1997 Terremoto Marche e Umbria - Gruppo Alpini Arcade


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1997 Terremoto Marche e Umbria

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Testimonianze di solidarietà
1997 - TERREMOTO MARCHE E UMBRIA

26 settembre: le incoercibili forze della natura, che obbediscono solo alle leggi che regolano il loro equilibrio interno e non si curano dell’uomo e delle sue opere, sconvolgono le terre di San Francesco, distruggono, insieme alle vite umane, le case degli uomini, i luoghi del loro lavoro e un patrimonio di arte e di cultura che non ha pari al mondo: il campanile di Foligno, le volte di Cimabue della basilica superiore di Assisi e altri tesori che è impossibile elencare tanto alto è il loro numero. E’ un terremoto anomalo, bizzarro che spiazza ogni previsione della scienza e si fa scherno di chi cerca di salvare qualcosa: chi non ricorda le immagini, diffuse dalla TV in tutto il mondo, del crollo del campanile di Foligno proprio nel momento in cui la gru stava calandogli sopra l’impalcatura che avrebbe dovuto proteggerlo? Così, di sorpresa, hanno ricevuto un beffardo ‘battesimo del terremoto” gli Alpini arcadesi Valerio Baldassin e Giacomo Signorotto appena messo piede a terra nella tendopoli di Belfiore, una frazione di Foligno alle 16,30 del 4 ottobre: due scosse consecutive del 5°-6° grado Mercalli.
Ecco come raccontano la loro recente esperienza nell’intervista del 10 novembre 1997.
In quali servizi siete stati impiegati?
I servizi erano molti; e tutti “0-24”. cioè senza alcuna interruzione, con turni di varia durata a seconda del servizio e dell’ora in cui veniva prestato. Per esempio, il servizio di guardia anti sciacallaggio alla porta carraia della tendopoli aveva turni di tre ore. Poi abbiamo lavorato al montaggio delle tende, al posizionamento delle roulotte e alla posa in opera delle passerelle in plastica per agevolare l’accesso in caso di pioggia. Insieme ai vigili del fuoco siamo andati in ricognizione per verificare la percorribilità delle strade specialmente dopo le scosse più violente che si susseguivano con molta frequenza. Abbiamo dato una mano nella distribuzione dei pasti caldi, che venivano preparati dagli Alpini della Sezione Bolognese-Romagnola. Ma quello più importante e delicato era il sostegno morale e psicologico, soprattutto agli anziani e ai bambini ai quali era necessario dare sicurezza e far “sentire” la solidarietà. Ogni scossa creava in loro panico: ma spesso bastava la sola nostra presenza a tranquillizzarli; per questo dopo ogni scossa entravamo nelle tende se era di notte o ci mescolavamo alla gente che si raggruppava fuori durante il giorno.
Oltre alle due scosse di... benvenuto, ne avete sentite altre?
Altro che! Più o meno forti, ma era un continuo. La più terribile è stata quella della notte del 7 ottobre. C’erano stati alcuni giorni di calura estiva; poi cominciò a piovere, rinfrescò l’aria, ma mise il fango per terra. Quella notte la tendopoli era immersa nel sonno sotto una pioggia battente; tutti dormivano tranne la muta di guardia alla carraia da mezzanotte alle tre. Verso l’una e venticinque un boato tremendo e la terra comincia a sobbalzare. Svegliati di soprassalto, che fa aumentare lo spavento, tutti balzano fuori dalle tende terrorizzati, sbigottiti, sotto la pioggia, senza tener conto che le tende non crollano, sono sicure anche se scomode. “Il nostro amico” - così gli abitanti della zona hanno denominato il terremoto - “il nostro amico” ci aveva regalato una scossa dell’ottavo grado Mercalli. E una scossa di tale potenza lascia il segno non soltanto sulle cose, ma soprattutto nell’animo della gente: la mente non si libera più dall’incubo che ne torni un’altra e anche quelle lievi che si susseguono poi continuamente sembrano potenti.
Chi coordinava tutta l’attività di soccorso?
Il Generale Giancarlo Finelli, un “vècio” di Artiglieria Alpina, Gruppo Belluno: un Generale in congedo, di Treviso. Un uomo eccezionale, che sapeva farsi obbedire da tutti senza mai alzar la voce, quasi senza comandare: era soprattutto l’esempio che dava che trascinava la gente. Lui era sempre sveglio: bastava la minima scossa ed era in piedi, in giro per la tendopoli a vedere se c’era bisogno di qualcosa; lo trovavi da tutte le parti, a tutte le ore, a controllare, a stimolare, a incoraggiare, a confortare la gente. Un uomo come ce ne vorrebbero tanti.
In fondo è il prototipo degli Ufficiali Alpini che si fanno seguire, più che farsi obbedire. E la popolazione? Quali erano i sentimenti della gente e come si comportava con voi?
Nella popolazione c’erano sentimenti diversi: rabbia, scoramento, senso di impotenza; ma non rassegnazione. Tutti si davano da fare per recuperare dalle case diroccate quel poco che c’era rimasto - ma nelle case potevano andare solo accompagnati dai Vigili del Fuoco che prima verificavano se c’era pericolo; e tutti parlavano di ricostruzione. Con noi sono stati magnifici: ci vedevano non come estranei che andavano lì a dare una mano, ma come fratelli, quasi come angeli: avevano capito che lì ci eravamo non solo con le braccia, ma soprattutto col cuore. E ci invitavano nelle tende a pranzo, a cena; cucinavano la pietanze tradizionali, e ci offrivano il vino.., e che vino! Quando siamo ripartiti quasi eravamo dispiaciuti più di loro.
Sotto la tenda a Belfiore
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