Gocce di luna
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”VIII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2003
Terzo classificato
Gocce di luna
di Paolo Pergolari - Foligno 8PG)
Ormai sono alcuni anni che vivo su questa montagna, ed così tanto tempo che ho una tresca con le ombre e i silenzi che forse somiglio a loro, perché questa è la vita solitaria di un vecchio lupo randagio ... Così, contro la mia volontà, sono istruito ed ho imparato a vedere, non so neppure quali pensieri sono veramente miei e quali provengono e mi sono destati da questa solitudine che mi circonda, ma se io sapessi anche scrivere non solo metterei su un'enciclopedia, un intero trattato di zoologia, ma scriverei un libro sulla maggiore felicità e sulla maggiore infelicità dell'uomo. Perché attraverso la montagna ho appreso che la vita non è affatto umana, e che un uomo che sa pensare, anche lui non è umano. Non che non lo voglia, ma ciò contrasta con il giusto, modo di vivere. Ed io non posso impedire questo corso, che è come l'acqua che scende al fiume. Io sto qui su questa isola e scruto l'orizzonte come un Robinson, poi, con beatitudine mi guardo attorno, perché la montagna mi ha insegnato il gusto e la gioia per la devastazione. Ora amo anche i naufragi, e dico che oggi era una bella giornata, nell'aria c’era come un leggero vapore, il cielo pareva appena colorito e dappertutto aleggiava non si sa se la felicità oppure la tristezza. Che sciocchezze! Tutto è una sciocchezza ... Da alcuni anni vivo in questo bosco che è quasi umano. All'inizio la paura mi faceva immaginare che tutto questa oscurità potesse ordire contro di me un intrigo. La notte drizzavo le orecchie per cogliere ogni minimo segnale che potesse giustificare l'inizio della tresca. E vedevo la luna rotonda, gialla ed appena sporca di grigio, stampata su nel cielo come in un libro di fiabe. Perché per me, di mente semplice e sognatrice, la luna era solo quella delle fiabe e sembrava m'avesse scoperto e volesse parlarmi, allora mi rimpiccolivo ancora di più e mettevo le zampe incrociate sopra al muso per non vedere, pensavo che anche le zampe potessero aiutarmi a nascondermi meglio. E poi nel dormiveglia udivo l'allegria di intere famiglie di topi intorno all'ultimo carico di oggetti inutili, di rifiuti lasciati malinconicamente dalla gente, sparsi tristemente in ogni angolo del bosco. E i rifiuti rimanevano incollati l’uno all’altro e così rappresi odoravano di putrefazione, ma i topi sembravano felici come ad una festa di compleanno. E forse perché i lupi non hanno lacrime, trovai in me la forza necessaria per riuscire a smorzare la paura e la commozione ... e ora la montagna è il mio vitto e il mio alloggio, il mio parco e la mia solitudine; così che i miei pensieri sono aggrovigliati come la sua immagine, proprio come i rifiuti dell'uomo che sono confusi l'uno sull'altro. In questi anni ho visto il bosco in qualsiasi giorno ed in qualsiasi stagione; in autunno quando i suoi odori si confondono con quello del fogliame appassito che riempie l'aria, e nei pomeriggi che diventano d'oro e si trasformano in serate precoci e teatrali. E anche d'inverno quando le foglie sono ancora più fredde, quasi in letargo, allora non posso che camminarci sopra con cautela per non svegliarle ... solo quando il tempo è più mite corro, mi affretto da un cespuglio all'altro per ripararmi dagli scrosci dì pioggia, mi piego sotto qualcosa e me ne sto come una sfinge per continuare la mia conversazione silenziosa e per gettare, almeno una volta, uno sguardo alle gocce che cadono fitte insieme ad onde erranti ed oblique di acqua evanescente. Da alcuni anni sono affezionato e grato a questo paesaggio fatto di odori selvaggi e naturali come un tumulto. E passo la giornata con qualche oretta di pisolino sotto un faggio, mentre il sole mi scalda la pelliccia, ed approfitto sempre di una giornata di sole prima della notte che è fredda come l'inverno, perché questa è la vita solitaria di un vecchio lupo randagio ... Qualche anno fa, invece, sentivo arrivare una persona, tre o quattro volte a settimana, e io mi facevo trovare sempre pronto all'appuntamento e ben appostato, e lo vedevo scivolare giù lungo la costa poco più che silenzioso, quel cristiano scendeva sicuro come l'acqua da un pendio, e poi si fermava, si fermava proprio in cima, si toglieva quel suo cappello strano, abbellito da una piuma