Tutte le stelle del creato - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Tutte le stelle del creato

Tutte le edizioni > Edizione27
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XXVII EDIZIONE Arcade, 8 gennaio 2022
Primo classificato


Tutte le stelle del creato

 
di Danila Barel - Cappella Maggiore (TV)





A Fais era una fresca sera d'agosto; il cielo terso e calmo era pronto per essere inondato dalle lacrime di San Lorenzo, mentre un timido spicchio di luna sembrava starsene in disparte, anche lui spettatore del tanto atteso evento.
Teresa si era assicurata un posto in prima fila, sul muretto che delimitava il giardino di casa, oltre il quale un prato disordinato scendeva ripidamente verso una casa decrepita e solitaria. Stretta accanto a lei c’era Ada, la figlia di otto anni, la stella più bella e preziosa. Le due vivevano in simbiosi, soprattutto da quando un maledetto glaucoma aveva rubato la vista a quella piccola e sfortunata creatura. Senza tralasciare il benché minimo dettaglio, Teresa, come era solita fare, iniziò a raccontare alla figlioletta quello che stava accadendo, descrivendo tutto l'intorno, dal cielo alla terra, e spiegando l'origine dei rumori, anche quelli più banali e apparentemente insignificanti; insomma cercava di essere i suoi occhi in modo da accenderle l'immaginazione affinché anche lei potesse godere di quell’incanto.
«Ada, ecco una stella cadente! Pensa a un desiderio!»
La bimba era emozionatissima e non stava nella pelle; mentre i talloni battevano contro il muretto, il viso si contorceva in bizzarre smorfie che evidentemente agevolavano la concentrazione per l’importante scelta da fare. Dopo qualche secondo si rilassò, lasciandosi andare a un sorriso radioso che le illuminò il volto: «Fatto, mamma!» esultò soddisfatta. E contente, mano nella mano, mamma e figlia rientrarono in casa, dove ad attenderle c’era Aldo, che si vide travolgere dall’incontenibile entusiasmo di Ada: «Papà! Papà! Sai che ho espresso un desiderio alla stella cadente? Ma non te lo posso dire altrimenti non si avvererà.»
Gli occhi dell'uomo si fecero lucidi, come del resto accadeva ogni qualvolta la bambina gli parlava e lo commuoveva con quell'affetto autentico e puro, che immancabilmente, come una lama affilata, riapriva l’enorme ferita che l'uomo portava nel cuore. Quella bambina era un vero tesoro, sempre dolce e gioiosa, nonostante la sua condizione. Ecco, era proprio quella condizione ingiusta che Aldo non voleva e non sapeva accettare; era una immeritata e irreversibile punizione, che gli provocava una rabbia logorante. «Dov'è il nostro Dio, infinitamente buono, che tutto può? Perché ha voluto infliggere una tale condanna a un'innocente?» Questo era il quesito che ripeteva spesso alla moglie, la quale, ovviamente, non aveva una risposta. Lei però aveva la grazia di riuscire a vedere il bicchiere mezzo pieno; aveva smesso di affliggersi, voleva guardare avanti e pensare che Ada avrebbe potuto avere un futuro dignitoso e sereno, seppur complicato. Per i due genitori Ada era la felicità più grande e amara allo stesso tempo.
La famiglia Sartor era una delle poche rimaste a vivere nei borghi di Fais, una di quelle che non aveva ceduto al richiamo ammaliatore del boom economico. Aldo era pago della sua esistenza; l'alpeggio era per un lui un lavoro, ma anche una passione, uno stile di vita, e soprattutto un’eredità da preservare. Alcuni lo consideravano un coraggioso, altri un codardo che preferiva rimanere ancorato al vecchio per paura del nuovo.
«La gente, anche se lavora nelle fabbriche, continuerà pure a mangiare, no? Perché allora dovrei cambiar mestiere?» Questo rispondeva Aldo a chi cercava di portarlo sulla presunta retta via. Era sopravvissuto alla guerra e intendeva resistere all'industria che avanzava.
