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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"XXX EDIZIONE Teviso, 11 gennaio 2025
Segnalato
Il guardiacaccia
di Raineri WilliamBrescia
Sù a San Gervasio, dove l’estate durava sì e no venti giorni, già a metà agosto la mattina presto faceva un freddo invernale.
I declivi erbosi si risvegliavano imbiancati di brina e dalla vallata saliva una nebbia umida che lambiva le prime case del paese.
Il cinguettio di una merla squarciò il silenzio per annunciare i passi forestieri di un giovanotto che risalito il viottolo centrale si fermò davanti all’ufficio di Carlo Zani, il guardiacaccia. Consultò l’orologio da polso e si mise in attesa. Poco dopo il campanile batté le ore, sei rintocchi, il giovanotto verificò sul suo orologio e a quel punto spinse l’uscio.
L’ufficio occupava una vecchia stalla, l’avevano ristrutturata ma rimanevano i segni della precedente funzione nel pavimento consumato e negli anelli arrugginiti infilzati ai muri. L’aria era impregnata dell’odore acre di stufa spenta. Una piccola finestra illuminava a malapena la scrivania di Zani, intento a percuotere i tasti della macchina da scrivere, con la lingua di fuori a denunciare una concentrazione motoria che gli costava più fatica di quanta gliene servisse per perlustrare l’intero territorio a lui assegnato. Dopo un buon quarto d’ora, tempo durante il quale Zani non aveva degnato di un solo cenno il giovanotto che gli stava di fronte impalato, estrasse il foglio e lo rilesse, accompagnando ogni capoverso con espressioni ora di approvazione, ora di disappunto. Infine bagnò la punta della stilografica sulla lingua e firmò.
Il giovanotto ne approfittò per richiamare l’attenzione con un colpetto di tosse. Zani depose il foglio nel raccoglitore e alzò la testa rivelando un volto spigoloso con grandi occhi scuri sovrastati da folte sopracciglia. «Buongiorno, come posso aiutarla?»
S’alzò per accomodare il raccoglitore su una mensola. La divisa impeccabile fasciava un corpo di quelli forgiati in montagna.
«Mi chiamo Franchi Pietro», rispose il giovanotto, che estrasse dalla tasca interna un fascio di documenti e, mal celando una punta di emozione, anzi d’orgoglio, glieli mise in mano. «L’incartamento d’assunzione come suo vice.»
«Perché non sei in divisa?»
«Sarà pronta domani.»
«Peggio per te, oggi dovrai arrangiarti così.»
«Veramente…»
Non lo lasciò finire, indossò il giaccone e lo spinse fuori. «Poche storie, dobbiamo andare.»
Con il piccolo fuoristrada d’ordinanza risalirono una mulattiera con accesso consentito ai soli forestali. Dopo una serie di tornanti impervi, in cui il muso del mezzo sembrava svoltare nel cielo, approdarono a un vasto pianoro circondato da pini e betulle.
Lungo il tragitto Zani non aveva proferito parola e il suo nuovo vice, che forse avrebbe avuto mille domande, se n’era stato zitto.
«Da qui proseguiamo a piedi.»
Franchi guardò i suoi mocassini, poi l’erba alta e bagnata.
«Non t’avevano informato di presentarti in divisa e scarponi?»
«Sì… ma io dovevo iniziare domani, ero passato solo per consegnare le carte.»
Zani fece una smorfia e scese. Si sgranchì la schiena, accomodò la fondina della pistola, poi controllò il profilo frastagliato dell’orizzonte. Inforcò il binocolo per indirizzarlo in un punto indefinito e mugugnò.
«Cos’ha visto?» chiese Franchi saltellando nell’erba.
«Niente, andiamo.»
Il novellino faticava a stargli dietro e aveva la metà dei suoi anni. Bisognava che si facesse il fiato se voleva fare quel mestiere.
S’infilarono nel sottobosco che odorava di funghi e assorbiva i rumori dei passi, risalirono il versante favorito dal sole, che a stento filtrava tra le cime dei pini infrangendosi sui tronchi ruvidi e collosi, finché sbucarono sulla dorsale rocciosa del Monte Costoletta.
Da un lato la parete appena risalita, dall’altra una serie di declivi ondulati che sparivano in una valle stretta, un taglio scuro nella crosta terrestre.
Zani fece una sosta per ammirare il paesaggio e permettere al novellino di prendere fiato, appoggiò il sedere a un grosso masso e bevve un sorso d’acqua dalla borraccia. «Hai sete?»
Franchi scosse la testa.
«Niente complimenti in montagna.»
«Allora, grazie.»
