La neve negli occhi - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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La neve negli occhi

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

X EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2005
Segnalato

La neve negli occhi

di Grazia Mauri - Mariano Comense (CO)



Fioca!
Viene giù leggera leggera, ma i fiocchi sono larghi e asciutti, si compattano subito appena arrivati a terra.
E la fioca la fa fioca.
Gli uomini in fila, uno dietro l’altro, camminano senza parlare, rapidi quanto lo permette il sentiero che sale a monte; scuri nel bianco sono più che visibili e lo sanno bene, si tengono rasenti alle piante, quasi per nascondersi.
Sperano nella nebbia grigia e fosca che spesso si accompagna alla neve e confonde la vista, quasi una nuvola magica che avvolgendoli li salvi dal pericolo che corrono a muoversi così, in pieno pomeriggio.
Tutti e quattro arrancano, il peso dello zaino li piega, nonostante il freddo di metà gennaio sudano sotto i giacconi militari; il fucile a tracolla sballotta di qua e di là, più un fastidio che una difesa.
Il primo della fila, il Bello, è il capo del gruppo; un Carnera di Lecco, la sua famiglia è gente che sta bene di soldi, anche adesso in tempo di guerra.
Mai stato fascista il Bello, mai stato sovversivo, mai impegnato in riflessioni profonde, le sue grandi passioni son sempre state due: le ragazze, e la montagna.
Perdeva la testa per due belle gambe, per un decolté audace. Il regime poteva così menarla con l’Eritrea e con l’Abissinia, le conquiste del Bello erano ben altre, meno esotiche forse, meno eroiche, ma infinitamente più soddisfacenti.
Quando infilava una mano sotto una gonna,altro che impero!
Nel ’41 l’avevano chiamato alle armi, alpino nella Tridentina, un bel ragazzo come lui in divisa era uno spettacolo per gli occhi, ma non aveva fatto nemmeno in tempo a goderne che subito l’avevano inviato in Russia, “armiamoci e partite”.
Il Bello è maturato in un amen.
Poi la sconfitta, la ritirata, la contumacia ad Asti, una licenza comprata e l’8 settembre.
Il Bello ha disertato, come tanti, per non finire nei campi di lavoro tedeschi.
E’ scappato qui, in Valsassina; i suoi vecchi hanno una casa di villeggiatura a Cremeno, ci venivano in estate, quando a Lecco faceva caldo e non si fiatava; adesso ci abitano, sfollati, perché giù in basso bombardano.
E lui, il Bello, è nascosto a monte, sullo Zuccone, a un passo dalla Punta Croce.
Sbandato,lui come gli altri.
Mentre sale, una bestemmia che rotola fuori dai denti ad ogni scivolata, ha in mente la Marta, la figlia del prestinaio,diciotto anni,bella come un fiore.
L’ ha vista ‘sta mattina presto in paese, un bacio e una stretta dietro le cappellette della chiesa di Cremeno; un ricordo che dovrà durare per tanti giorni.
Non può portarsela all’alpeggio dove sta con i compagni, non può coinvolgerla, questa non è una delle tante:
- Questa la sposo - si ripete cercando di non farsi sfuggire il suo odore, di non perdere il suono della sua voce.
Se non ci fosse la guerra l’avrebbe già sposata!
Il Bello si ferma a riprendere fiato, dietro di lui si fermano gli altri, il Pellico, il Bauscia, l’Ultimo.
Si ferma sulle quattro zampe anche la capra che l’Ultimo tira per una corda e finalmente smette di belare.
- Bisogna farla tacere la capra - il Bello è stizzito.
Nessuno dice niente, un po’ perché il passo imposto dal capofila ha smorzato il respiro, un po’ perché c’è niente da dire.
Le mani appoggiate alle ginocchia, il cuore che salta per la fatica e per la tensione, son lì, con la bocca aperta a mangiare l’aria.
Intorno pare un presepe con la fioca che cade sempre più fitta.
Sono scesi in paese, a Moggio, la notte scorsa, a rifornirsi di cibo. Avrebbero dovuto tornare su alla Croce prima del mezzogiorno,ma il desiderio del Bello ha fatto ritardare tutti.
E adesso fioca e arrampicare è dura!  
- Meglio così! - si dice il Bello guardandosi intorno.
Con il sole sarebbe stato ancor più pericoloso, avrebbero potuto incontrare pattuglie di “fasci” che da Lecco salivano a rastrellare.
Con la pioggia sarebbe stato faticosissimo arrivare all’alpe, il sentiero “tira” e se c’è il fango e sei bagnato fino alle ossa diventa un’impresa quasi impossibile.
