Secondo 29 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Secondo 29

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna:  le sue genti, le storie di ieri e di oggi”

XXVIII EDIZIONE Arcade, 5 gennaio 2023

Secondo classificato


Lo scrigno di cera
di Scanavacca Giovanni
Lendinara Rovigo


                                                                                                                                                                                                                      Oh Signore, è primavera,                 
                                                                                                                                                                                                                                          il vento profuma i prati,                         
                                                                                                                                                                                                                                          il sole prolunga il giorno.                       
                                                                                                                                                                                                                                          Racconta, Signore, questa preghiera   
                                                                                                                                                                                                                                           
a chi non fa ritorno.
                            
                                                                                                                                                                    (Bepi de Marzi)


La scrivania in noce del nonno era sempre là a ricordare una vita trascorsa a far pratiche legali. Avvocato di vecchio stampo aveva affrontato da quella postazione i problemi più disparati.
Punto di osservazione, prima che di lavoro, il suo studio era stato per anni regno e rifugio.
La stima se l'era guadagnata in decenni di battaglie legali, di vittorie e sconfitte, ma sempre con l'idea di dover rispondere del proprio operato, prima che al cliente, alla propria coscienza.
E su quel punto insisteva con noi nipoti, bambini prima, adolescenti e giovani adulti poi.
Ereditare il suo studio per me era stato un susseguirsi di passaggi lenti e senza forzature quasi a seguire un disegno prestabilito. Condotto per mano sui sentieri della professione ero io ora a tentare di seguire il suo esempio.
E, su quella scrivania, c'era da sempre uno strano soprammobile. Un oggetto metallico, di ghisa direi, adatto a trattenere fascicoli o libri.
Fin da bambino mi aveva incuriosito: "Cos'è, nonno?"
"Una brutta cosa che i bambini non devono conoscere. Capirai a suo tempo."
"E perché la tieni lì, allora?"
"Perché bisogna sempre avere presente il male per evitarlo."
E la conversazione con me bambino era sempre finita lì.
Ora avevo capito cos'era l'oggetto misterioso: l'involucro di una granata della prima guerra mondiale.
Sul perché fosse sempre stato lì potevo solo formulare ipotesi.
La prima, la più forte, era che fosse un ricordo.
Il nonno era stato in trincea, ma non ne parlava volentieri e men che meno con noi nipoti, specie quando eravamo bambini.
Qualcosa di importante doveva essere legato a quell'oggetto, ma non avevo nessuna idea.
Per rispetto decisi di lasciarlo dov'era stato per decenni sposando la sua trasformazione da bomba a mano a fermacarte.
Solo dopo qualche tempo dal mio insediamento nello studio la mia attenzione fu attratta da un particolare che non avevo notato prima.
Si trattava di una vecchia granata a frammentazione della prima guerra mondiale, probabilmente austriaca. La superficie esterna del corpo in ghisa era quadrettata, particolare che, nell'idea dei progettisti, doveva facilitare la rottura dell'ordigno in minuscoli proiettili di ghisa.
Osservai meglio: all'incirca a metà c'era un'irregolarità e i solchi della ghisa scomparivano per tutta la circonferenza. Pensando ad un accumulo di sporco presi una graffetta, la raddrizzai a ottenere un frammento di fil di ferro che mi consentisse di pulire l'oggetto.
Dopo un po', con mio grande stupore, mi ritrovai con un mucchietto di cera sulla scrivania e la granata aperta in due.
Al suo interno un rotolo di foglietti ingialliti.
Qualcuno, senz'altro il nonno, l'aveva sigillata in quel modo chissà quanti anni prima.
La grafia antica rivelava appunti di un tempo lontano.
