Cecconato 30
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"XXX EDIZIONE Teviso, 11 gennaio 2025
Premio speciale "Trofeo Cav. Uff. Cecconato Florindo"
Cartoline da uno sconosciuto
di Puccini Sandra
Quarrata (PT)
La strada che si inerpica verso le montagne è un nastro d'asfalto grigio che taglia i fianchi boscosi come una vecchia cicatrice.
Le curve si susseguono senza sosta in un saliscendi continuo: ognuna è un respiro trattenuto, un precipizio sfiorato.
Il motore della Volvo ansima per lo sforzo e prende fiato a strappi, come me. È fine settembre, ma l'aria sa già d'inverno, carica di promesse di neve.
I colori dell'autunno tingono i boschi di oro e di rame. Il cielo sembra avvicinarsi a ogni tornante e il suo azzurro è così intenso da ferire gli occhi. Sul sedile del passeggero, una scatola da scarpe fasciata in una carta a fiorellini blu custodisce decine di cartoline, testimoni di un'amicizia lunga quarant'anni. Quarant'anni di una vita che non è la mia, ma che sento di conoscere come se lo fosse.
Allungo la mano per sfiorarle, per assicurarmi che siano reali e che non facciano come quei sogni che svaniscono al risveglio lasciando un retrogusto amaro in bocca. La prima la conosco a memoria, ma decido di fermare l'auto in una piazzola per poterla leggere ancora.
"Caro Alberto, Mi chiamo Luigi. Ho undici anni e vivo a Castelmonte. La maestra ci ha fatto scrivere a dei bambini di città per farci conoscere. Spero che vorrai essere mio amico di penna. Qui fa freddo. C'è un grande castagno dietro casa mia. Mio padre dice che i castagni portano gioia. Ha più di trecento anni. A volte penso che sappia più cose di tutti noi messi insieme. Scrivimi presto, Luigi"
Sorrisi, leggendola. Lo scherno di un undicenne di città che si sentiva già grande, un ragazzino dalle incredibili pretese, proiettato verso un futuro di luci e grattacieli. Avevo risposto più per obbligo che per gusto, pensando che sarebbe finita lì. Invece, quella cartolina aveva segnato l'inizio di un viaggio lungo una vita.
Rimetto tutto nella scatola e riparto. Il navigatore indica che mancano ancora trenta chilometri a Castelmonte.
Trenta chilometri per ripercorrere quarant'anni di vita. La mia, quella di Luigi, del castagno e della montagna tutta.
Mentre guido, i ricordi affiorano come bolle in uno stagno. La mia infanzia in città, i cortili di cemento, i giochi rubati tra un semaforo e l'altro. E poi l'adolescenza inquieta, il desiderio bruciante di fuggire, di conoscere il mondo. Le liti con mio padre, un uomo più duro dell'asfalto su cui aveva costruito la sua fortuna.
- Devi prendere in mano l'azienda, - ripeteva. Ma io sognavo orizzonti più vasti e cieli più alti.
La prima fuga era stata a diciott'anni. Una borsa di studio per il Giappone. Kyoto mi aveva accolto con un silenzio che non mi aspettavo in una città così grande. Da lì avevo mandato una cartolina a Luigi: gli avevo parlato dei giardini zen, del suono della ghiaia rastrellata, del profumo dell'incenso nei templi. La sua risposta era arrivata dopo settimane.
"Caro Alberto, La tua Kyoto sembra un luogo di contrasti. Qui, invece, le cose si somigliano sempre. Il castagno, come ogni autunno, perde le foglie ma quest'anno lo ha fatto prima. Mio padre dice che il clima non è quello di un tempo. Mi chiedo come sia vivere in un posto dove tradizione e modernità convivono. Qui la tradizione, a volte, sembra una catena. Tu come la vivi? Luigi"
Quella domanda mi aveva colpito più di quanto volessi ammettere. A Kyoto, passavo le giornate tra lezioni di lingua e serate nei locali, ma erano i momenti nei giardini dei templi a restarmi più impressi. Il silenzio di quei luoghi doveva essere diverso da quello della montagna di Luigi eppure, in qualche modo, era familiare.
Gli anni successivi furono un caleidoscopio di esperienze. A Parigi, passavo ore nei caffè di Saint-Germain, discutendo di filosofia con sconosciuti fino all'alba. Il profumo di croissant appena sfornati si mescolava all'aroma forte del caffè e al fumo delle Gauloises.
La città sembrava vivere in un eterno presente, ma ogni angolo di quel posto trasudava storia.
