Segnalato 2 29 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Segnalato 2 29

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna:  le sue genti, le storie di ieri e di oggi”

XXVIII EDIZIONE Arcade, 5 gennaio 2023
Segnalato

ZAMPOGNARI
di Barone Elena
Avellino


 
Tanti e tanti anni fa, nelle vallate del Molise, í pastori portavano le greggi al pascolo accompagnandole col suono ruvido e penetrante della zampogna. In tutta l'Italia meridionale, era d'uso comune questo strumento musicale agreste e rudimentale, a fiato, formato da una sacca di pelle di pecora collegata ad un soffietto per l'insufflazione di aria e a due canne sonore, unite internamente da un'ancia. Tramandato da padre in figlio e discendente dal mitico flauto di Pan, già dal Medio Evo veniva usato per comporre sacre melodie, in occasione del Natale o di feste contadine. Veniva costruito artigianalmente o, più tardi, in piccoli laboratori locali. Col tempo, il suono delle zampogne divenne caratteristico passatempo nelle fredde sere invernali e apprezzato intermezzo durante le allegre riunioni di famiglia.
 
A Scapoli di Isernia, solevano suonare la zampogna diversi pastori, perciò detti "Zampognari". Venivano chiamati anche in altri paesi o regioni limitrofe, per allietare, con le loro melodie, le feste religiose o civili. A metà del 1900, si spingevano anche molto lontano, nelle case dei ricchi, per evocare, davanti al presepe, le suggestioni del periodo natalizio, trasformando quell'arte anche in una utile fonte di guadagno. Avvolti in larghi mantelli di panno nero, con cappellacci in testa e stivali di vello di pecora, scendevano a piedi dalle montagne abbracciando le loro zampogne e portando a tracolla le sacche con i pochi elementi essenziali al loro sostentamento. Arrivavano stanchi nelle città per la Novena dell' Immacolata e, qualche giorno dopo, iniziavano le suonate nei nove giorni prima del Natale. Portavano con sé il mistero e l'allegria, il retaggio della tradizione e lo spirito della preghiera. Per i bambini era una festa vederli arrivare.
Si fermavano nei portoni o negli ingressi delle case gentilizie e, in un'atmosfera di rispettoso silenzio, solennemente iniziavano la loro breve ma sentitissima melodia. Le mamme preparavano piccoli altarini, i bambini, inginocchiati, facevano il segno della croce. Preghiere silenziose si levavano davanti al Bambinello nel presepe. Alla fine, venivano loro offerti vino e dolcetti e, dopo l'ultima suonata, il pattuito compenso in denaro. Così, ritornavano ai loro paesi, austeri e contenti, rigorosamente a piedi.
 
Beppe e Calogero si conoscevano da sempre; istruiti dai loro padri, appresero l'arte di suonare la zampogna e, da quando ne ricevettero una in dono, non smisero mai di comporre le più allegre suonate, per allietare matrimoni, feste di piazza e il monotono cammino delle greggi al pascolo.
Erano amici per la pelle e, quando venivano chiamati per le Novene, andavano sempre insieme. Da una vita facevano gli Zampognari; conoscevano tutto l'uno dell'altro, avevano condiviso tante esperienze e, ora che l'età si faceva sentire, durante il cammino, si confidavano le loro nostalgie.
 
Beppe era il più vecchio, ormai prossimo alla sessantina; aveva trascorso una vita di fatica e di poche soddisfazioni. Aveva combattuto sugli Appennini, al fianco dei Partigiani e, alla fine della guerra, era tornato in Molise, aveva sposato la ragazza di cui era innamorato e con lei aveva fatto molti sacrifici.
Ebbero tre figli sani e belli e, per tirarli su, Beppe si era adattato ai più umili lavori, fino a comprare un piccolo podere, qualche pecora e qualche capra, diventando via via pastore a tempo pieno. Gli anni passarono e i ragazzi presero la loro strada: Nino aveva studiato e accettò un posto di Ricercatore all'estero; Marietta si sposò presto e seguì suo marito in Liguria; Linuccio lavorava come operaio in una fabbrica del nord.
Quando poi venne a mancare sua moglie Agata, tanto amata, Beppe si ritrovò da solo. Dopo un periodo di sconforto, imbracciò la sua zampogna e ricominciò a suonare antiche melodie, trovando in esse un po' di pace.
 
