A Flavia
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”I EDIZIONE - Arcade, 5 Gennaio 1996
Terzo classificato
A Flavia
di Carlo Zanzi - Varese
Lunedì 12 febbraio
Ciao, Flavia. Come vedi, mantengo le promesse. Non ti abbandono nemmeno un istante durante i giorni del Campo invernale. Non è un Campo invernale qualunque: siamo al Btg Tirano, Malles Venosta, il battaglione con la zampa d’aquila e i “nonni” svelti coi gavettoni. Qui si viaggia ancora a muli e a razioni Kappa. Abbiamo gli sci di Zeno Colò, che dico, più stagionati, molto più stagionati: con questi sci di legno ai piedi hanno combattuto in Adamello, sui tanti ghiacciai che son diventati rossi del sangue degli alpini. Non voglio essere retorico ma, credimi, se c’è un canto che mi commuove, se c’è un pensiero che mi invoglia a pregare è proprio quello che ricorda la guerra, il sacrificio di giovani come il sottoscritto. Morti, tu mi capisci: morire è dare tutto; basta, non ci sei più.
Si, certo, la fede, la speranza del paradiso (quanti alpini mi immagino in paradiso!), ma intanto tu devi cominciare a lasciar tutto… per la Patria. Ecco, anche qui a Malles, forse proprio qui in Val Venosta, dove gli abiti e gli strumenti sono precisi quelli del ’15-’18, pensare alla guerra non è retorica.
A me salgono i lucciconi agli occhi. E questa mattina (sveglia alle quattro e trenta), al buio, al freddo, molti di noi alpini, senza dirlo, avevano dentro le immagini, le sensazioni dei nostri fratelli: stesso cappello, stessa penna ma loro eroi, noi modesti imitatori senza gloria.
Due note che ti fanno piacere, almeno lo spero: mi hanno fatto caporale in vista al Campo.
Ho già provveduto a cucirmi addosso i gradi. La seconda: mi sono portato nello zainetto tattico, oltre alla tua foto, la marmellata che hai preparato con le pesche e le prugne di tuo padre. Un peso in più, ma sapessi quanto lieve. Ha il tuo profumo. E’ come se ti portassi in braccio, vicino al cuore. Si, perché sono della squadra soccorso, gli ultimi della fila; sono il barelliere, porto in spalla una barella di oltre trenta chili (pesata in magazzino) e sul davanti lo zainetto, altri dieci chili con cose valdostane, gavetta, racchette da neve, telo-tenda e tant’altro. E nello zainetto, a una spalla dal cuore, la tua marmellata.
Itinerario di oggi: Malles-Burgusio-Slingia. Ti scrivo da una casa disabitata, forse una vecchia scuola.
E’ il primo giorno, abbiamo camminato poco, ci sono molti visi allegri. Ora ti lascio, gonfio il materassino, stendo il sacco a pelo e mi caccio dentro. Resto in mutandoni a mezza gamba, maglia di lana e calze. I vestiti li infilo in fondo al sacco, per tenerli caldi. E spero di chiudere occhio.
Voglio lasciarti in eredità, come saluto, il motto del 5° Alpini: Nec videar dum sin, cioè “Niente per apparire, tutto per essere”. Qui a Slingia, intanto, c’è un freddo niente affatto apparente. A domani.
Martedì 13 febbraio
Ciao, Flavia. Giornata direi positiva: sveglia alle cinque, partenza alle sette, perlustrazione con sci e pelli di foca sul monte Vatles, 2557 metri. Nel pomeriggio, massima libertà di sciata. Sci di legno e scarponi Vibram a parte, ci siamo divertiti. In fondo, chi riesce a venir giù con simili arnesi, merita un voto maggiore. Ho le gambe dure come gli zoccoli dei nostri muli, ma il morale sta in quota. I veci ci parlavano di questo Campo con toni da girone dantesco, ma ho l’impressione che peccassero di eccessiva fantasia. Da Slingia, passo e chiudo. A domani.