d'aquila e si asciugava il sudore della fronte con l'avambraccio, e poi guardava intorno, ma il suo sguardo andava al di là della valle sottostante e dei campi incolti, il suo sguardo bucava il cielo e la terra sottostante e arrivava fino a se stesso, quello sguardo arrivava fino alla sua anima, fino ad interrogare la sua anima sulle cose belle della vita, e io vivevo quell'attimo in cui stavo nella nube di polvere sollevata e nella musica del tenue attrito della materia, e pensavo alla coscienza umana e alla mia cultura animale ... Mentre ora dal cielo si riversavano i contenuti di scatole di cartone e di legno insieme a vestiti laceri, scarpe solitarie, fiori senza vita, vasi senza terra e terra senza seme, carte e buste di plastica dei grandi magazzini, giornali con informazioni logorate dal tempo e riviste con immagini di persone dal sorriso smarrito, e cocci di tazzine di caffè piene di fondi neri di destini già avvenuti. Una volta, all'inizio della stradina che s'inerpica, si fermò una macchina, e due mani sconosciute fecero rotolare giù per la scarpata una corona funebre fatta di fiori appassiti. Quando urtò un vecchio televisore, gli ultimi petali secchi saltarono attorno come fuochi d'artificio. Caddero tra la carta sporca di sangue rappreso delle macellerie facendo sollevare nuvole di mosche carnarie in pieno banchetto. Ricordo tuttora che quella corona funebre mi aveva mosso qualcosa dentro, l'avevo vista venir giù pieno di curiosità e di simpatia, e sentivo che tutto ciò era bello e scherzoso, un qualcosa di diverso, e guardavo con gli stessi occhi di un bambino. Allora cominciai a capire che anche le disgrazie possono far nascere delle piccole felicità, e quella volta cominciai a guardare il mondo dal verso opposto degli avvenimenti e delle cose umane... e io tutto questo l'ho visto per tanti anni, così la mia fantasia vagava mentre mi allontanavo da me stesso. Sognavo un mondo diverso, più bello. Un qualcosa di nuovo che mi portasse al centro stesso della verità, e quando riaprivo gli occhi vedevo davvero un mondo diverso da quello in cui stavo. Così sempre, perché avevo abbastanza tempo per pensare e per far sogni sulla prossima tristezza umana ... Ora zampetto anche tra i rifiuti e questo mio stanco girovagare è la fine della mia fame e la mia necessità. Oppure mi siedo sotto il leccio a guardare in lontananza i mari rischiosi di una città dalle case strane, chiuse dalla pressione degli spazi. Osservo quel lavoro umano e aspetto, guardo quanto la città è vicina ed il bosco più piccolo, perché dalla città nasce sempre una casa più avanti sotto l'impallidire del cielo o lo svegliarsi del vento. Cosi da alcuni anni. Penso. Penso che se mai qualcuno si soffermerà sulla montagna, magari solo per guardare, mi potrebbe dare la beata speranza che quel giorno osserverebbe qualcosa che qualitativamente sarebbe in grado di cambiarlo... perché in questi anni la montagna non è che sia cambiata molto, non so come, eppure ogni settimana arrivano tante persone, persone diverse, grandi, piccole, chiassose ... ma i rifiuti ormai sono quasi sempre gli stessi ed io li ho tutti catalogati che potrei formare un deposito e fare il bibliografo... Anche ieri quando gli ultimi avanzi degli avanzi umani sono stati lasciati, quando scendevano dal pendio, quando rifiuti innocenti rotolavano nella tomba inorriditi, pensai, con indifferenza e tranquillamente, che qualcuno doveva aver prodotto quegli oggetti, qualcuno li aveva pensati, costruiti, sperimentati, e qualcuno li aveva inscatolati e trasportati, esposti in vetrina, e qualcuno aveva scritto il conto per quegli oggetti e per tutto il lavoro su quegli oggetti, e qualcuno aveva deciso di condannarli e aveva dato l'ordine che andassero a morire. Finché qualcuno, per eseguire quella sentenza, li aveva trasportati e fatti scivolare lungo una china rivoltandogli le interiora, cosi da farli diventare innocenti, perché tutti insieme quegli oggetti si fanno rifiuti innocenti, bianchi e senza macchie, affinché vengano ricoperti da nuovi e altri oggetti. Cosi guardo il lavoro umano e ho sempre l'impressione che qualcuno mi chiami, forse uno scoiattolo che mi sollecita: "Vecchio lupo bastardo, che ne dici?", ma quando mi giro non vedo mai nessuno. Poi guardo la strada quasi istintivamente, quella stradina dalla quale si presentano le persone. Prima era un qualcosa di misterioso, di affascinante, e