Secondo 30 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Secondo 30

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA


"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"

XXX EDIZIONE Teviso, 11 gennaio 2025

Secondo classificato

Come quando la nebbia prende a salire
 
Di Grassini Jacopo
 
Capiago Intimiano (CO)

 
Come quando la nebbia che per ore si è addensata a valle, coprendo il mondo di un velo caliginoso, d'un tratto prende a risalire i pendii, come chiamata da una voce invisibile, su su, verso l'alto e, incontrate le cime aguzze dei monti, quella fitta coltre, muro inamovibile sino a poco prima, si lacera, si sfilaccia in mille brandelli di nuvola per poi, finalmente, dissolversi in quota, senza peso, nell'aria più leggera, così, allo stesso modo, fecero anche i pensieri della donna che avanzava, quel giorno, sul sentiero in salita: da opprimenti, cupi, fitti che erano sino a pochi istanti prima, quei pensieri divennero leggeri; senza preavviso alcuno presero a salire sino all'insignificanza e, ridotti a brandelli forse da quelle stesse cime, si dissolsero in una leggerezza insperata; senza peso.
Erano i primi giorni di luglio, l' aria era ancora gonfia del profumo dei pini bagnati dalla pioggia della mattina, ma la nebbia saliva veloce, segno che presto sarebbe tornato il bel tempo. Nell'aria solo lo scrosciare del torrente Zebrù, che dal ghiacciaio dei Forni confluisce nell'Adda. La donna in cammino sul sentiero vide, oltre i pini, la sagoma della piccola pieve, la chiesetta alpina dei Forni. Alla vista di quel semplice edificio un nodo le si strinse in gola: non si sentiva ancora pronta per incontrare la piccola statua della madonnina al suo interno, davanti ai piedi della quale, quando era stata bambina, aveva riposto tanti mazzi di fiori intrecciati, dei più vivaci colori. Lanciò in quella direzione uno sguardo veloce che subito si volse altrove; sapeva che quello sarebbe stato l'ultimo appuntamento di quella uscita, l'incontro doveroso sulla strada del ritorno. Ma prima occorreva trovare fiori che fossero adeguati a quel silenzioso omaggio, quindi proseguì sul sentiero ancora bagnato e punteggiato di pozzanghere.
Ines, così si chiamava la bella donna sui quarantacinque anni che quel giorno avanzava sul sentiero, procedette lasciandosi sulla sinistra la Val Cedec, passò il torrente e si diresse verso il Rifugio Branca; lo superò e avanzò oltre, con l'intento di dedicarsi, quasi di nascosto, alla ricerca di qualche fiore cresciuto tra le cenge erbose, fuori dal tracciato del sentiero.
Il tempo, come aveva previsto, andava migliorando e, tra le nubi in ritirata, presto fu possibile scorgere la cima svettante del Gran Zebrù, sopra il rifugio Pizzini, il crinale che portava al monte Pasquale, quindi al Cevedale; poi le si aprì la valle delle Rosole, ed in fondo, il ghiacciaio dei Forni. Quante volte da bambina aveva percorso quei sentieri! Quante volte aveva guardato con struggimento la ritirata di quel ghiacciaio che, un tempo padrone della valle, ora si asserragliava in un disperato fortilizio di seracchi sempre più in alto, assediato da un mondo ostile che gli negava la speranza. Così si era sentita anche lei quella mattina: in inesorabile ritirata, prima che il diradarsi della nebbia in fondovalle le desse qualche sollievo.
Raccolse fiori, di nascosto, temendo di essere redarguita. Raccolse fiori sentendosi una stupida ma cercando ostinatamente quelli di cui le parlava sua nonna.
Cercava l'aconito blu e quello giallo, l’eringio, la genziana, il botton d'oro. Una frenesia mista a impazienza, forse una forma di disperazione, la faceva sembrare allegra mentre scrutava l'erba con gli occhi azzurri. Ogni fiore le regalava un colore ed ogni colore era il ricordo di figure che avevano animato la sua infanzia, trascorsa su quei monti.