Mercoledì 14 febbraio
La tua marmellata è ottima, direi miracolosa. Fra l’invidia generale (per la verità qualche bergamasco mi prende per i “fondelli”) faccio saltar fuori il vasetto durante la magra colazione (sempre ad ore antelucane) e rubo qualche cucchiaiata. Gli amici hanno già avuto il piacere di condividere questo sfizio, ma non devo allargare troppo la cerchia, sennò domani il barattolo è vuoto. Comunque, ottima marmellata, tempo favorevole, questa mattina abbiamo scalato il monte Vatles. Con sci e pelli di foca ho trascinato sino alla croce d’alluminio un barchino-barella. E poi giù come pazzi. Ho preferito il barchino, lo ammetto, perché più leggero della barella che porto in spalla di solito. Questa l’ho affidata a Giorgio, un valtellinese maestro di sci. A vederlo “nudo” gli dai pochi soldi, ma con gli sci ai piedi è un angelo. Scendeva con la barella (oltre trenta chili, ricordi?) in neve fresca, a scodinzolo, come se attaccata alle spalle avesse le ali e ai piedi due razzi. Uno spettacolo! E che meraviglia il Vatles, il panorama, il sole e il mare d neve.
Ricordi che mi volevano relegare in fureria e fui ad insistere: “Capitano, la prego, mi mandi a far l’alpino sul serio. Magari anche a Malles”. Detto fatto, m’accontentarono, trovando all’istante un sostituto. Non mi pento, Fulvia: si suda, ma alpino fa rima con sudore, come all’alpino s’addice più la luce calda del sole che la luce artificiale di una lampada al neon.
Altro sci nel pomeriggio, in val di Slingia. E poi, cantata finale. Mancavi solo tu. Ma tu ci sei….nello zainetto tattico.
Giovedì 15 febbraio
Ti scrivo da San Valentino alla Muta. Siamo alloggiati, come a Slingia, in un edificio disabitato: riscaldamento zero, comodità zero virgola uno. Per fortuna ci sono i bar. Dopo quattro giorni abbiamo avuto il piacere di un po’ d’acqua calda, in un bar che s’affaccia sul lago. La poesia è poesia, e bisogna farla cantare, ma dopo quattro giorni anche la miglior lirica va lavata perché puzza. Al bar abbiamo incontrato, come un miraggio, gente delle nostre parti, in vacanza in Val Venosta. Strana impressione: è stato un tuffo nel presente, nell’oggi, dopo un centinaio di ore fuori dal mondo, in un sorta di eremitaggio in grigioverde.
E poi la musica. Sai che ho caricato su un mulo la mia chitarra? Ha finito di rompersi, ma intanto serve ad intonare i canti serali. E quanti ne abbiamo messi uno in fila all’altro questa sera! Ho la testa che mi pare una cassa armonica. Preferenza assoluta, ovvio, ai canti di montagna e a quelli alpini, tristi e allegri: Era una notte che pioveva, Monte Canino, In licenza… Il testamento del Capitano…. Ecco, questo testamento mi lascia perplesso. Hai in mente le parole? Il capitano è ferito, sta per morire, chiama i suoi alpini e ordina che il suo corpo venga tagliato in cinque pezzi, con il seguente ordine gerarchico:patria, battaglione, mamma, bella e montagne. Non condivido. Io farei: montagne, bella….Scherzo! Prima vieni tu, poi ho qualche perplessità fra la mamma e le montagne, no, direi mamma, poi i monti, poi la patria e buon ultimo il battaglione Tiràno.
Patria: certo che sono cambiati i tempi. Qui a naja il concetto di Patria un po’ salta fuori, ma a casa, a scuola, per strada, in piazza, nei bar, alla tele. Gli italiani son quelli che si lamentano sempre; l’Italia è comunque la ruota di scorta. “Già, certe cose capitano soli in Italia…” si usa dire. E poi i meridionali e la mafia e la camorra e la lira non vale niente. Non sto a mio agio in quest’Italia che fa la vittima.
Un po’ d’amor di Patria non guasta. C’è il rischio della retorica? Come no. Ma no è meglio una scorza di retorica, piuttosto che palate di disfattismo? E’ una domanda che butto lì.
Domani è prevista una camminata spaccagambe. Ti lascio, anche perché è ormai ora di contrappello.
Ciao, Flavia… la prima della lista.
Venerdì 16 febbraio
Ci vuol poco a smarrire la poesia, la commozione che ieri mi avevano pervaso sulle note dei canti alpini. Oggi è stata una giornata pessima. Credimi, se riesco a scriverti è solo perché ti amo. Sveglia alle quattro e trenta (ma non è una novità), tempo infame, pioggia e neve, gelo e vento. Itinerario: San Valentino, Belpiano (una salita mica da ridere, sino a 2100 metri), Roja e Resia, Arriviamo stravolti, con la neve alta mezzo metro, con fame soprattutto con un gran bisogno di dormire, e che succede? Aspetta, aspetta, aspetta, là in piedi come tanti allocchi. Pareva che nemmeno il caro capitano Di Paola Gianandrea sapesse dove sbatterci. Poi ci hanno trovato un buco, solita caserma mezza diroccata: freddo, umido, calcinacci e sporcizia.