Il Bello riprende il passo, gli uomini dietro di lui, sono la sua famiglia da quasi un anno.
E’ il loro capo, il più vecchio, quello con più esperienza.
Stanno tutti insieme in una baita d’alpeggio in posizione dominante sulla valle,in modo da vedere chi sale.
Intorno le  creste, alle spalle la cima di Piazzo, al fianco le punte del Cristo e della Madonna, davanti la valle, Cremeno, Moggio, il torrente Pioverna e la strada che viene su da Lecco.
Alla Croce si sono sistemati alla bell’e meglio, quattro frasche e due coperte per dormire, un focolare,il paiolo per la polenta e poco altro.
Ma va bene!
C’è tra loro un affiatamento forte, forse nutrito dal bisogno o forse dall’affetto.
Sbandati che si impegnano per rimanere vivi.
Hanno contatti con gli uomini della “Garibaldi”, più che altro per avere qualche bomba a mano e pacchetti di munizioni per il ’91, il moschetto che si sono portati dietro disertando.
A dir la verità i disertori sono tre, il Bauscia è l’unico che non ha disertato, almeno tecnicamente, è scappato prima che lo arruolasse la Repubblica Sociale.
E’ di Milano, un ciula con poca voglia di lavorare, figurarsi fare la guerra!
E’ stato fascista fino a che c’era da guadagnarci, ma dopo l’8 settembre si è ritrovato ad avere un’anima democratica  ed è scappato in montagna.
E’ un eterno bambino che si vanta di prodezze che non ha mai vissuto, gli altri lo sanno e sopportano il suo desiderio di essere qualcuno.
Ma ha un fiuto per capire da che parte tirerà il vento… che non è mica da ridere, tant’è vero che ha scaricato senza rimorsi la camicia nera.
Quando l’allegria dell’età vince l’Ultimo lo stuzzica con la canzoncina del fascista furbo.
Ma il Bauscia non se la prende, aristocraticamente si sente superiore, forse perché è istruito ed è figlio di dottore, gli scherzi di  un contadino non lo toccano.
Anche il Pellico è istruito, è uno studente di lettere, emiliano, lui e l’Ultimo erano insieme nel Battaglione Edolo, alpini come il Bello, ma più giovani di cinque anni.
Sono del ’24, l’ultima classe di leva chiamata dal re nell’Agosto del 1943.
Arrivati in caserma sono stati travolti dall’armistizio, l’iniziale euforia e la delusione successiva, il caos nel quale si sono trovati coinvolti li ha spiazzati.
Carne fresca per i lager tedeschi se un bergamasco non li avesse presi sotto la sua ala protettiva e fatti scappare con lui, a piedi, dal Friuli a Caprino Bergamasco.
Poi hanno continuato da soli, l’Ultimo si è portato dietro l’amico, anzi il fratello ormai, fino a casa, a Moggio.
Troppo lontana l’Emilia e la pianura, troppo pericoloso il viaggio; già fino in valle hanno camminato di notte, per evitare di essere visti magari presi e fucilati come traditori.
Di giorno nascosti dove potevano; brava gente ne hanno trovata, soprattutto le donne, mamme, sorelle, fidanzate, cugine di ragazzi come loro.
L’ Ultimo, montanaro da generazioni, basso, magro, tutto nervi, avvezzo alla fatica al modo  in cui solo  i montanari sanno esserlo; rassegnato a sudare per qualsiasi cosa, ma incapace di arrendersi e cedere, non ha avuto anima di lasciare il Pellico da solo sulla strada.
Con quel cameratismo che unisce i compagni di cordata  l’ha portato a casa.
La sua povera mamma!
Non l’è parso vero di rivederlo, l’ultimo dei suoi figli, l’ha abbracciato e baciato, cosa strana per la gente di monte, riguardosa, chiusa, asciutta anche nel voler bene.
Il tempo di una fetta di polenta, due dita di taleggio e un uovo poi la donna li ha spediti via, col magone:
- Non state qui, andate a monte,nascondetevi.
L’Ultimo e il Pellico hanno ubbidito: il primo ha seguito i sentieri su per lo Zuccone col passo del padrone.
Il torrente Pioverna che viene giù come una furia ruggendo e cozzando ha fatto da colonna sonora ai ricordi.
Il Pellico dietro, spaesato, intimorito quasi, al cospetto di quella montagna impervia, aguzza, aspra a prima vista; una montagna che si apre in conche morbide solo per chi affronta la fatica della conquista.
L’emiliano ha seguito l’amico a passi irregolari,che il ritmo della salita la gente di monte ce l’ha nel cuore, prima che nelle gambe, e per quelli di pianura non è facile imparare.
Per l’emiliano, abituato a spaziare con lo sguardo senza incontrare ostacoli, le cime, le guglie, sono un confine opprimente.
