Novecento marsicano - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Novecento marsicano

Tutte le edizioni > Edizione08
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

VIII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2003
Segnalato

Novecento marsicano

di Rosa Romano Bettino - Legnano (MI)



Mai ti sommuove o natura, né muta una sillaba sola
Alle tavole delle tue leggi; perché anch’esso è tuo figlio.
Con lo spirito della quiete nato da un unico grembo.
Holderlin
 
 
 
Marsica - notte del 12 gennaio 1915.
"America" mormorò Lucia "andrò in America." Dallo spiazzo adiacente alla casa, situata nel punto più alto del paese - un pugno di pietre arroccate sul crinale della montagna -, Lucia vagava qua e là con lo sguardo. Inquieta, alzò gli occhi al cielo - in parte per ringraziarlo ed in parte per interrogarlo giacché temeva qualcosa ma lei stessa non sapeva che cosa - e, stringendosi lo scialle sul petto, si toccò i seni con entrambe le mani-. la lettera d'Antonio era ancora lì, custodita gelosamente nella sua carne. L'aveva letta e riletta innumerevoli volte, ormai la conosceva a memoria, poteva ripeterla, cantarla, recitarla, non era una lettera, era canzone, poesia, sogno e promessa di libertà. "Aspettami" le aveva scritto Antonio "aspettami che ritorno e ti porto con me in America."
"Andrò in America" ripeté a sé stessa, ma nel silenzio di quella gelida notte le giunse l'eco di lamenti indistinti che, dall'alto delle montagne, scendevano a valle con la cadenza di un requiem."…No..." le rispose un pensiero che non proveniva dalla sua mente "no...". Si guardò ancora attorno: la luna, al primo quarto, riverberava una sinistra luce rossastra, attorno neve, neve ovunque a trattenere il pensiero. E ancora alzò gli occhi al cielo.
"Che fai Lucia, qui sola, a quest'ora?" domandò, da dietro, la voce già nota di zia Nannina. Lucia ebbe un sussulto, la neve aveva reso silenti i passi strascicati di zia Nannina così che non l'aveva sentita arrivare. "Guardo le stelle, non riesco a dormire." rispose, stringendosi ancora dì più lo scialle sui seni. "Perché, che cos'hai?" domandò zia Nannina.
Lucia si voltò ad osservarla. Era bella malgrado gli anni. Anche adesso, sotto quella falce di luna aggressiva, mostrava una grazia disarmante, tanto era semplice e dolce, con i capelli ingrigiti raccolti a crocchia, una mano a trattenere la lanterna e l'altra lo scialletto celeste di cui era particolarmente gelosa. Com'era gelosa del medaglione che portava al collo. Strana storia quella del medaglione: un regalo, un omaggio del Re, o forse era solo di un soldato del Re? La verità si perdeva nelle pieghe del tempo, ma ciò che contava era il senso, il valore che per tutta la vita ella aveva dato a quel medaglione.
"Dimmi cosa c'è?" insistette zia Nannina.
"Sono inquieta. Inquieta... Dovrei essere contenta, ché Antonio mi ha scritto. "Fece un largo sorriso: "Mi porta in America, zia!" continuò "In America, lui ed io. Una vita nuova m'aspetta, una vita vera, in un paese diverso, moderno, dove c'è gente bella, istruita e ricca... Eppure... lo sentite questo lamento?... e questa luce? Le vedete le stelle? Mai sono state così stinte e indecise. Ho paura zia Nannina... ho paura che non ci vado in America...".
"Sei agitata, ecco perché. Hai appena ricevuto la lettera d'Antonio, l'aspettavi da tanto, domani, vedrai, sarà tutto diverso."
"No, è da quando è scoccato l'anno nuovo che me la sento questa paura" confessò Lucia.
Zia Nannina si avvicinò, sollevò la lanterna e la guardò dritto negli occhi. "Giura che stai dicendo la verità" le disse.
"Perché devo giurare? Se vi dico che è così, è così "ribatté Lucia.