Dico la verità: io mi ritengo uno di pazienza media, cioè mi lamento ma in cuor mio, senza esternare più di tanto. V’è chi si lamenta senza ritegno né dignità, ma vi è anche chi – e non sono pochi - sopporta il tutto con un mezzo sorriso sulle labbra. Saranno i ragazzi dalle valli, abituati ad una vita meno comoda della mia.
Ci pensavo questa sera, in piedi, stecchino come un baccalà, in attesa che la cucina da campo sfornasse un po’ di brodaglia, con la gavetta in una mano e il gavettino in quell’altra: “Ma quei poveri cristi che hanno fatto la guerra, in quale mare di sofferenza sono annegati? Quanto hanno dovuto patire? Dove mai, quei miei fratelli alpini, avranno recuperato la forza di resistere senza cedere alla disperazione?”. Guarda, bisogna provarci per intuire. Altro non riesco a comunicarti. Scusami. Buona notte.
Sabato 17 febbraio
Dopo ogni tempesta torna il sereno. Ciao, Flavia. Non parlo di sereno meteorologico (oggi nevica, e alla grande) ma di sereno interiore. Ieri ero giù di giri. Dopo una dormita decente (sveglia alle sei), questa mattina abbiamo svolto un’operazione di indubbia utilità. Ed è molto importante riuscire a rintracciare, in ogni tuo gesto, il lato positivo, il risvolto di bere comune. Ebbene, abbiamo fatto un’esercitazione di soccorso su al passo di Resia, immaginando la caduta di una valanga.
Alla sera: tour dei bar, con il sollievo di un fiotto d’acqua calda. E persino la barba. Ti lascio, ma non prima di averti letto qualche passaggio di uno scritto, che ho trovato sbiadito sul muro della casermetta abbandonata che ci ospiterà anche questa notte. Titolo: Il nostro cappello. Qualche frase è illeggibile. Senti un po’: “Sapete cos’è un cappello alpino? E’ il mio sudore che l’ha bagnato e le lacrime che gli occhi piangevano e tu dicevi – Nebbia schifa – Polvere di strada, sole di estati, pioggia e fango di terre balorde gli hanno dato il colore… Un cappello così hanno messo sulle croci dei morti…. Insegna nel combattimento e guanciale per le notti, Vangelo per i giuramenti e coppa per la sete..”. Che ne dici? Già, ma una donna non può capire. O forse si?
Domenica 18 febbraio
Ci voleva un’altra razione di riposo. Questa mattina sveglia alle otto, poi corvè accantonamento.
Messa in tedesco (per chi gradiva) e un freddo incredibile. E’ il vento che rende il clima ancor meno sopportabile.
Una settimana è andata. E’ il momento di stringere i denti. Sarà dura, mancano ancora sei giornate piene. E, quel che è peggio. Ho finito la tua marmellata, fonte di calore e di calorie. Tu non hai idea di cosa possa significare un vasetto che sa di te, in certi momenti. Non puoi noleggiare un piccione viaggiatore, che salga in questa valle spazzata dal vento con al collo un vasetto nuovo?
Lunedì 19 febbraio
Questa non dovevano farcela. E’ stata grossa! Ti racconto. Sveglia alle tre, partenza alle sei, ci hanno fatto fermare alla “Wackernell” di Malles. Sì, hai capito bene, siamo arrivati alla nostra caserma. Uno pensa: adesso ci lasciano fare almeno la doccia. Ma quando mai? Tutti in riga, allineati, pranzo (bhé, almeno non abbiamo mangiato nella gavetta) e via, verso Ultimo e Piavenna. E sai dove dormiremo?
In un fienile. Ti dico la verità: ho l’impressione che si starà meglio nel fienile che nelle case in muratura, abbandonate. C’è più calore, c’è meno umido. Da cristiano rivedo la Santa Nascita, i profumi e le sensazioni che avvertirono, con buona probabilità, Maria e Giuseppe. Escursioni mitiche a parte, non ho molto altro da comunicarti, se non che i piedi cominciano a far male sul serio. Ho sostituito i Vibram con le pèdule. Speriamo.