Per l’Ultimo quelle stesse cose sono la scenografia necessaria alla vita .
Fioca bene!
Il Bello in testa alla fila è quasi in alto al sentiero, porta nello zaino patate e formaggio, la Marta gli ha messo, di nascosto, una decina di chili di farina gialla e lui sorride all’idea del significato che quel dono può nascondere.
La guerra non andrà avanti tanto, gennaio ’45, forse ancora un anno, forse meno poi…
Sotto la neve, piegato dalla stanchezza, il Bello si lascia andare ad un sorriso che nessuno vede…
Poi sposa la Marta.
Alcuni fiocchi restano intrappolati tra la barba lunga del Bello, si sciolgono e brillano intorno al suo sorriso e lui sembra meno scuro, meno tenebroso.
La salita è tranquilla, ci sono quasi…
Un rumore e un ansimare allertano il Bello, anche gli altri sentono, la fila si ferma e gli uomini si buttano a terra; le mani di tre di loro corrono ai fucili, le mani dell’ Ultimo scattano a tenaglia sul muso della capra.
Il rumore si avvicina, scende verso di loro e si sente distintamente nel silenzio ovattato della nevicata.
Cercano un riparo, la capra, immobile sulle zampe, resiste agli strattoni di Ultimo, allora il Bauscia si avvicina e la solleva di peso.
Sopra le loro teste ecco un’ombra, è la Fiorina che vien giù dal sentiero, corre, salta, sembra che la pancia non le dia fastidio, eppure è gia grossa, sei o sette mesi si direbbe.
Chi sia il padre la Fiorina l’ha mai detto, è stata con tanti, su per le baite di monte, tanti bei ragazzi con troppo tempo a disposizione e la paura di non avere un futuro.
La Fiorina scivola, rotola, ma niente lamenti quando si ferma davanti al Bello.
Spettinata, rossa in viso, ha risparmiato al voce per sussurrare:
- Via ragazzi ci son su i tedeschi a monte,scappate!
Poi via di corsa, altri uomini da avvertire, altre baite da raggiungere.
La Fiorina, poca moralità, come tuona il don Pietro dal pulpito, ma tanto coraggio.
Risale verso gli alpeggi.
Ultimo molla la capra:
- Che vada dove vuole-pensa.
Il Bello, si esprime a gesti e tutti capiscono, fa vedere le bombe a mano, due, di fabbricazione Breda, in caso di bisogno le userà.
Non è la prima volta che scappano da un rastrellamento, questa volta la neve li aiuta; i quattro ragazzi si muovono rapidi, i piedi nelle orme del primo, sanno dove andare. Si spostano a valle, verso il torrente Pioverna, lo devono passare e andar su dall’altra parte, c’è un cascinale dove possono nascondersi.
Il Bauscia trema, se potesse scavare una buca, come fanno le talpe, e nascondersi fino alla fine!
La fine della guerra, la fine dell’inverno, la fine della vita!
Ma non si ferma, cammina tallonato da Ultimo.
Il Pellico, che ha ancora il passo incerto del novello montanaro, chiude la fila; si è accorto di aver perso il libro che da anni si porta dietro “Dei doveri degli Uomini” di Silvio Pellico, si volta, lo cerca con gli occhi nel bianco, ma non lo vede.
Che strano, si sente come se avesse lasciato un compagno, lì nella neve.
La capretta bela un bel pezzo più a valle, sta tornando alla stalla in paese. Il Bello si ritrova a pensare che se la sfangano anche questa volta gli toccherà tornare in paese a riprenderla, hanno bisogno di un po’ di latte su a monte.
Ecco il Pioverna, ci sono…
Una raffica di mitraglietta esplode a monte, poche parole rauche e secche urlate lontano, come graffiano le parole nelle orecchie, poi ancora una raffica.
Ormai sono al torrente, il fragore della corrente non riesce a coprire lo sbraitare dei tedeschi.
Son proprio lì dietro di loro.
Il Bello toglie la sicura dalla Breda, ha nelle orecchie il battito dei denti del Bauscia, ha il suo fiato sul collo.
La tira e si vede la neve che salta in aria.
Il Bello ha già il fucile in mano, nel grigio della fioca:
- Ho la neve negli occhi – pensa.
Una raffica ancora, Ultimo spalanca gli occhi, come sorpreso, e cade in avanti; il Pellico spara, ma dura poco.
Lo centra una camicia nera che tra la neve sembra un ragazzino più giovane di lui. Il Bauscia molla il fucile e scappa, la parola “mamma” gli scivola di bocca, lo prendono alla schiena, una fila di buchi neri sul giaccone.
Il Bello resiste, dietro un mucchio di neve,grida:
- Marta!-poi va giù anche lui.
E negli occhi aperti continua a cadergli la neve.
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