Figure di uomini e donne scomparse da tempo ma che il tempo aveva mutato in fiori. Così le aveva raccontato sua nonna Olga.
Ma era mai possibile? Zio Gerardo, con il suo bellissimo sorriso, sempre intento a curare gli animali che le aveva insegnato a mungere, era davvero quell'eringio rosso che teneva in mano? La figura della dolce Caterina, capace di raccontare le storie più belle prima che una maledetta caduta sulle piste non la portasse via nel più gelido degli inverni, poteva essere mutata nella compostezza di una genziana? E la nonna Olga? Lei doveva senz'altro essere diventata il suo fiore prediletto, il botton d'oro! E lei stessa? Ines? Quale fiore sarebbe mai diventata quando...quando... Non seppe ultimare la frase nella mente.
Quel pensiero si avventò su di lei come la mano di un irrispettoso escursionista si abbatte su un fiore di stella alpina. Le si sciolsero le ginocchia e si lasciò cadere a carponi sull'erba, il respiro affannato si strinse in singhiozzi. Pianse, pianse forte tra i fiori dai colori più accesi. Le lacrime le sgorgarono dal viso con più impeto delle acque dello Zebrù che le scorreva vicino; e così, sdraiata sull'erba, ad occhi chiusi, trasformò i pensieri in lacrime e quelle lacrime di nuovo in pensieri, in un turbinio di fotogrammi affollati.
Rivide molte cose: sentì il profumo e la nuvola di vapore, calda sul viso, della polenta appena pronta su un tagliere di noce; si rivide, fanciulla, a baciare un giovanotto sullo sfondo del Gran Zebrù; vide il suo lavoro in dipartimento, all'università di Ginevra; sentì scricchiolare il ghiacciaio dei Forni sotto i propri piedi e trasformarsi nel pane di segale preparato da sua nonna Olga; vide suo figlio Nicolas  piangere, cercandola; il volto sorridente di suo marito Edmond sporgersi dal colletto azzurro della camicia che gli aveva regalato appena tornati dall'Islanda; vide un medico e una diagnosi terribile; una voce che diceva in francese “E' un cancro, signora!”; sentì il rumore sordo dei seracchi esplodere; desiderò diventare roccia di granito, sasso muto, muschio insensato; rivide la madonnina della pieve; suo figlio Nicolas, sua nonna Olga e fiori, fiori colorati in ogni dove. Stette così, supina, per minuti che trascorsero eterni come ere geologiche.
Si riprese solo quando sentì una voce femminile, calda, che domandava: “Signora! Signora come sta? Ha bisogno di un medico?”
Ines si riebbe e confusa, imbarazzata, si portò le mani al volto per nettarsi il viso dall'usura delle lacrime; per sistemarsi i capelli scarmigliati dall'erba. Inutile dire che questi tentativi non valsero a nascondere la sua prostrazione.
Vide avanti a sé una signora composta, sulla settantina, col viso solcato dal tempo; occhi grandi e lunghi capelli bianchi, raccolti in una treccia elegante. “Signora, come si sente? Passavo di qui e l'ho vista cadere. Non è inciampata, vero? Se riesce a camminare, il rifugio non è distante, da lì potremo chiamare un medico o una jeep potrà riportarla in paese!”
“Sto bene, grazie!” rispose Ines, ammiccando un sorriso con poca convinzione; “Riesco a camminare...guardi!” e si mise a zampettare sull'erba attorno all'anziana, “..vede?”
La signora raccolse da terra il mazzo di fiori colorati che Ines aveva intrecciato: “Questo credo sia suo” e glielo porse .“Sicura di stare bene? Che succede?” aggiunse.  Ines taceva.