Calogero, detto Calò, smilzo e timido pastore, di alcuni anni più giovane, non si era mai sposato. Aiutava sua sorella al bar e abitava con lei e con suo figlio nella casa di famiglia. Si sentiva responsabile, da quando suo cognato era morto, dell'educazione del nipote e della protezione della casa. Certo, non aveva potuto trasmettere cultura, ma saggezza si: era un uomo mite e non aveva mai chiesto nulla alla vita se non un po' di pace. Amava sdraiarsi sull'erba, mentre il gregge pascolava nella radura, e guardare dal basso il cielo infinito. Gli sembrava di navigare nell'oceano dei ricordi e trovare, in tutto quell'azzurro, il significato della sua esistenza.
 
Beppe e Calogero si conoscevano da bambini, ma si erano ritrovati ora, nella senescenza, ognuno col suo bagaglio di esperienza della vita. Qualche volta, si incontravano al bar di Cesira e, davanti a un bicchiere di vino, parlavano di ogni cosa: ricordi comuni, politica, transumanza, pettegolezzi, e si sentivano vivi in qualche sana risata. Anche Calò possedeva una zampogna e aveva ricominciato a suonarla. Arte antica, quella.
I ragazzi non ne volevano sapere, erano i vecchi che, con le antiche melodie, risvegliavano il passato in omaggio alla tradizione. Percorrendo il tratturo con le greggi, per portarle verso la pianura d'inverno, o verso le colline d'estate, i due amici si scambiavano opinioni e un giorno convennero che, una volta tornati in paese, avrebbero potuto allietare la festa del patrono con la musica delle zampogne. E così fu. Mentre la statua del Santo, portata a spalla dai più forti, sfilava per le strade ornate con fiori e ricami, la melodia greve e solenne accompagnò lo stuolo dei fedeli che avanzava lento, tra una preghiera e un sorriso. Da allora, si spostavano insieme verso le città per le Novene dell'Immacolata e del Natale. E per la fine dell'anno tornavano a casa. Questo ritrovato entusiasmo portò nuova linfa a tutti e due.
 
Una volta, furono chiamati al Castello Monforte di Campobasso, per suonare durante la solenne processione della Candelora. Caspita, disse Calò, siamo famosi anche là? e Beppe rispose: Chi va pu' monne tutte vede, e chi sta n'casa nenn 'u crede!                E s'incamminarono. Faceva freddo e si fermarono più volte per riposarsi. Al crepuscolo, videro in lontananza la grande città adagiata sui monti. Sostarono alla locanda pagata dal Comune e al Comune si recarono il giorno dopo per pattuire il loro compenso. Si esibirono in mezzo ad una folla esultante per il significato della festa che tramandava, oltre ai valori religiosi, anche più antiche usanze connesse con la fine dell'inverno e il propiziarsi di una prossima esuberante primavera. Le melodie delle zampogne furono molto apprezzate e i nostri Zampognari applauditi tra l'entusiasmo della gente.
 
