L'Angelo di Stava
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”XI EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2006
Segnalato
L'Angelo di Stava
di Francesco Taddia - Pieve di Cento (FE)
Mi piace muovermi lungo le strade del paese nelle prime ore del mattino delle giornate estive. L’aria è fresca e piacevole e sono ancora poche le persone che si incontrano attraverso i ripidi viottoli che si dipanano dalla piazza centrale.
A quest’ora può capitarti al massimo di incrociare il vecchio mugnaio che non ha mai perduto l’abitudine di alzarsi presto al mattino oppure suor Teresa che ha appena terminato le preghiere in chiesa.
Man mano che ci si inoltra lungo la salita si percepisce un profondo senso di quiete, lasciandosi alle spalle le strade già saturate dal rombo delle auto e dal tanfo dei gas di scarico.
Procedo lentamente, osservando sui lati della strada le case dei paesani e dei villeggianti, ancora immerse nel placido riposo delle ore che seguono l’alba della giornata. Mi fermo alla fontana per bere l’acqua che arriva gelida direttamente dalla fonte.
I profumi che riempiono l’aria sono gli stessi di sempre.
Il pane appena sfornato, proprio come quello che la mamma ci faceva trovare ogni mattina d’estate, pronto per essere ricoperto con burro e marmellata. E i funghi lasciati ad essiccare, come quelli che raccoglievamo durante le lunghe camminate con il papà attraverso i boschi.
Le vacanze estive erano sicuramente il periodo migliore dell’anno, quando lasciavamo la città con la sua frenesia ed i suoi rumori, per raggiungere la quiete delle montagne.
Nella nostra casetta…
La ricordo benissimo. Con le travi di legno sul soffitto, con il letto a castello dove dormivamo noi ragazzi. E i balconi e le finestre adornate da fiori coloratissimi.
E sulle pareti animali impagliati che mi facevano sempre un po’ di impressione, quasi temessi che in fondo non fossero del tutto morti, ma pronti da un momento all’altro a saltarmi addosso. Poi le splendide foto del Lagorai, delle Pale di San Martino e della catena del Latemar.
Dopo la colazione la mamma restava in casa con la mia sorellina, mentre con il papà ed i miei fratelli maggiori salivamo fino al bosco alla sommità del paese, da dove cominciavano sempre le nostre escursioni lungo i sentieri. Mi divertivo come un matto e con i miei piccoli scarponi ai piedi sognavo di imitare gli alpini che scalano indomiti le vette più ardite. Con il bastone in pugno per sorreggermi nei momenti di difficoltà e per difendermi dalle belve feroci che immaginavo appostate dietro ogni grosso tronco d’albero che incontravo lungo il cammino.
Amavo particolarmente passeggiare lungo il letto dell’Avisio, in cerca di sassi dai colori e dalle fogge particolari, oppure di pesciolini che provavo inutilmente di catturare con le mie manine.
E quando la stanchezza cominciava a farsi sentire e faticavo a tenere il passo dei grandi, mio padre mi prendeva a cavalcioni sulle sue spalle. Una volta, ci trovammo nel bel mezzo di un temporale ed indossammo in fretta e furia le cerate, cercando di ritornare rapidamente verso il paese. Ero terrorizzato dal rumore del tuono e dai fulmini che solcavano il cielo, ma ancora di più temevo di non riuscire a tenere il passo degli altri, così cominciai a piangere sconsolato. Mio padre se ne accorse subito e mi prese in braccio, proseguendo la discesa verso valle.
Mi sentii rinfrancato e talmente rassicurato che mi addormentai tra le sue braccia, risvegliandomi solo una volta arrivati a casa.
Non avevo ancora compiuto sei anni, ma era ormai da quando ero un neonato, o giù di lì, che passavo l’estate in quei luoghi che ormai conoscevo a menadito.
Poi arriva quella mattina. Come tutte le altre apparentemente. Anzi, è una giornata splendida fin dalle prime ore, con il sole che illumina e riscalda tutta la vallata. Il vento dei giorni precedenti ha spazzato il cielo che appare straordinariamente limpido e terso, tanto che si possono chiaramente distinguere tutte le cime che sovrastano il paese.
Partiamo presto come sempre, dopo un’abbondante colazione; questa volta però solamente io e il papà. La mamma deve scendere a Cavalese per la spesa ed i miei fratelli hanno deciso di accompagnarla. Io preferisco di gran lunga le passeggiate in montagna e così mi incammino lungo i sentieri in compagnia di mio padre. E’ abbastanza raro trovarmi solo con lui, senza nessuno dei miei fratelli, così faccio di tutto per non farmi sfuggire questa occasione. Mi sento oltremodo felice di poter fare la mia passeggiata avendolo a completa disposizione.
Ci fermiamo come tutte le mattine per guardare le mucche nel recinto appena prima del bosco. Da pochi giorni è nato un vitellino e lo osservo avvicinarsi alla staccionata con passo ancora incerto. Dopo un attimo di diffidenza, si ferma a guardarmi con gli occhioni pieni di curiosità. Prima di allontanarmi riesco perfino ad accarezzarlo sul musetto; poi mentre passo davanti alla fontana riempio d’acqua fresca la borraccia.