"Perché anch'io sono in ansia, e anche il mio batticuore è iniziato esattamente allo scoccare del nuovo anno " rispose zia Nannina "Domani è il tredici… tredici gennaio 1915... Una data come un'altra, eppure dal primo giorno dell'anno una voce spaventosa me la ripete continuamente... 13 gennaio 1915, 13 gennaio 1915 e non capisco perché."
Lucia le prese il braccio con entrambe le mani "Anche voi? Allora? Non sono fantasie le mie! C'è... c'è qualcosa di strano... tutto è strano, misterioso, persino gli animali: le galline svolazzano, i gatti rizzano il pelo e si nascondono, i cani guaiscono come mai hanno guaito, l'asino, il mulo... impazziti... Perché? Cos'è?"
"E per questo guardavi le stelle? A che ti serve?" domandò zia Nannina.
"A capire! Ricordate cosa disse il cantastorie che venne d'agosto?" rispose Lucia.
"Ricordo, ricordo, ma raccontava leggende, storie per incantare" disse zia Nannina.
"No, disse il vero e qualcosa di più:
“Nel cielo ci sono forze invisibili travestite da stelle, ogni stella è governata da un angelo bianco e da un demone nero. Ora guida l’angelo bianco ora il demone nero…”
E poi aggiunse:
“Ogni stella comanda un pezzo di noi. C'è chi si occupa dei fatti di cuore, chi è più esperta nell'arte della parola, chi è capace di vendere e dare fortuna, chi fa montare le maree e le alluvioni e chi affila la falce a preparare la morte.
“Tra di loro c'è un grande fermento, si preparano a fare la guerra…”.
Zia Nannina scosse leggermente la testa "Figlia mia, sono storie".
"Invece vi dico che è vero" rispose Lucia con un moto di ribellione. "Non è molto che è passata la cometa, e la cometa non passa mai a vuoto."
Si avvicinò al pero, che benché ricoperto di neve era in fiore. "Guardatelo" continuò "non vi pare un mistero il fatto che sia fiorito? mai era fiorito un pero in inverno, perché? È tutto scritto, là, lo so.." concluse con il braccio rivolto al cielo.
Anche zia Nannina andò verso il pero, lo guardò quasi con riverenza "Non è al cielo che devi rivolgerti se vuoi sapere perché è fiorito " disse.
"E a chi allora?" chiese Lucia
Zia Nannina abbassò lo sguardo ed indicò la neve ammucchiata ai piedi del pero. "Il mistero sta qui" disse "sotto questo strato di neve, l'ho visto nel sogno, il mistero, io ho visto che è sulla terra, nella terra...".
Lucia le si aggrappò al braccio "Il segno avete detto? quindi avete sognato? cosa? Ditemelo!"
Zia Nannina si liberò dalla stretta "Non so... non ricordo..." disse portandosi le mani al volto "cerco... mi sforzo di ricordare, ma davanti agli occhi ho solo un telo nero. E da lontano sento parole... che non sono dette e neppure sussurrate, però arrivano qua" sospirò indicando il cuore "e come spade affilate me lo trafiggono".
Lucia le riprese il braccio, glielo scosse "Che dicono le parole, che dicono?" Zia Nannina continuò, con una voce che non sembrava la sua tanto era infeconda e smarrita. "Dicono che nella terra c'è una matassa che non è una vera matassa, ma una specie d'anima ingarbugliata in una prigione, e che si agita, vuole srotolarsi, uscire, vedere la luce...”
"Che significa? qual è il senso?" domandò ancora Lucia.
"Non so... non so..." rispose zia Nannina".
"E allora? Insistette Lucia "Allora non potrò capire, devo portarmi dentro quest'ansia... fino a quando? Non posso... non posso...".
Zia Nannina a quel punto s'inchinò ai piedi del pero e con le mani iniziò a scavare nella neve.
"Che fate?" chiese Lucia.