Di colpo tornai indietro di un secolo.
«1917 - Montagna, guerra, freddo, fame e morte.
Siamo quassù da un tempo immemorabile. Dicono che l'avvicendamento è prossimo, ma, ogni giorno, la data si allontana e la lista dei morti si allunga.
Come mosche muoiono ragazzi di montagna e di pianura.
Nugoli di bombe ci bersagliano di giorno e di notte.
Gli ufficiali pretendono che si vada all'assalto, a sfidare morte quasi certa per non far progressi.
Il nostro orizzonte è a cinquanta metri: una trincea dove altri come noi osservano e aspettano.
In mezzo filo spinato, trappole, mine e i morti degli assalti dei giorni scorsi.
A far da sfondo c'è quel che, invece, dovrebbe essere l'orizzonte vero.
Vette austere e alberi a colorar versanti lontani fino al punto dove il verde cede il passo al bianco. Bianco abbagliante al sole di nevi eterne e cime fatte di mille anfratti dove solo uccelli audaci e maestosi possono arrivare. Paesaggio di colori e silenzi di forza e pace…
Già: pace. Parola che ben si addice a questi luoghi e che non abita più qui.
Violata, offesa, ignorata.
Pace: un'aspirazione, una chimera, ormai.»
Il primo foglio si chiudeva con questa considerazione amara.
Mi stupii aprendo il secondo.
«Il destino è dispettoso a volte, crudele spesso, benevolo raramente.
Ieri mi è toccata l'esperienza di sperimentare quest'ultima possibilità.
I nemici usano delle granate particolarmente pericolose: sono progettate per produrre nuvole di frammenti. Granate "a frammentazione" si chiamano.
Ordigni per uccidere più gente possibile.
Però si vede che, anche fra gli illustri ingegneri dell'imperatore, ce n'è qualcuno che sbaglia i calcoli.
E in questo sta la benevolenza del destino: una di queste bombe mi è arrivata praticamente addosso. Quando me ne sono reso conto ho pensato che per me fosse finita, invece con un soffio la granata ha perso la sua forza dirompente e si è lentamente spezzata in due senza esplodere nel vero senso della parola.
Si vede che non era la mia ora.
La raccolsi e decisi di conservarla.
Oggi, a guerra finita, la trasformo in uno scrigno di ricordi.»
Ecco cos’erano quelle carte! Ricordi in un rotolo di carte sistemato al posto dell'esplosivo.
Continuai con cautela a esaminarli.
«Oggi finalmente la guerra è finita.
L'avvicendamento non c'è mai stato e solo adesso possiamo lasciare le posizioni.
Sto raccogliendo le mie cose.
Poche.
Guardo fuori e i ricordi mi assalgono.
La mia felicità non può essere completa.
Riempio lo zaino con quel che resta delle divise e poco altro.
Qua e là gli appunti con le memorie dei giorni duri, la testimonianza dello sconforto, le riflessioni di giorni e giorni di sofferenza e questa bomba che mi ha risparmiato per uno strano scherzo del destino e che suscita domande per le quali non ho risposte.
O forse no.
Qualche risposta l'ho trovata nelle mie memorie affidate a foglietti dimenticati nelle tasche, nella giberna, nello zaino.
Quella bomba fu pensata per essere riempita di esplosivo, io voglio trasformarla.
Voglio riempirla di qualcosa di molto più esplosivo del tritolo.
Voglio riempirla di pensieri, perché è il pensiero che ci distingue dagli animali e d'amore, perché è l’amore che rende simili a Dio.
Per questo la riempirò di quelle carte sulle quali ho fissato ricordi, paure, sentimenti.»
Davvero in quel piccolo rotolo di foglietti c'era molto. Un diario minimo della vita di trincea, un resoconto fedele dei moti del cuore.
Riservatezza vuole che non tutto possa essere rivelato, salvo quel che attiene allo scopo principale per il quale il nonno aveva riposto là quelle carte.
Per questo scelgo tre memorie.
«Il cielo sopra le trincee è uguale per noi e per i nemici.
Che sia azzurro o plumbeo che porti tempesta o sereno per tutti resta lo stesso. E tutti da qua lo guardiamo: per cercare speranza, per invocare pietà, per scoprire auspici, per tentare di indovinare il sentiero verso l'infinito, per immaginare che lassù ci sia la felicità per i nostri compagni rimasti a scrutarlo dal fondo di un campo di battaglia.
Occhi spalancati verso il cielo sono quelli dei vivi in cerca di serenità e quelli dei morti a invocare pietà, a cercare rispetto.
E le bombe continuano a cadere oscurando quel cielo al quale vorremmo affidarci.
Voragini inghiottono soldati e si trasformano in sepolcri.
E la mitraglia continua a violare il silenzio.
Montagne maestose ci guardano e sovrastano.
Nevi perenni fanno da cornice a questo che dovrebbe essere un santuario, una cattedrale dalla quale ammirare l'infinito per tendere all'eternità.
Sangue e odio testimoniano la stupidità umana e sembrano voler certificare la vittoria del male sul bene nel loro eterno conflitto.»