“Guardi,” proseguì l'anziana, “ho con me un thermos...le va di mandar giù qualcosa di caldo e zuccherino?...le farà bene! Facciamo così: prima si segga, resti qui seduta ancora un po'; non stia lì a sgambettare in giro per nulla, tranquilla; stia qui, vicina a me...non vorrà lasciare una povera vecchia fatiscente tutta sola per la valle? Poi, se mi trova noiosa o brontolona, può andarsene quando vuole..eh ?!?”
L'anziana le coprì le spalle con la propria giacca e stese a terra la felpa che teneva legata alla vita. Ines si sedette e accettò la bevanda calda, ne sorseggiò un poco e le fece bene. Rimasero così, sedute in silenzio per parecchio. Talvolta l'anziana donna carezzava la schiena di Ines con premura e controllava il viso della donna per sincerarsi che i suoi lineamenti tesi tornassero a rilassarsi. Il cielo si era fatto limpido e luminoso, davanti a loro il ghiacciaio dei forni guardava quelle due donne con silenziosa curiosità. A chi le avesse viste da lontano potevano sembrare madre e figlia. Ma neppure si conoscevano, sino al momento in cui la più giovane tra le due disse: “E' stata molto cortese, mi scuso con lei, non doveva scomodarsi...sono una pazza!”
“Ma no che non è pazza! Ha avuto un momento difficile, non si deve scusare affatto! Come si chiama?” “Mi chiamo Ines.” disse la più giovane tra le due, tenendo nelle mani il mazzo di fiori colorati raccolti poco prima.
“Bellissimo nome! Molto piacere Ines, io sono Rosa e, posso aggiungere che, al tuo meraviglioso bouquet di fiori colorati mancava, forse, solo una rosa...eccomi qui allora: l'hai trovata!” disse sorridendo.
Ines volse il capo in direzione della donna e la guardò con stupore e commozione; le tornarono lacrime affioranti sul viso.
“No no!” disse Rosa “Stai tranquilla Ines! Se ti va, possiamo fare due chiacchiere assieme. Siamo sole qui. Nessuno ci sentirà. Cosa succede?”
Ines distolse i suoi occhi azzurri dalla donna e tornò a posarli avanti a sé, in un punto impreciso del ghiacciaio. Poi iniziò a parlare: “Sono nata in questa valle, sono cresciuta qui ma ora vivo a Ginevra. E, anche se oggi sembro pazza, sono una biologa e lavoro per l'università: faccio ricerca sui cambiamenti climatici in atto nell'arco alpino. Sono cresciuta in questo spazio, pertanto, è stata proprio la ritirata del ghiacciaio dei Forni a ispirarmi, sin da bambina, la voglia di tutelare questo ambiente e... cosa dico? Ho raccolto quei fiori...so che non avrei dovuto. Sono una stupida! Li ho raccolti per portarli...alla Madonna della chiesetta qui sotto...” Si portò le mani al viso e rise per autocommiserarsi “...Ci crederebbe, Rosa? Una scienziata che ha perso la fede da tempo, che lavora tutelando l'ambiente, si mette a mutilare la biodiversità della valle dove è cresciuta raccogliendo fiori di montagna per portarli alla Madonna della pieve? Ridicolo! Non mi credevo capace di tanto fino a questa mattina!”   
“Io invece lo trovo curioso!” disse Rosa con garbo, “Vorrà ben dire che questa valente scienziata avrà le sue valide ragioni per fare quello che fa; sbaglio?”
“Questa stupida biologa...” proseguì Ines parlando di sé stessa con sarcasmo “...è tornata a trovare i suoi genitori e si è ricordata la vicenda di sua nonna Olga e di suo nonno Eugenio. Quella donna, anni fa, raccontava alla nipotina Ines di suo marito, di quando fu mandato, alpino, in Russia e di come lei lo attese per anni, pregando la Madonna della Pieve perché tornasse da quell'inferno. Olga portava fiori ogni giorno sull'altare in quella chiesetta; diceva che i fiori erano le persone amate che avrebbero pregato in silenzio la Madonna perché mio nonno tornasse sano e salvo. I fiori avrebbero vegliato su di lui, capisce?”
“E come andò a finire?” Domandò Rosa.  
“Mio nonno tornò! Portando con sé i terribili ricordi di quella ritirata ma, assecondando mia nonna, le disse che mentre era in Russia, sul Don, nelle notti più fredde, sentiva distintamente...è assurdo...il profumo di questi fiori alpini!!”