"Zitta" rispose zia Nannina "L'unica cosa che conta sono la terra e le nostre montagne e noi ce le dobbiamo fare amiche. Siamo uomini e donne, meno di niente in mano al destino" continuò mentre con un gesto deciso si strappava il medaglione di cui andava orgogliosa. Si fermò, lo mostrò a Lucia e finalmente raccontò la sua storia:
"...Salvatore, un soldato che faceva la guardia del Re. Me la diede poco prima d'andare a Roma. Aspettami, mi disse, quanto prima vengo a prenderti e ti porto con me. A Roma... dove c'è il Re, ero più che felice, mi sembrava di vivere al di fuori del mondo, con la mente già là, in quelle strade larghe alberate, contavo ogni giorno che passava, uno di meno mi dicevo. Invece si ammalarono i miei, prima la mamma, poi il babbo ed io che ero la più grande capii che non potevo lasciarli, né loro, né i miei fratelli più piccoli erano sette e tra loro c'era anche la buonanima della tua mamma. Così a Roma, non ci andai più."
Lucia restò incredula, senza capire. "Non sapevo. Ed ora che fate?"
“È arrivato il momento di dirgli addio” disse baciando il medaglione "di rinunciare anche al ricordo di un sogno" continuò e delicatamente lo posò nella terra. "Ho sotterrato la mia paura." affermò quando ebbe finito.
Lucia restò muta, aveva le gote rosse e il cuore in tumulto, al contrario di zia Nannina che, sorridendole affettuosamente aggiunse "...e anche la tua..."
13 gennaio 1915 - ore 7 00
Il gallo aveva cantato per lungo tempo, quando ancora infuocava la luna e i pensieri erano stalattiti di gelo. Nella casa in cima al paese, i grandi erano svegli da un pezzo, solo i bambini dormivano ancora.
Lucia, già lavata e vestita, aspettava zia Nannina per andare alla Messa, ché la campana aveva suonato due volte, ma questa si agitava per casa più che mai contrariata: non trovava una scarpa, o meglio una ciocia, calzatura di legno fatta apposta per la montagna d'inverno.
"Siete sicura di non averla messa da qualche parte?" chiese Lucia guardandosi attorno.
"No, sono sicura" rispose zia Nannina. " ieri notte c'era, l'ho vista..."La cercò dappertutto ma non la trovò. Alla fine si rassegnò "Pazienza, la Madonna capirà..."disse a Lucia la quale, nell'attesa, s'era messa a sbucciare le patate. "Forse è meglio così, mi ha preso un dolore qui al fianco" aggiunse "l'età, l'età...".
Lucia sorrise: "Non preoccupatevi, non vado neppure io, ormai è tardi. Se mai andrò alla funzione di mezzogiorno così se trovate la ciocia venite anche voi". Parlarono ancora ma della notte avanti nessuna delle due fece cenno, ed era un bene, poiché girava per casa Vincenzo, il padre di Lucia, uomo duro e di poche parole.
"È un inverno strano..." disse all'improvviso Vincenzo "un inverno come mai mi era capitato di vedere". Si avvicinò al fuoco per scaldarsi le mani livide, irrigidite dal freddo, e fu in quel mentre che zia Nannina si voltò di scatto: "Il rumore..." bisbigliò.
Vincenzo la guardò incuriosito, "Rumore?... quale?" ma non riuscì a terminare la frase. "Il rumore..." sussurrò ancora zia Nannina ed ebbe la sensazione che qualcosa sopra di lei dondolasse. Alzò gli occhi e vide muoversi la collana di cipolle appesa al soffitto, poi i tegami di rame fissati alla parete, i piatti... portò le mani alla testa... "il terremoto..." gridò; ancora il rumore... cadde una pentola appesa alla parete, un'altra subito dietro, e poi ancora un'altra, i piatti sulla credenza, la damigiana di vino, l'olio, le noci... e mentre polvere e tegole precipitavano dentro il cantino, il pavimento incominciò a sbadigliare. Urlando, con gesti rapidi zia Nannina gettò l'acqua con le patate sul fuoco. "Fuori, fuori." gridava intanto Vincenzo il quale, prima spinse verso la porta il figlio mezzano, poi prese il più piccolo ancora addormentato nel letto.