“Ciao bello!“. Il vecchio cane del padrone del maso mi si avvicina scodinzolando festosamente. Gli piace moltissimo giocare con tutti i bambini, ma credo che abbia un debole per me. Ogni volta che passo di qua mi saluta appoggiandomi dappertutto le sue lunghe zampe. Riesco a divincolarmi e possiamo proseguire la nostra camminata. Prima lungo il fiume a saltellare sulle pietre, poi su lungo il sentiero che conduce attraverso il bosco. Camminiamo per una mezz’oretta buona nel fresco degli alberi, dove il sole non riesce ad arrivare tanto è folta la vegetazione.
“Come va, sei stanco?”. Il papà si accerta che non mi stia sforzando troppo, ma per me è talmente tanto l’entusiasmo che camminerei per ore senza avvertire la fatica. “No papà. Tranquillo”. Proseguiamo ancora per un po’ ed arriviamo ad un bel prato verde dove decidiamo di fermarci per riposare e bere qualcosa dalla borraccia. Mi sdraio sull’erba e mi incanto nel rimirare tutto quello che mi circonda: gli alberi dal lungo fusto, con i rami pieni di aghi e di grosse pigne; gli insetti che mi ronzano attorno e poi il cielo, limpido e quasi completamente libero dalle nuvole.
“E’ ora di ritornare adesso. Tra poco è mezzogiorno e dobbiamo arrivare per il pranzo altrimenti chi la sente la mamma!”. Ricambio il sorriso di mio padre e inizio con lui la strada del ritorno. Del resto abbiamo già camminato a sufficienza e comincio ad avvertire una certa stanchezza. Discendendo faccio molta attenzione a dove appoggiare i piedi, sorreggendomi con il mio inseparabile bastone.
All’improvviso avverto un forte boato in lontananza.
“E’ il tuono papà? Sta arrivando il temporale?”.
“Credo…di sì!”. Noto immediatamente una strana incertezza nella sua risposta. Mi prende per mano e dopo aver percorso qualche metro si ferma un istante. “Dai sali sulle mie spalle, così arriviamo prima…e comunque non manca molto”.
Rapidamente mi solleva prendendomi a cavalcioni ed affrettando il passo. Ma il rumore aumenta a dismisura con il passare dei secondi ed è sempre più evidente che non si tratta del temporale. Mio padre volge un attimo lo sguardo indietro, poi comincia a correre per la discesa, veloce, sempre più veloce.
“Cosa succede papà, ho paura, voglio andare a casa!”. Sono terrorizzato, ed anche mio padre lo è, ma cerca in ogni maniera di farmi coraggio. “Siamo quasi arrivati, stai tranquillo, tranquillo…”. Non termina nemmeno la frase. Uno stormo di uccelli enorme ci passa a pochi centimetri dalla testa, poi un vento terribile ed una nube biancastra oscura completamente il cielo. Ci giriamo entrambi e rimaniamo paralizzati dal terrore. Un mare di fango alto come un palazzo di tre piani ha spazzato tutto lungo la vallata ed è ormai a pochi metri. Il papà mi prende in braccio e mi stringe forte a sé. Poi quella poltiglia informe ci travolge, sradicandoci da terra assieme a tutto ciò che ci circonda. Mi avvinghio forte a mio padre e per qualche istante rimaniamo coscienti. Poi veniamo colpiti violentemente da un tronco e ci separiamo…definitivamente.
La mamma l’ho rivista qualche volta da allora ed anche i miei fratelli. Almeno una volta all’anno nei vent’anni che sono passati. La prima volta è stato tutto molto strano.
Lei e i ragazzi erano così tristi ed assieme a loro c’era tanta gente, alcuni erano miei parenti, ma la maggior parte erano persone che non conoscevo. Stavano piangendo e io avrei voluto dire qualcosa per consolarli; in fondo non capivo neppure che cosa fosse successo a me ed al papà.
Poi gli anni sono passati e di gente ne ho vista sempre meno, ma quando arriva il mese di luglio la mamma non manca mai di passare a trovarci. E’ cambiata tanto, i suoi capelli si sono fatti sempre più bianchi ed il suo viso è diventato così serio. Una volta sorrideva sempre. Anche i miei fratelli sono così diversi; sono diventati adulti e c’è anche chi è diventato papà. Che strano vedere il mio nipotino per la prima volta. Se potessero vedermi non mi riconoscerebbero, credo. A dire il vero non sono cambiato per niente da allora; per me il tempo non è mai passato.
Oggi sono davvero felice. Sto salendo lungo le strade del paese per raggiungere la chiesa di San Leonardo, proprio alla fine di questa ripida salita. Vado di fretta perché so che oggi vedrò ancora la mamma. E’ il diciannove di luglio e lei non mancherà di sicuro e forse ci saranno anche i miei fratelli. E anche se il cammino diventa faticoso non ho paura, perché so che al mio fianco c’è papà, che appena mi vedrà in difficoltà mi prenderà sulle sue spalle.
Ed insieme ci fermeremo a guardare tutte quelle persone riunite ancora una volta davanti alle lapidi del piccolo cimitero di Tesero.
Perché non sia mai perduto il ricordo dei piccoli angeli di Stava.
Alle ore 12 e 22 del 19 luglio 1985 l’argine superiore dei due bacini di decantazione della miniera di Prestavel, appena sopra Stava (TN) cedette ed una colata di 173.000 metri cubi di fango si riversò nella vallata. In meno di tre minuti distrusse 3 alberghi, 53 abitazioni, 8 ponti e 6 capannoni.
Ma soprattutto provocò la morte di 268 innocenti, tra cui 31 ragazzi con meno di 18 anni e 28 bambini con meno di 10 anni.
Gli angeli di Stava.
Al loro ricordo è dedicato questo brano.