le persone venivano attese e notate, e sentivo il bisogno di affrettarmi per vedere, per curiosare ... Guardavo davanti e lo scoiattolo non mi chiamava "vecchio lupo bastardo", mi salutava ... "Buon giorno signor lupo..." e dopo avermi salutato mendicava l'orizzonte e mi faceva un sorrisino d'intesa... "Arrivano oggi? ...” E io aspettavo che le persone mi portassero rifiuti meravigliosi e sempre nuovi e sconosciuti, e se non era oggi una voce dentro mi diceva ... non si sono visti, no, ma è certo, assolutamente certo che un altro giorno arriveranno ... Ora guardo quella stradina senza nessun patema e frenesia, e poi alzo il muso verso il sole e sento che qualcosa è cambiato, che il sole non è più immobile come prima. Non faccio in tempo a fissarlo che si sposta rapidamente e già precipita verso il confine dell'orizzonte. E le nuvole non ristagnano ma fuggono come se fossero prese da un vortice, sono in pieno affanno e si accavallano le une sulle altre. E lo scoiattolo fa ancora cenno verso l'orizzonte, ma senza alcuna bontà e letizia, quasi per dovere. Scuote la testa, apatico... come se ieri era migliore di oggi. E anch'io mi sono accorto che da alcuni giorni non faccio più tante passeggiate sulla montagna, anzi, sento quasi di non averne più voglia ... Di nuovo sciocchezze! Fisicamente mi sento sempre lo stesso, tutto sta a ricominciare. E' che non ho più alcun desiderio, è che preferisco starmene a sonnecchiare al sole piuttosto che scorrazzare su e giù. Ora è notte ed un'allegria sembra diffusa sulla città lontana. Qui, sotto il leccio, riesco ad intuirla senza fatica dai colori, dalle luci, dalla frenesia. E' come se anche le case si muovessero, mentre dall'alto la montagna è quieta con poche variazioni ... Povera luna, penso, anch’essa è sporca, e capisco che ciò è una debolezza. Ma dopo tutto sono solo al mondo e solo io posso amare me stesso, e mi viene da ululare ... Perché è una notte stupenda che lascia libera l'aria profumata del bosco. E' una notte dove nell'azzurro più scuro e profondo brillano le stelle, ed altre tremolano come una fiammella che sta per spegnersi, mentre tra gli alberi si accumulano ombre sospette. La fuga del tempo è come se si fosse fermata ed il mondo ristagna in una orizzontale apatia... Non riesco a resistere e da dentro sento erompere un duro peso che esce e sbalza via. In profonda meditazione, assorto nei pensieri quasi senza me stesso, caccio fuori qualcosa che è come un sussulto, una valanga che si riversa fuori e tutto precipita, e nel silenzio della notte parlo una lingua universale, povera di concetti ma che si può forse comprendere ... e lancio un latrato, perché lui è voluto venir fuori dall'assedio del corpo, perché una strana allegria mi si sprigiona in petto e, di punto in bianco, comincio a ululare, prima timidamente e poi lancio un latrato meno sommesso, perché ormai il primo è bastato a incrinare il silenzio della notte. E con questo mio canto io sento che rovescio fuori di me scatole intere e cassetti pieni di contrarietà, brandelli di vecchi pensieri strappati e incollati come manifesti l'uno sull'altro ... e mi sento la sensazione di liberarmi e con questa mia opera di ripulitura di rimanere più leggero ... e mi sento come una stanza dalle cui pareti sia stata strappata la carta da parati prima di una nuova imbiancatura... Ma ecco che in lontananza mi risponde un ululato che è come un eco lontano. Viene dal fondo della valle, presto altri gli rispondono: è una specie di coro; così che l'aria è in breve piena di voci feline che allargano i margini. Sono spostate in alto e poi furiosamente ululano in basso. Tutta la vallata è ormai piena di un urlio fitto e insensato di voci, ed io ascolto compiaciuto che si sia scatenata questa cagnara improvvisata e inaspettata. Sicché dall'alto della collina, sotto il leccio e con la città sotto le zampe, mi sento appagato come il vecchio capo di una sommossa e ululo di nuovo, senza esasperazione ma divertito. A poco a poco le voci si spengono ma sono soddisfatto lo stesso. E provo una grande gioia; così, per niente ... e penso che oggi è stata una bella giornata, che nella vita ci sono cose che non significano niente, ma importanti lo stesso per vivere, come ululare nella notte ed ascoltare altri animali simili a me e che non conosco, o guardare la luna che è sporca e triste, e che non conosco perché ancora non l'ho trovata tra i rifiuti.