Martedì 20 febbraio
“Fuori dai sacchi a pelo, coglioni!”. Con questa precisissima frase (scusa per la crudezza), il nostro capitano, alle tre e trenta, ci ha svegliati. Era nero per colpa del caporalmaggiore Brocchi, capoposto che – capita – s’era addormentato, ritardando quindi di una buona mezz’ora la levata. Comunque il nostro massimo graduato ci ha messo poco a farci recuperare il tempo perso in sacco a pelo: colazione ancor più rapida e caricamento mortai sui muli ancor più sollecito. Poveri conducenti! E poveri muli, perché oggi l’han vista brutta. Nel percorso Piavenna-Malles-Sluderno-Tanas siamo incappati in un sentiero innevato non agevole per noi, arduo per le bestie. Non poche sono cadute. Rimetterle in piedi è stata un’impresa, che ha coinvolto tutti: conducenti, mortaisti e squadra soccorso. Esenti solo gli sten (sottotenenti) e il capitano. E siamo a meno quattro!
Mercoledì 21 febbraio
Ho i piedi a pezzi e nemmeno un buco per scriverti. Passano i giorni, aumenta l’insofferenza. E aumenta la portata della domanda: perché? Perché tutta questa fatica? E con questi mezzi arcaici, a ventun anni del Duemila? Dove andrebbero a finire muli, cucine da campo, gavette, barelle in legno e tela e quant’altro in caso di guerra? Più le nostre fiacche si moltiplicano e sanguinano, più simili domande acquistano una drammatica attualità. E più si comprendono le raccomandazioni, le previsioni dei veci: “Nipoti, vedrete cos’è un campo invernale al Tiràno”.
Ciao, Flavia, non t’ho nemmeno detto che siamo arrivati a Stelvio, 1311 metri sul livello del mare.
Giovedì 22 febbraio
Ultima trovata del nostro capitano, che ovviamente avrà dovuto obbedire all’ultima pensata del generale tal dei tali… Fra oggi e domani spalare dieci chilometri di sentiero (dico dieci), per permettere ai muli di valicare la forcella di Montechiaro 81820 m) e calare a Malles. Un badile per ciascuno, venti-trenta metri fra un alpino e l’altro, si tratta di intagliare una bianca trincea, profonda non meno di un metro e cinquanta. Oggi siamo andati in ricognizione, domani si attacca. Almeno il tempo ci favorisce.
Venerdì 23 febbraio
Sveglia alle quattro, partenza alle sei e trenta per i lavori forzati. Abbiamo spalato neve per cinque ore. Ha il suo fascino: il fascino della fatica, dello sforzo fatto insieme, della via che si materializza nel manto di neve. E poi gli stupendi colori di queste terre. Stamani all’alba, salendo col camion CM a Montechiaro, ho gustato il fruscio rosso-arancio-giallo azzurro dell’aurora. Così non puoi fare a meno di ringraziare il Signore e gli alpini, soldati dei monti. La montagna è come la vita: stupenda e terribile. Quest’oggi è stata stupenda, si è lasciata accarezzare. E poi brindo alla mia prima (e credo ultima) razione Kappa, gustata sotto il sole, fra due muraglioni di neve: biscotti secchi, latte condensato, cioccolato, gallette, carne in scatola (tralasciamo la data di confezione!). Mi son cotto persino la pasta e fagioli, sulla fiamma generata dalla mèta. Ora ti lascio. Pesa anche la penna, dopo quell’esagerazione di badile. Ho le braccia che riescono a disegnare a malapena un segno di croce.
Sabato 24 febbraio
E’ la fine. Alle sedici e trenta siamo entrati, zoppicanti e trionfanti, alla “Sigfrido Wackernell”. L’attimo più gustoso della giornata è stato, di gran lunga, la doccia delle diciotto circa. Acqua calda, santa e benedetta.
Suggestivo il passaggio dalla forcella di Montechiaro, verso mezzogiorno. I muli ce l’hanno fatta grazie ai nostri calli sulle mani. E poi il vallone infinito, sino a Glorenza, e da Glorenza a Malles.
Asfalto che ci coceva i piedi come fiorentine ai ferri. Ma, a cinque ore di distanza, è già acqua passata.
Prima di scriverti sono passato in Palazzina Comando. Lì è appeso un quadro, con la preghiera dell’Alpino. La guardavo sì e no; oggi, a Campo ultimato, ha acquistato valore. Almeno per me. Qui ne riporto un pezzetto. Ascolta: “…Dio Onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga… rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria… Così Sia.”
Un bacio.
Gigi (incarico 51, mortaista mortai medi)
Nota
A differenza dei luoghi, i riferimenti a persone – citate nel presente diario di un fante alpino in tempo di pace – sono del tutto immaginari.