla montagna, eppure Pietro vorrebbe vivere un altro inverno. Quello in cui poteva salvare Francesco, la cui lapide affianca adesso la tomba vuota di Antonio, mai ritrovato. Vorrebbe tornare alla scenografia essenziale di quel freddo teatro, in cui i tronchi scuri degli alberi risaltavano contro i declivi schiariti dal gelo. In quello scenario selvaggio che custodiva il fascino primitivo della natura.
Ma in fondo a lui è andata bene. Ha superato un’altra guerra e un’altra fame. Si è fatto una famiglia e ha avuto due figlie.
Forse vorrebbe tornare indietro per essere ancora una volta bambino e guardare il mondo con occhi nuovi.
Mentre scendono lungo il sentiero, Pietro appoggia le dita sul petto per accarezzare la rassicurante presenza della Madonna dei ghiacci.