Da fuori, sullo spiazzo, con sgomento videro tutto il paese, che all'improvviso sembrava diventato di carta, dondolare e crollare con spaventosi boati. Restarono immobili per qualche istante, poi videro che anche la loro casa oscillava; infatti, si era formata una crepa nel muro e la crepa si apriva e chiudeva seguendo un moto ondulatorio preciso, come il batacchio di un pendolo. "Via, via spostiamoci..." gridò allora Vincenzo. E subito dietro "le bestie... liberiamo le bestie". Insieme, corsero prima alla stalla e poi verso il pollaio. "Le capre... le capre... il capanno laggiù è chiuso. ... " continuò Vincenzo, e tutti si diressero rapidamente al capanno.
Gli animali, appena furono liberi, si misero a correre all’impazzata; nonostante la neve andavano di qua, di là, e poi ancora su, giù, finché si fermarono anch'essi sullo spiazzo, come ad attendere qualcosa che ancora doveva accadere. Un momento, una frazione di momento e… la chiesa poco più giù, la stessa chiesa dove sarebbero dovute andare zia Nannina e Lucia, ebbe un altro sussulto e si piegò su sé stessa: calcinacci, polvere, sassi, tutto si sollevava da terra, per ricadere subito dopo, a seppellire grida, corpi, anime di tante donne in preghiera.
Vincenzo si tolse il berretto, ma non ebbe il tempo di inginocchiarsi. Poco più giù, un altro boato, un fremito innaturale, una, due, tre case, un vicolo intero, crollavano come birilli, mentre sul versante della montagna si staccavano, rotolando giù a valle, crostoni, macigni, insieme con alberi e sassi. Lucia era immobile, senza parole: simile ad una statua di neve ghiacciata, guardava senza riuscire a mettere in fila i pensieri finché non vide, ad oriente tra la polvere dei calcinacci, il bagliore del fuoco. "Brucia" gridò a squarciagola. "La casa di Antonio brucia". Lui era in America, ma non i suoi, non la sorella Topazia che il giorno prima le aveva consegnato la lettera. Dopo qualche minuto - troppo breve per loro che, increduli e senza parole, dallo spiazzo osservavano il paese giù a valle, interminabile per chi era sotto e gridava - i bambini si misero a piangere e zia Nannina, con molto coraggio, provò a consolarli; Vincenzo, a sua volta, ebbe uno scatto improvviso, "Bisogna fare qualcosa" disse e, infilandosi con cautela nello spazio che s'era creato tra la porta, crollata a terra, ed il muro pericolante, entrò in casa. Zia Nannina lo seguì, lo aiutò a sollevare una trave, a tenerne ferma un'altra che dondolava, a spostare tegole e legni caduti dal tetto, ed insieme presero quel che poterono: coperte, teli, lenzuola, qualche patata, alcune cipolle, un vecchio tegame.
"In casa non si può stare, ma fuori moriamo di freddo" disse ancora Vincenzo non appena ritornò nello spiazzo. Così recuperò un po' di paglia dalla stalla e con questa, insieme a sacchi e stracci, iniziò a costruire una tettoia al carretto. "Almeno un tetto... provvisorio... ché se riprende a nevicare... " diceva di tanto in tanto, con la voce fioca, quasi assente, giacché il suo pensiero era laggiù, tra le case di pietra, che ora case non erano più. Lucia, invece, sembrava diventata un fantasma; le mani giunte, lo sguardo lontano a scrutate il cielo di piombo, gli occhi vuoti, la mente nera e la parola sepolta, con passi lenti camminava sulla neve: avanti e indietro, senza una direzione. Poi, tutto ad un tratto sembrò ridestarsi: cambiando andatura, sguardo e movenze, corse vicino al pero, afferrò il tronco con entrambe le mani ed iniziò a scuoterlo, ad agitarlo, alternando ingiurie a disperati singhiozzi, finché, completamente fuori di sé, si strappò la lettera dal seno e rabbiosamente, disperatamente, la fece in piccolissimi pezzi. Zia Nannina, che la osservava da poco lontano, la raggiunse "Che fai?" le chiese.
"Straccio la lettera" rispose Lucia "tanto ormai... è successo... è, successo… in America non ci andrò più." E riprese a singhiozzare più forte.