Nemmeno Teresa avrebbe mai abbandonato il suo lavoro di raccoglitrice di stelle alpine, soprattutto adesso che aveva coinvolto anche Ada in questa avvincente pratica. Di buonora partiva con lo zaino in spalla alla volta dei Prati del Coston, percorrendo sentieri, mulattiere sassose e tornanti, in uno scenario a dir poco spettacolare, un buongiorno che si vedeva dall’alto. Arrivava a raccogliere tremila, a volte anche cinquemila, stelle alpine, che poi divideva in piccoli mazzetti pronti per essere venduti a un pittoresco commerciante che passava ogni settimana e che li pagava anche piuttosto bene. Quei semplici e vigorosi fiori di montagna erano destinati addirittura all’esportazione; finivano in Austria e in Svizzera dove la raccolta era vietata e c’era forte richiesta da parte di chi produceva souvenir di montagna, nei quali, si sa, la stella alpina è sempre stata protagonista indiscussa.
Ada si accorgeva immediatamente se Teresa aveva raccolto stelle alpine.
«Evviva, sono arrivate le stelle!» esclamò un giorno, appena entrata in cucina.
«Ma come fai a sapere che ci sono?»
«Sento il loro profumo, il buon profumo di montagna.»
La risposta lasciò Teresa stupefatta e anche un tantino imbarazzata: con tutti quei fiori che le erano passati tra le mani, mai ne aveva odorato il profumo. Fu da allora che si ripromise di stimolare la figlia a seguirla in tutte le attività, affinché imparasse a colmare la sua mancanza sfruttando le altre sue doti speciali che l’avrebbero aiutata a rendersi il più possibile autonoma.
Cominciò con insegnarle a fare i mazzetti di stelle alpine; era un passatempo piacevole, che l’appassionava molto. Imparò a distinguere fiori e piante, e le verdure dell’orto. Era brava persino nel disegnare i fiori; possedeva una tale sensibilità nelle dita che non le sfuggiva nessun dettaglio, se non il colore! Con la mano destra trasferiva sul foglio quello che la sinistra registrava con il tatto. E come se non bastasse, Teresa la condusse in altura a cercare le stelle alpine; ogni giorno un tratto in più, fino a fare tutto il percorso. A ogni sentiero aveva dato un nome: il sentiero dell'erba soffice, quello dei sassi appuntiti e quello dei sassi rotondi. Era il suo modo per orientarsi e memorizzare il tragitto. E quando trovava le stelle alpine era uno spasso osservare con quanta attenzione le raccoglieva senza strapparne le radici e come le coccolava con tenerezza.
«Quando sarò grande e mi sposerò, voglio un bouquet di stelle alpine.» aveva confidato in più occasioni. Aldo l’assecondava, ma in cuor suo pensava che erano solo parole al vento, perché tanto nessuno l’avrebbe mai sposata, e si struggeva all'idea della sofferenza che quel sogno infranto le avrebbe provocato. Teresa, pur comprendendo il tormento del marito e dispiacendosi per lui, non ne condivideva il pensiero. Ma se Ada non era turbata dall'oscurità che la circondava, se mai si era lamentata e mai si era fatta condizionare, perché porle limiti, perché non avere fiducia nelle sue possibilità? Quella bambina aveva vitalità da vendere e ogni suo progresso costituiva uno sprone per andare avanti. Forse non era lei ad avere un problema da risolvere, non era lei a voler rinunciare a vivere pienamente.
Una sera Teresa si recò dall’amica Elide, nel vicino Borgo degli Ulivi, per darle una mano con la marmellata di prugne particolarmente impegnativa, visto il raccolto alquanto generoso di quell'estate.