Andarono avanti così, Beppe e Calò, condividendo tante emozionanti esperienze. Passarono alcuni anni, l'età si faceva sentire e qualche acciacco privava Beppe della sua forza, limitando le sue uscite e il lavoro fuori paese. Anche condurre le pecore al pascolo era diventato faticoso. Proprio durante la transumanza, mentre vigilava sul suo piccolo gregge, cominciò a pensare alla sua vita, al significato dell'esistenza, al futuro.
Pensò che ormai era vecchio, malandato, stanco. I figli erano lontani, Agata era volata via da tempo, ormai, e si sentiva solo. Non aveva più nulla di suo, l'unica cosa che possedeva era la sua zampogna, compagna fedele di tanti momenti belli e brutti, insostituibile spinta all'amicizia, al lavoro, alla pace dell'anima. Che fine avrebbe fatto quell'antico strumento sconosciuto alle nuove generazioni? Pensò di fare testamento.
Di buon mattino, si recò dal notaio Bonetti , originario di Scapoli ma residente ad Isernia. Una volta entrato nell'atmosfera rarefatta dello studio notarile, arredato con austeri mobili antichi, alla presenza del notaio, disse direttamente:- Vorrei scrivere una carta ma non so scrivere-. Il notaio, alzando lo sguardo al di sopra degli occhiali, con la dovuta flemma, lo invitò ad accomodarsi e ad esprimere chiaramente cosa intendesse fare. Beppe si sedette e, confortato dalla professionale gentilezza, con calma spiegò:- Vedete, ormai mi sento vecchio e vorrei lasciare in eredità qualcosa di molto caro, quando il Signore vorrà chiamarmi. Di cosa si tratta e chi è il beneficiario?. Si tratta della mia zampogna. Non vorrei che fosse dimenticata e abbandonata come cosa inutile. Perciò la lascerò, come dono unico e prezioso, al mio amico fraterno Calogero Mainetti. So che la tratterà bene, la suonerà, la farà vivere ancora, magari la porterà con sé al pascolo e non si sentirà solo. In un certo senso, io lo accompagnerò ancora. II notaio prese appunti, rilesse il testo, lo trascrisse in bella copia. Sapete almeno firmare? disse.
Sissignore rispose Beppe e, con tratto insicuro, appose la sua firma. Il notaio concluse:- State pure tranquillo, le vostre volontà saranno rispettate, me ne occuperò personalmente.  
Beppe ringraziò, posò sulla scrivania un cesto con ricotta e formaggi, salutò con un inchino e uscì con la pace nell'anima. Non poteva fare altro, alla fine della sua vita onesta e semplice. Tornò a casa e preparò una cena frugale. Chiuse il portone a doppia chiave e salì su al piano superiore per mettersi a letto. L'indomani dovevano recarsi, lui e Calò, con gli ovini in collina, dove c'è l'erba fresca da brucare. Dovevano partire presto, prima del sorgere del sole, per trovarsi al pascolo dove avrebbero trascorso tutta la giornata.
Così, tranquillo, si addormentò. All'alba era già sveglio.
Dopo una rapida colazione, preparò porzioni di pane e formaggio per sé e per Calò e le sistemò nella sacca a tracolla. Indossò indumenti pratici e caldi, stivaloni di pelle, sciarpa e cappello; prese la zampogna e uscì di casa, pronto per aprire l'ovile non appena avesse sentito avvicinarsi ii gregge di Calò.
Di solito, cani, pecore e capre facevano un gran chiasso che si udiva già da lontano.
Ma quella mattina Calogero non si decideva ad arrivare. -Avrà preso la febbre, pensò Beppe, avrà preso freddo, non si copre mai abbastanza, sventato ragazzaccio.
II cane abbaiava, impaziente di correre libero per la prateria, il piccolo gregge di Beppe fremeva nel recinto, pronto ad uscire per brucare erba fresca. Faceva freddo, come nelle mattine della primavera, quando ancora non si è dissolta la brina della notte. II sole faceva già capolino dietro ai monti. Mentre Beppe pensava di rientrare in casa, ecco che vide arrivare, correndo, il nipote di Calò. Con un moto di Azza, Beppe pensò: Ha mandato il nipote per dirmi che fa tardi Ma Gigino, trafelato e con le lacrime agli occhi, con la voce rotta dal pianto, disse soltanto: Stanotte è morto improvvisamente lo zio. E scappò via. Beppe rimase attonito e incredulo. Come? Calò! Così forte e tanto più giovane! Disperato, si prese la testa tra le mani e pianse. Il suo amico, il suo amico caro   Si sentiva inerme, angosciato, solo ...
 
Furono giorni tristi per Beppe, non faceva altro che pensare a lui, alle loro avventure, ai loro destini; gli mancava moltissimo, come avrebbe fatto adesso?. Rimase in casa per giorni e giorni, nello sconforto e nell'immensa tristezza. Si era spento tutto il suo universo. Un giorno, bussarono alla sua porta. A stento, chiese chi fosse e cosa volesse da lui, non voleva aprire a nessuno. Il messo del notaio Bonetti si avvicinò alla finestra e, a voce alta, parlò: Il signor notaio vi convoca nel suo studio lunedì alle l0 .
Va via, rispose Beppe senza alzarsi dalla poltrona, digli che non è ancora giunta l'ora. Il ragazzo ripeté il messaggio, scandendo le parole, e se ne andò. Beppe non voleva vedere nessuno, ma pensò che, con la morte di Calò, il suo testamento dovesse essere cambiato e il lunedì alle 10 si presentò dal notaio. Prego, si accomodi.
Il signor Calogero Beppe lo interruppe:- Che disgrazia, che dolore!- E il notaio: Non è per questo che l'ho chiamata. Vede, lei ha ricevuto un'eredità- . -Chi, io?. Il signor Calogero Mainetti, qualche mese fa, mi affidò il suo testamento, da lui stesso scritto e firmato. Lascia a lei la sua zampogna. Mi disse che nessuno meglio di lei l'avrebbe custodita e amata-. Beppe trasecolò! Non riuscì a dire parola. Con gli occhi pieni di lacrime, prese la zampogna di Calò e la accarezzò, come si fa con un bambino.
 
Nel suo immenso dolore, pensava all'amico vero e meraviglioso che aveva avuto; con sorriso beffardo, pensò che Calò gli aveva giocato un bel tiro: aveva fatto prima di lui ... gli regalava la sua zampogna come il dono più prezioso. Se la portò con sé, a casa, ai pascoli, nelle radure. Gli bastava guardarla per sentirlo vicino.
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