“E' una storia splendida, questa! Ma in che modo ti turba tanto? Per chi raccoglie i fiori, Ines, oggi?” Chiese Rosa.
Ines scoppiò in lacrime:“Per me! Perché due settimane fa, a Ginevra, ho scoperto di avere un cancro!” Rosa prese a stringere più forte le mani di Ines nelle proprie. “I medici dicono...” proseguì la donna in lacrime “...che dovrò iniziare un ciclo di chemioterapia a breve; ho paura...e  senza nessuna razionalità....appena ho potuto, sono tornata qui, nella valle dove sono cresciuta, per portare alla Madonna della Pieve i fiori che mia nonna offriva implorandola perché mio nonno tornasse. Per me...per mio figlio Nicolas....per farmi tornare da lui. Per implorare le persone nascoste nei fiori, ancora una volta, di non separare due persone che si amano. Una moglie dal marito. Una madre dal figlio. Ma è tutto così insensato...mi sento così idiota! Scusami Rosa!” singhiozzava.
Rosa la guardò con commozione e la strinse forte a sé: “Non dire più che è ridicolo Ines, non dirlo! Affidati alle cure dei medici e torna presto dal tuo Nicolas, ma fai quel che ti sei imposta di fare!” “Ma non ha alcun senso! io...” Ribatté Ines.
La interruppe Rosa: “Ascolta. Anche la scienziata più razionale del mondo può avere paura e, quindi, può fare cose che non farebbe se di paura non ne avesse. La tua paura è grande, come non averne? Ne ho anch'io per te! Lo ripeto, affidati ai medici ma non schernire le ragioni della tua venuta qui. Qui hai le tue radici ed esser qui è già una forma di cura. Questo sfogo che solo io, i fiori e le tue montagne ascoltiamo come testimoni comprensivi e rispettosi del dolore altrui, questo può già aiutarti. Perdonati la paura e non schernire queste montagne...loro ti hanno resa la valente biologa e la splendida donna che sei! Certo sapranno prendersi cura di te, come tu ti sei presa cura di loro con il tuo lavoro. Sono, anzi, ben felici di porgerti quei fiori che hai preso loro per una causa così nobile. Nessuno può deridere le tue paure adesso, nessuno...nemmeno tu! Ci sono verità della scienza di oggi che saranno smentite dalla scienza di domani; vi sono però anche verità insondabili... che restano, che nessuno mai potrà smentire con certezza e che, pertanto, rimangono eterne...come le montagne. Io non posso aiutarti a guarire, certo, ma se questo nostro incontro serve a qualcosa, potrà servire a farti accettare le tue paure e le strade che hai sentito di dover percorrere per superarle.
Le genti di queste Alpi hanno convissuto con le montagne, imparando, con fatica e meraviglia, a custodire le verità che esse insegnano agli uomini in segreto. Sulle Alpi molte cose sono in ritirata: i ghiacciai, che hai studiato e curato, si ritirano, e la colpa è probabilmente dell'uomo; le lingue ladine delle valli dove sono nata io, a Coira, si ritirano, e il romancio, come un ghiacciaio, si ritrae sempre più verso luoghi remoti; la vita stessa è in ritirata sul mio corpo... vedi come, andandosene, lascia profondi solchi e vallate sul mio viso, come i ghiacciai? Oggi però noi faremo in modo che siano le tue paure a battere in ritirata, lasciando certo cicatrici inevitabili, nel solco dietro di sé, dove sono passate, anch'esse...come i ghiacciai su queste valli. Non siamo poi così diversi, lo vedi, noi, gente dei monti, dalle montagne dove siamo cresciute!”
Ines la guardò e, per la prima volta, quel giorno, sorrise.
“E ora, forza” disse Rosa alzandosi dall'erba “se stai meglio, accompagna questa attempata vecchietta dalla Madonna dei Forni...i fiori appassiscono in fretta!”

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