Zia Nannina le diede uno schiaffo leggero. "Smettila e fattene una ragione, anzi ringrazia la terra, ché almeno noi siamo salvi" disse.
"Noi, ma guardate giù.... A che serve salvarsi da soli?" inveì Lucia.
"Purtroppo non siamo noi a decidere..." rispose zia Nannina. "Sono le regole della natura…".
Meno di un'ora e Vincenzo aveva finito, dopo aver fatto salire sul carretto i bambini, che al coperto e un po' più al caldo, divennero finalmente tranquilli, si calcò il berretto sulla testa:
"Vieni con me, scendiamo in paese, là c'è gente che ha bisogno di noi." disse rivolto a Lucia; la quale lo guardò con un'espressione straniata e non rispose. Poi, come, se le parole di Vincenzo, insinuandosi tra le macerie dell'animo, avessero liberato un pertugio attraverso il quale poteva indovinare la luce, s'asciugò le lacrime e fece di sì con la testa. Zia Nannina si sedette su di un masso roccioso e li guardò andare via. Avrebbe voluto andare anche lei,... lontano, avrebbe voluto andare lontano, non vedere, non sentire, mille domande la martellavano, come grani di sale a devastare il raccolto, ma doveva restate, ché c'erano i bambini e le bestie.
"Perché? Che abbiamo fatto di male?" chiedeva a Dio e alle montagne. "Perché?" ripeteva scollando il capo. Tutto distrutto! Uomini, donne, bambini e con loro il frutto di tante fatiche, sopportate in silenzio per anni e anni, annientati così, nel giro di pochi secondi! Per quale misteriosa ragione, perché?" E perché loro e non altri, perché lì e non altrove, per esempio in America?" Già l'America! "Perché?" domandò ancora, accarezzando il masso completamente privo di neve,... e non capiva, ma non aveva importanza... aveva dentro un gran vuoto e nello stesso tempo si sentiva scoppiare il cervello, batteva denti eppure il freddo non lo avvertiva, e nemmeno poteva piangere, ché gli occhi erano colmi di morti, l'aveva vista altre volte la morte, ma mai in modo tanto feroce e improvviso. "Che é?" chiese ad un tratto, come svegliata da un lungo sonno. Il cane, infatti, a testa bassa e con un roco lamento, le stava scarmigliando la veste. "Buono, stai buono" continuò, e poiché il cane insisteva, si girò a rabbonirlo, ma si bloccò all'istante: il cane aveva in bocca la ciocia, quella che aveva a lungo cercato e non aveva trovato. Ebbe un lieve sussulto e, attimo dopo attimo, rivide la scena del terremoto. Con brutale lucidità si soffermò sul momento in cui la chiesa crollava, riascoltò ad una ad una le voci, le grida, gli strazi... là dentro avrebbero dovuto esserci anche lei e Lucia, se non fosse stato per quella ciocia... si mise improvvisamente a tremare, ciò nonostante prese la ciocia, l’accarezzò e abbracciò il cane, il quale sembrò eccitarsi e rispose alle sue carezze con salti e guaì di gioia.
"Perché gli altri e non loro, non lei?" si interrogò nuovamente. Così, come sospinta da una forza soprannaturale, si alzò, andò vicino al pero, s'inchinò sulla neve ed iniziò a scavare. "È qua... lo so, qua l'ho messo..." diceva, e più scavava più le montava un'ansia indicibile, di cui lei smesso non si rendeva conto. Scavò fino a che non trovò il medaglione; allora sorrise, lo prese e, cullandolo come si culla un bambino, lo strinse al petto con forza: "Grazie..." disse, "grazie".
In quel mentre arrivò un'altra scossa: leggera, quasi vitale, tuttavia percepibile. Allora s'irrigidì nuovamente; rannicchiandosi tutta, si guardò attorno con diffidenza, poi chiuse, gli occhi, e dopo un fuggevole bacio, riseppellì il medaglione nel medesimo posto. Quando ebbe finito si alzò, allargò entrambe le braccia e girando intorno come una trottola, incominciò a ridere, a ridere, a ridere, a ridere...
E rise finché non cadde a terra sfinita.
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