«Il nostro territorio si estende fino a quelle creste laggiù, ma oggi facciamo il giro breve.»
Franchi annuì ed estrasse un pacchetto di sigarette per portarsene una alla bocca. «Vuole?»
«Non fumo», lo guardò così male che l’altro s’affrettò a rimettere la sigaretta nel pacchetto.
«Cos’ha visto prima?»
Zani abbandonò la roccia, si spolverò i pantaloni e raddrizzò la fondina della pistola. «Un riflesso.»
«Di cosa?»
«Un binocolo, qualcuno ci guardava.»
«Chi?»
«Bracconieri.»
«Come fa a dirlo?»
«Nessuno passeggia in montagna a quest’ora.»
«Saranno semplici cacciatori.»
«Non è stagione quindi sono bracconieri.»
«Uh, per due uccellini…»
«Quelli vanno a caprioli, cervi e altri animali a pelo. Ma anche fosse un fringuello, tu gliela faresti passare?»
«Magari lo fanno solo per sopravvivere, in certi casi li…»
«Li capisci? E’ questo che stavi per dire?»
Franchi fece per controbattere, ma tacque.
«Ecco, bravo.»
Avanzando a mezza costa proseguirono fino al picco opposto della dorsale, quindi discesero un ghiaione che finiva nella boscaglia e da lì presero per un campo. L’abito civile di Franchi era così sgualcito, macchiato d’erba, e inzaccherato che sarebbe stato impossibile farlo tornare come prima, mentre la divisa di Zani pareva appena uscita dall’armadio.
«Fai piano!» ordinò al novellino. Aveva sentito qualcosa. S’abbassò e rallentò il passo. A un certo punto si fermò.
L’erba davanti a loro frusciò e sbucò un cane da caccia, sudato, agitato, che girò attorno ai due uomini per accucciarsi accanto a Zani. «Buono, bello», verificò sotto le orecchie se c’era il tatuaggio e lo legò a un albero. «Andiamo, sono vicini.»
«E’ dei bracconieri?»
Zani non gli rispose. Avanti una cinquantina di metri indicò l’ansa di un’altura. «Io vado di la’, tu nasconditi.
Se mi sfuggono devono passare di qui.»
«Ci penso io.»
«Fai attenzione, è gente che non scherza. E se ti tocca inseguirli occhio che quando scappano tengono il fucile basso, con la canna rivolta all’indietro.»
Franchi annuì e filò a nascondersi.
Lungo il sentiero Zani non trovò tracce fresche, non un ramo spezzato, un cespuglio appiattito, nell’aria si sentiva solo l’odore dell’autunno incipiente e il frusciare dei rami ancora folti. Poi delle voci giunsero dal bosco più fitto, allora abbandonò il sentiero e corse a nascondersi dietro una macchia di rovi. Aspettò finché due figure apparvero dalla boscaglia, uno portava sulla schiena un piccolo daino, l’altro reggeva due fucili.
Zani uscì allo scoperto e alzò il braccio in segno di saluto.
I due erano a una cinquantina di metri, indossavano cappello a tesa lunga e sciarpa tirata su fino al naso, se scappavano gli sarebbe stato impossibile riconoscerli, così non stette ad aspettarli e si avviò risoluto nella loro direzione.
Quello con i fucili, il più vecchio dei due, sparò un colpo in cielo.
Zani si buttò a terra. «Sei impazzito?» urlò. «Sono un pubblico ufficiale.»
In risposta il tizio sparò un altro colpo. Stavolta lo sentì sibilare a un metro da terra. Il cretino faceva sul serio.
Estrasse la pistola, fece scorrere l’otturatore, alzò la testa. I due stavano scappando, proprio in direzione di Franchi.
«Porco diavolo!» Imprecò Zani, «quelli lo accoppano», alzò la pistola. «Fermi o sparo!»
Il tizio più vecchio si voltò ed esplose un colpo a casaccio. Zani non si scansò e lo mise in mira. Gli bastava premere il grilletto ma non aveva mai accoppato un cristiano. «Fermi o sparo», ripetè, dopodiché tirò a un ramo che si spezzò davanti al bracconiere più giovane. Questo fece un urlo, lasciò il daino e se la diede a gambe. L’altro tergiversò, impossibilitato a trasportare sia i fucili che l’animale, quindi scappò imprecando e sparirono nella boscaglia.
Tornarono al paese che l’ora di pranzo era passata da un pezzo. Franchi l’aveva tartassato di domande, alle quali aveva risposto con dei grugniti. Condusse in ufficio il cane da caccia e lasciò che il novellino si occupasse del daino.