Ada rimase a casa a giocare con l’inseparabile bambola di pezza. «Papà, fa un po’ freschetto qui, non trovi?» disse a un certo punto, strofinandosi le braccia. In effetti la prima pioggia di agosto aveva già rinfrescato il bosco e al calar del sole l’aria si faceva frizzante. Aldo allora si alzò per andare al piano di sopra a prenderle un golfino. Al ritorno, dopo qualche gradino, colpa di quelle ciabatte consumate, scivolò e capitombolò rovinosamente giù dalle scale, battendo la testa contro uno stipite. Il rumore fu fragoroso. Ada, spaventata, cominciò a chiamarlo, a chiedere cosa fosse successo. Ma non le giunse alcuna risposta. Aldo era rimasto a terra privo di sensi e non la poteva sentire, come lei non lo poteva vedere. Dopo qualche interminabile attimo di agghiacciante silenzio, la bimba prese il fedele bastone che l’accompagnava negli spostamenti e si diresse verso le scale. Non le aveva ancora raggiunte quando il bastone urtò contro qualcosa che intralciava il passaggio; Ada si avvicinò pian piano all’intruso, si chinò e, titubante, lo toccò con le mani. Ma sì, era proprio un corpo, il corpo del papà. Lo scuoteva, ma lui non reagiva. Lei lo chiamava insistentemente, ma niente! Nel frattempo, continuando a tastarlo, arrivò ad accarezzargli la testa e la sentì bagnata. Mise allora l’indice in bocca; il gusto era proprio quello del sangue. Lei lo conosceva bene, perché quando cadeva le veniva spontaneo toccarsi le ginocchia e succhiarsi le dita per capire la gravità della ferita. Sentì il pianto salirle dalla pancia, ma prima che le lacrime avessero il sopravvento, si alzò e uscì di casa, intenzionata a raggiungere la madre al Borgo degli Ulivi.
La strada la conosceva, l’aveva già percorsa più volte, anche se non da sola e nemmeno al buio, ma quest’ultimo non era certo motivo di paura per lei. Arrivò con facilità alla strada e poi, come le aveva insegnato Teresa, iniziò a camminare rasente al muretto di sassi che fiancheggiava la via. Sapeva di dover, a un certo punto, imboccare una stradina che svoltava a sinistra; avrebbe dovuto quindi attraversare la strada, cosa che fece ritrovandosi però a cozzare contro dei cespugli. Non sapeva cosa fare, da quel lato non c’era il muretto a darle sicurezza. Spaesata, iniziò a chiamare aiuto, ma fu del tutto inutile: nessuno si aggirava nei paraggi. Proseguì allora per un breve tratto, confortata dall’amico bastone che esplorava il terreno intorno a lei. Proprio lui, il bastone, fu provvidenziale. Scovò qualcosa di rigido tra i cespugli, forse un muro, una specie di parete. Ada si accostò per vedere meglio con le mani. Ma certo, era proprio il capitello della Madonna del Rosario! La piccola statua adagiata su un mattone sotto l’arco, era inconfondibile: ruvida, con la vernice che si scrostava, e la mano destra orfana del mignolo. Che sollievo! La strada da prendere era subito dopo e da lì il percorso sarebbe stato dritto, anche se in salita, ma almeno senza altre deviazioni. L’intrepida bambina accelerò il passo con decisione e fierezza, ormai sicura di sé; il peggio era passato e mentre avanzava chiamava la mamma con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Fu Elide a udire per prima le grida della bambina: «Teresa, ma questa non è la voce di Ada? La senti?» Le due donne si precipitarono fuori; la voce adesso era nitida e ben riconoscibile. Teresa non si agitò, non pensò al peggio (non era sua abitudine) e si diresse verso la strada per andare incontro ad Ada e Aldo. Credeva infatti che padre e figlia avessero avuto la bella idea di farle una sorpresa. E la sorpresa ci fu, sconvolgente e spiazzante. Quando, in lontananza, scorse Ada avanzare da sola, ebbe un tuffo al cuore; di colpo il suo consueto ottimismo l’abbandonò, facendola precipitare in un marasma emotivo mai provato prima.