A New York, imparai che i veri newyorkesi li riconosci perché non alzano mai lo sguardo verso i grattacieli, troppo presi dalla vita che gli scorre tra i piedi. Io, invece, non potevo fare a meno di guardare in alto e mi sentivo minuscolo, sovrastato da quel mondo immenso. Central Park divenne il mio rifugio, un pezzo di natura addomesticata nel cuore di una giungla d'asfalto.
A Londra, quel riparo divenne Hampstead Heath, un vasto parco nel nord della città. Seduto su una delle sue panchine, scrissi una cartolina a Luigi.
"Caro Luigi, Londra è un mosaico di culture e contraddizioni. Dalla mia finestra vedo palazzi smisurati, ma basta un viaggio di pochi minuti in metropolitana per trovarsi in questo parco che sembra uscito da quel romanzo di Jane Austen che ti fecero leggere alle medie.
Mi chiedo spesso cosa ci faccio qui, in questa città che non dorme mai ma che sembra sempre assopita in una nuvola di smog e pioggia.
Il tuo castagno come sta? Alberto"
La risposta di Luigi arrivò portando con sé l'odore di resina e di terra umida della sua valle.
"Caro Alberto, Il castagno resiste. Ma la scorsa settimana un fulmine ha colpito un vecchio abete poco distante. È caduto in una notte, dopo secoli di vita. Chissà se anche noi siamo così: in piedi per anni e poi, all'improvviso, crolliamo. La tua Londra sembra un posto complicato. Qui le cose sono più semplici, o almeno così sembra. Hanno aperto una nuova pista da sci, dicono che porterà turismo.
Ma a che prezzo? Tu che hai visto il mondo, pensi che ci sia un modo per progredire senza distruggere? Luigi"
Quella domanda mi perseguitò per giorni. La tenni con me nelle riunioni d'affari, nei pub affollati, nelle corse in metropolitana.
Cercavo la risposta negli occhi stanchi dei pendolari, nei sorrisi forzati dei camerieri, nel cielo grigio che si intravedeva tra i palazzi.
Fu in quel periodo che iniziai a sentire una stanchezza che non conoscevo: non era la fatica del lavoro o delle notti insonni.
Era qualcosa di più profondo, come se ogni viaggio, invece di riempirmi, mi svuotasse un po' di più.
Luigi, nelle sue cartoline, continuava a raccontarmi dei cambiamenti lenti ma inesorabili della montagna: la neve che ogni anno arrivava più tardi, i ghiacciai che si ritiravano, le specie di piante e di animali che mutavano.
"Caro Alberto, Quest'anno le marmotte si sono svegliate dal letargo un mese prima. I vecchi del paese dicono che non era mai successo.
Il castagno ha messo le foglie in anticipo, ma temo che un gelo tardivo possa danneggiarle. Il mondo sta cambiando, lo sento nelle ossa, lo vedo negli occhi preoccupati di mio padre. Tu hai visto questi cambiamenti anche altrove? Luigi"
Le sue cartoline continuavano ad arrivare, puntuali come il cambio delle stagioni. Mi raccontava della sua vita, del lavoro come guardia forestale, del padre che invecchiava, della madre che se n'era andata troppo presto. E poi, del castagno.
"Caro Alberto, Il castagno ha perso un altro ramo la scorsa settimana. Era secco da tempo, ma vederlo cadere mi ha fatto male.
Gli esperti dicono che il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova gli alberi secolari come lui. Mio padre dice che il castagno è come noi montanari: ci piegano ma non ci spezzano. Ma io mi sento impotente, come se stessi assistendo alla fine di un'era.
Tu come affronti i cambiamenti nella tua vita frenetica? Luigi"
Quelle parole mi raggiunsero a Dubai, dove stavo lavorando a un progetto imponente: grattacieli che sfidavano il cielo, isole artificiali che ridisegnavano la costa. Guardavo il deserto che veniva domato e trasformato. Le città che un tempo mi sembravano così diverse iniziavano a confondersi in un unico, indistinto panorama di vetro e acciaio. Fu in quel momento che iniziai a sentire il peso di tutti i miei viaggi: stavo correndo da così tanto tempo da aver dimenticato dove stessi andando?
L'ultima cartolina è arrivata pochi giorni fa, quando ero appena tornato a Londra. Nessuna immagine, questa volta, solo poche righe tremolanti su un cartoncino bianco.
"Caro Alberto, Il castagno sta morendo. Come me, temo. L'estate è stata la più calda di sempre. La montagna sta mutando, forse troppo in fretta per poterlo sopportare. Mi piacerebbe vederti, almeno una volta. Vieni presto. Ho paura che il mondo di cui ti ho scritto per tutti questi anni, stia scomparendo. E io con lui. Luigi"
Senza pensarci due volte, ho prenotato un volo per l'Italia per raggiungere un uomo che non ho mai incontrato, ma che conosco e mi conosce meglio di chiunque altro.