«Allora, Carlo, adesso mi racconta cos’è successo?» chiese Franchi, era la prima volta che lo chiamava per nome.
Zani apprezzò la confidenza, le sopracciglia imbronciate si distesero. «Hai fame?» disse.
«Certo, non mangio da ieri», a conferma gli brontolò la pancia.
«Mia moglie Armida cucina bene», tirò fuori da una borsa due contenitori. Servì il novellino, il cane, e lui s’accontentò di quello che era rimasto. «Non li ho riconosciuti, erano due. Mi hanno sparato. Erano veloci, mi hanno seminato.»
«Hanno sparato loro?»
«Sì, due colpi.»
«Ne ho sentiti tre.»
«Ho risposto, avrei potuto accopparlo, o ferirlo a una gamba, ma non me la sono sentita e ho sparato in alto.»
«Ha fatto bene, sai i guai?»
«Ho evitato per la coscienza, mica per risparmiarmi dei guai.»
Nel pomeriggio si recarono dai Carabinieri per la denuncia. Dopo la deposizione il maresciallo tirò in disparte il guardiacaccia: «parliamoci chiaro Zani, per quanto la riguarda la faccenda finisce qui.»
«Ma…»
«Niente ma. C’è stato un conflitto a fuoco. Ce ne occupiamo noi.»
«E il cane?»
«Non è marchiato, lo porti al canile.»
«Il daino?»
«E’ il corpo del reato e me lo tengo io... intendo dire che ce ne occupiamo noi.»
«Certo, certo», bofonchiò Zani.
Una volta fuori dalla caserma, Franchi sospirò. «Come primo giorno non c’è male.»
«Non è finito.»
«Cioè?»
«I bracconieri stavano venendo verso di te, ma poi sono fuggiti dalla parte opposta. Come se una direzione valesse l’altra.»
«Per forza, stavano scappando.»
«Naa, quello più giovane era in preda al panico, ma l’altro no. Ti assicuro che era in grado di scegliere la direzione a lui più conveniente.»
«Quindi?»
«Devono aver parcheggiato dall’altra parte del Monte Costoletta nella piana delle Brune, che è a un punto equidistante. Venivano verso di te perché è il tragitto più comodo, ma si passa anche dall’altra parte.»
«Scusi se mi ripeto, quindi?»
«Per la piana delle Brune passa solo la strada che porta alla frazione di Costa alta. Quindi i bracconieri o provenivano da San Gervasio o da Costa alta.»
«Ha detto niente.»
«Andiamo a fare un giro.»
Il nucleo di case di Costa alta contava al massimo una decina di edifici, Zani fece scendere il cane, legato con la corda.
Un uomo anziano alzò la testa e affrettandosi a uscire da un orto affacciato sulla strada zoppicò verso la prima casa.
«Ehi, lei», lo chiamò, Zani.
Il vecchio si voltò e il cane emise un ringhio sommesso.
«Riconosce questo cane?»
«No.»
«Non l’ha nemmeno guardato.»
«E’ solo un cane.»
«Allora lo portiamo tra le case, sarà lui a condurci dal padrone.»
Il vecchio sospirò. «Sembra il cane di mio nipote, è sparito da una settimana, pensavamo fosse stato rubato.»
«Dov’è suo nipote?»
«Con mio figlio, che è consigliere provinciale.»
«Quando tornano?»
«Non lo so.»
Zani si fece dare le generalità del figlio e del nipote e le trascrisse su un taccuino.
«Il bastardo?» chiese il vecchio indicando il cane.
«Lo teniamo noi, dica a suo nipote di venire a prenderlo a San Gervasio.»
Quando furono di nuovo in paese, Franchi lo guardò serio. «Non è che ci mettiamo nei guai?»
«Figurati, tu porta il cane in ufficio poi vattene a casa. Domani ti voglio in divisa.»
Iniziava a scendere il sole, sulle creste all’orizzonte si addensavano le nubi e un venticello pungente saliva dalla vallata, Zani alzò il bavero e tornò dal maresciallo Carabinieri.
«Zani, cosa vuole ancora.»
«Solo un’informazione per il mio rapporto», gli mostrò il taccuino con i nomi. «Potrebbe verificare se nell’arco della settimana trascorsa, una di queste persone ha presentato denuncia di smarrimento del cane?»
Il maresciallo spalancò gli occhi. «Sono i nomi del consigliere provinciale e di suo figlio.»
«Li conosce?»
«Non personalmente.»
«Lo sa che sono i proprietari del cane da caccia che stamattina stava con i bracconieri?»
Il maresciallo sbuffò. «Le avevo ordinato di lasciar fare a noi.»
«Sto facendo il mio dovere.»