E subito dopo, nel foglio successivo, la tonalità cambiava per far spazio all'amore.
«Ti ho vista la prima volta che eri poco più che una ragazzina.
Non sapevo allora cosa fosse quella cosa che mi faceva battere forte il cuore.
Non capivo allora perché non riuscivo a non pensarti.
Non sapevo allora perché immaginavo il futuro solo con te.
Ti ho visto più grande e il mio cuore ha continuato ad accelerare i suoi battiti.
Allora già sapevo che questo si chiama amore, ma non mi era chiaro ancora quanto fosse grande.
Del sentimento che rende stupidi anche i saggi voglio parlarti oggi anche se non so se riuscirò a inviarti questa lettera.
Vorrei trovar parole per descriverne forza e grandezza e riesco solo a commuovermi seguendo un turbine di ricordi e sentimenti. Vorrei far stare in una lettera l’infinito, non ci riesco perché un secchiello non può contenere il mare. Mi restano solo lacrime a bagnare i miei occhi.
Forse non ci sarà domani per me.
Qui tutto è precario e può crollare da un momento all'altro ed io posso diventare un numero nella conta quotidiana dei caduti.
Dell'amore che provo per te a nessuno importerà.
Per questo lo scrivo nella speranza che, se non te lo potrò dire di persona, sia la carta a portarti traccia del mio sentimento.
D'amor ti voglio parlare da questo luogo di morte.
D'amor ti voglio parlare perché voglio sperare.
Alla speranza mi affido per coltivare amore.
Perché solo speranza e amore costruiscono il futuro.
E, se è vero che nessuna notte  è infinita, finirà pure questa.
Per questo ogni mattina ti penso guardando l'alba, indovinando i contorni dei monti qua attorno mentre sorgono dalla notte.
Per questo ogni giorno ti regalo con la mente i fiori che vedo sbocciare sui costoni, siano rododendri o stelle alpine o semplici fiori di campo.
Fiori per te, mio piccolo, grande, eterno amore.
Fiori per coprire il male e profumare il futuro.
Ti amo e con te voglio costruire il mondo.»
La pagina successiva mi fece pensare a lungo.
«Un testamento voglio scrivere perché qui tutto è precario.
Non ho beni da lasciare. Né ho eredi definiti.
La  guerra mi ha rubato il tempo per costruirmi una famiglia e di avere dei figli.
Però un testamento lo voglio lasciare.
Lo lascio a un figlio che non ho.
Lo lascio a tutti quelli che potrebbero essere miei figli.
A loro lascio idee.
Mi guardo attorno e non riesco a non cogliere la bellezza di ciò che mi circonda.
Non riesco a non guardare oltre le linee, non riesco a vedere questo luogo solo come un campo di battaglia.
Montagna, regno di silenzio e pace, questo per me dovrebbe essere questo luogo.
Se qualcuno troverà questo scritto spieghi ai bambini che le montagne sono le scale verso Paradiso.
Li prenda per mano e li stimoli a cercare i gradini nascosti che dalle vette vanno verso l’Infinito.
Li porti nei prati, li faccia coricare nell'erba affinché possano vedere le formiche che, laboriose, costruiscono le loro città.
Testamento scrivo indirizzandolo a bambini che, divenuti grandi,  continueranno a vedere i gradini verso l'infinito.
Da adulti coglieranno le mille sfumature dei colori dei tramonti fra i picchi e le mille illusioni notturne create dalla luce lunare.
Testamento per adulti capaci di restar bambini e cogliere l'infinito nei piccoli particolari.
Testamento di idee con le quali riempire i vuoti, riscaldare le notti fredde, immaginare giornate radiose.
Testamento scrivo per chiedere di trasformare le armi in metallo inerte.
E verrà la pace.
Taceranno le armi.
E soffierà il vento.
Sarà "bora chiara", quella che spazza la tempesta e restituisce l'azzurro al cielo.
Testamento scrivo, fiocco di neve sui ghiacciai eterni, preghiera per i morti e supplica per i vivi a lasciar perdere i giochi di guerra.
A bambini di ogni età dico di non aver vergogna nei sentimenti, di non aver paura di perdonare, di non avere esitazioni nell'essere altruisti.
Ai potenti guerrafondai lascio solo poche parole: ricordino che saranno dispersi nei pensieri del loro cuore e, come foglie secche, verranno trasportati dal vento dell'eternità. Vagheranno senza pace per un tempo infinito.»
Da allora porto bambini in montagna a cercare di vedere le scale verso il paradiso.
Il bello è che loro mi assicurano di vederne tante, una per ciascuna cima, ripide o più facili, a chiocciola o a pioli, ma tutte dirette verso il cielo.
E ogni volta imparo la semplicità, mi stupisco per la fantasia, mi chiedo se davvero la purezza del cuore consenta di vedere oltre il visibile.
Allora mi par di sentire un coro a riempire il silenzio popolandolo di armonie che trasformano la musica in preghiera.
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