E ora eccomi qui, su questa strada tortuosa, con il respiro che si strozza in gola a ogni curva. Mancano pochi chilometri a Castelmonte. Pochi chilometri per chiudere un cerchio lungo quarant'anni.
Entro in paese che il sole tramonta: qua e là case di pietra grigia e tetti di ardesia. Nella piazza c’è una fontana che gorgoglia piano e lì, su una panchina, un uomo. Ha i capelli grigi e il viso segnato dal sole e dal tempo, gli occhi profondi come laghi alpini.
Mi guarda come se mi conoscesse da sempre.
- Alberto - ha la voce roca di chi ha passato anni in silenzio.
- Luigi - la mia, invece, trema, carica di emozioni che non sapevo di avere.
Ci abbracciamo, non come vecchi amici, ma come parti di un qualcosa che finalmente si unisce.
- Vieni, - dice. - Ti mostro il castagno.
Camminiamo in silenzio lungo un sentiero ripido. Il bosco si apre su un piccolo prato. Lo riconosco subito, come si riconosce il viso di un caro amico in una folla, maestoso seppur nella sua decadenza: il castagno. Ha le foglie rade e i rami nudi si stagliano contro il cielo che si fa scuro.
- È malato, - dice Luigi, accarezzando la corteccia rugosa. - Come me.
Lo guardo. Nei suoi occhi vedo la stanchezza, ma anche quella pace che non ho mai trovato nel mio girovagare per il mondo.
La serenità che può nascere solo dalla consapevolezza di appartenere a un luogo, di essere parte di qualcosa di più grande.
- Le stagioni non sono più quelle di una volta - continua. - I ghiacciai si stanno ritirando. Il mondo sta cambiando, Alberto.
E noi con lui.
Guardo il castagno, poi la valle che si estende sotto di noi. Il sole è quasi scomparso e la luna si affaccia in un cielo incredibilmente limpido. Penso a tutte le cartoline che ci siamo scambiati, alle vite che abbiamo vissuto: io, sempre in movimento. lui, sempre qui.
Eppure, in qualche modo, siamo arrivati allo stesso punto.
- Rimani, - dice. Non è una richiesta, ma un'offerta.
Dormo nella sua vecchia casa, una struttura di pietra e legno che sembra far parte della montagna. Il silenzio è rotto solo dal crepitio del fuoco nel camino e dall’ululato di un lupo in lontananza.
Nel buio della notte, sdraiato su un letto che scricchiola a ogni movimento, ripenso alla mia vita, alle città che ho attraversato, alle persone che ho incontrato e lasciato. Alla sensazione costante di aver vissuto tutto in superficie, di aver sfiorato le cose e le persone, nel tentativo di non restare attaccato a niente e a nessuno.
E poi penso a Luigi, alla sua vita solo apparentemente immobile, eppure così viva. A come descriveva le stagioni che si susseguivano, il bosco che cambiava, la montagna che resisteva. Mi chiedo se la vera avventura non sia proprio questa: restare, osservare, far parte di un luogo fino a diventarne l'anima.
Fuori il vento soffia forte, facendo gemere le assi del tetto. Mi alzo e vado alla finestra. La luna illumina la valle. In lontananza, posso vedere la sagoma del castagno, sentinella silenziosa di un mondo che muta.
- Lo farai abbattere? – gli ho chiesto stasera davanti al camino, senza guardarlo negli occhi.
- Quel vecchio albero ha visto passare generazioni. Ha resistito a tempeste, malattie, rivoluzioni. Forse non vivrà altri cent'anni, ma mi ha insegnato come affrontare il cambiamento: con radici profonde e rami flessibili.
Eccolo là, il ragazzo che conoscevo: sempre pronto a imparare il linguaggio lento e profondo della montagna, a leggere le storie scritte negli anelli di un albero, nelle rughe di un volto, nei sentieri tracciati dal tempo. Quello che nelle sue cartoline mi aveva mostrato la storia di un luogo che resiste e si trasforma. Di una natura che lotta e si adatta. Di uomini che imparano a fare lo stesso.
Al mattino, scendo in paese. L'aria frizzante mi buca la pelle del viso. Arrivo fino all’unica bottega che trovo e compro una cartolina.
Una vista di Castelmonte, con il castagno in primo piano. Sullo sfondo, le montagne eterne eppure, in continuo mutamento.
La indirizzo al mio capo a Londra, poche parole:
"Non torno. Ho trovato casa.
Alberto".