Il maresciallo andò nell’altro ufficio, si assentò qualche minuto, poi tornò. «Sì, hanno fatto la denuncia tre giorni fa.»
«Posso averne una copia per il mio rapporto?»
«No, Zani, e ora se ne vada.»
Davanti al suo ufficio, trovò Franchi fronteggiato da due uomini, uno sulla cinquantina, tarchiato, che gesticolava inviperito, l’altro sulla ventina, a testa bassa. I medesimi capelli ricci.
«Cosa succede, qui?»
Franchi indicò l’uomo più vecchio. «Il signore…»
Quello gli parlò sopra. «Io sono il consigliere provinciale Vassalli Germano e lei ha il cane di mio figlio.»
«Il cane di suo figlio questa mattina era con due bracconieri che mi hanno sparato addosso.»
Al contrario del figlio, che arrossì vistosamente, il Vassalli sorrise. «Davvero? Oppure era a caccia con lei?
Il maresciallo mi ha informato della sparatoria, abbiamo il grilletto facile?»
«Cosa vorrebbe dire?»
«Dato che una settimana fa qualcuno ha rubato il cane, forse quel qualcuno è lo stesso che stamattina le ha…», tracciò due virgolette nell’aria, «…sparato. Era solo, no? Nessun testimone. Chi ci dice che non eravate voi a caccia col mio cane?»
Zani sorrise. «Vi piace scherzare?»
Il Vassalli gli piantò un dito sul petto. «Non scherzo mai. Se non vuole passare dei guai mi riporti il cane, a casa, oggi stesso», quindi si rivolse al figlio. «Andiamo.»
Verso sera il telefono dell’ufficio trillò. Zani accarezzava il cane accucciato ai suoi piedi, aspettò il sesto squillo per decidersi a rispondere.
«Zani! Cosa mi combina», era il maresciallo dei Carabinieri.
«Perché?»
«Il consigliere provinciale ha sporto denuncia a suo carico, sostiene che il cane l’ha rubato lei e che la sparatoria di stamattina sarebbe tutta una messinscena per cacciare di frodo. Del resto il suo vice non era presente, nessuno ha visto i due uomini della sua denuncia.»
«Che assurdità, se avessi cacciato di frodo il daino me lo sarei tenuto.»
«Purtroppo sono costretto a procedere con una comunicazione al suo comando, guardi che non è una passeggiata.»
«Faccia il suo dovere.»
«Senta Zani, so che lei è un uomo tutto d’un pezzo, ma perché non le riporta il cane? Lasciamo che la cosa finisca in pane e acqua.»
«Panada.»
«Cosa?»
«La zuppa di pane e acqua qui la chiamiamo panada.»
«E allora?»
«Non mi è mai piaciuta la panada.»
La mattina dopo, Franchi si presentò con la divisa regolamentare.
Zani aveva finito di battere un rapporto, lo estrasse, lo rilesse più volte commentandolo con le sopracciglia, poi lo firmò.
La mano destra gli tremava e gli uscì un scarabocchio.
«Tutto bene?» disse Franchi.
Zani si massaggiò le nocche. «Mai stato meglio.»
«Cosa si fa oggi?»
«Stai bene in divisa.»
Franchi si rimirò. «Dice?»
Zani sorrise e indicò la mappa topografica appesa alla parete, il territorio assegnato al loro ufficio era circondato con un segno rosso. «Oggi facciamo il percorso perimetrale, così ti orienti.»
Franchi annuì. «E con Vassalli?»
«Non pensarci, abbiamo parecchio da camminare», allacciò un collare nuovo al cane e s'alzò. «Andiamo, Frodo.»
«L’ha chiamato come il personaggio del Signore degli anelli?»
«No, come i cacciatori di frodo che me l’hanno regalato.»
«Ha deciso di tenerlo?»
«Certo, guarda che muso intelligente. E ora fuori, in questo periodo al Pianoro della vacca si sente il profumo dei nespoli selvatici.»
Stavano per uscire, quando il telefono squillò. Franchi rispose e allungò la cornetta a Zani. «E’ per lei, è il maresciallo dei Carabinieri.»
«Zani, buongiorno.»
«Buongiorno, cosa vuole, ancora?»
«Solo comunicarle che il Vassalli ha ritirato la denuncia.»
«Davvero?»
«Sì, e pensi che s’è premurato di chiamarmi nonostante fosse ricoverato all’ospedale. Pare che stanotte abbia avuto un curioso incidente, dice di essere caduto per le scale di casa sua.»
«Perché sarebbe curioso?»
«Non lo sa? Il Vassalli abita a piano terra.»