«Ada, sono qui. Stai ferma che ti vengo incontro!»
Fu una corsa interminabile, una cinquantina di metri lunga chilometri.
«Bambina mia, cosa ti è successo? Ma sei sporca di sangue! E il papà dov’è?»
«Mamma, il papà sta male! Ti prego, devi correre subito a casa!»
Elide, sopraggiunta subito dopo, assistette alla scena ed esortò l’amica a sbrigarsi: «Non perdere tempo, vai! Mi occupo io di Ada.»
Aldo, nel frattempo, aveva ripreso i sensi, ma non riusciva ad alzarsi in piedi a causa di una gamba evidentemente fratturata. Chiamò più volte Ada, ma lei non rispondeva. Tragici presentimenti, uniti a sensi di colpa, invasero la sua mente ormai priva di lucidità; se fosse successo l’irreparabile non se lo sarebbe mai perdonato.
Finalmente Teresa arrivò a casa. Trovò il marito riverso a terra, in evidente stato confusionale e comprese subito che, più che cure mediche, urgevano notizie di Ada; la rassicurazione che stava bene bastò infatti a sedare ogni dolore. I due scoppiarono in un pianto liberatorio che allontanò ogni ansia. Se ne stettero lì, seduti sul pavimento, singhiozzando e accarezzandosi vicendevolmente il viso, quasi increduli, come fa chi si ritrova dopo una scomparsa.
Per un certo periodo Aldo dovette rimanere a riposo, con la gamba ingessata e una contusione alla testa da curare, ma aveva il privilegio di essere assistito da un angelo che non gli faceva mancare nulla e che lo allietava con la sua contagiosa allegria.
«Papà, adesso te lo posso dire. La stella cadente ha esaudito il mio desiderio.»
«Non dirmi che le hai chiesto di farmi venire questo bernoccolo che ho in fronte!»
«Ma no! Le ho chiesto di poter andare in giro da sola, e ci sono riuscita.»
«Sei stata bravissima. Quando mi sarò rimesso ti prometto che ti porterò al Pian dei Grassi e ti farò conoscere Carolina, una mucca speciale che sa cantare e poi potrai raccogliere le stelle alpine che ti piacciono tanto.»
«Davvero? Beh, allora sbrigati a guarire. Ah papà, quasi mi stavo dimenticando! Chiudi gli occhi, ho un regalo per te.»
Ada allora si spostò verso la credenza per prendere il regalo che lei stessa aveva preparato con tanto amore; tornò dal padre e glielo pose tra le mani: «Adesso puoi aprire gli occhi.» gli disse, un po’ pavoneggiandosi.
«É il regalo più bello che io abbia mai ricevuto!» rispose Aldo con la voce rotta dall'emozione alla vista di quel delizioso mazzetto di stelle alpine, miste a ciclamini e rametti di nocciolo e edera.
«Se quando ti sposerai ti preparerai un bouquet come questo, sarai bellissima! La sposa più bella del mondo!» aggiunse, e questa volta non solo per farle piacere, ma per profonda convinzione.
Quella che fino ad allora aveva ritenuto essere una punizione si era catarticamente trasformata in benedizione. Da uomo inaridito, accecato da una sterile rassegnazione, quale era diventato, si sentì finalmente un padre normale: orgoglioso della figlia e pieno di speranze per lei.
Teresa, con le lacrime agli occhi e il cuore traboccante di felicità assistette compiaciuta a quel miracolo dell'amore che stava lì, tutto racchiuso in quel mazzolino apparentemente delicato e fragile, ma che in realtà esprimeva tutto il coraggio, la forza e la tenacia di chi l’aveva fatto, e la ritrovata e rinnovata paternità di chi l’aveva ricevuto.
Anche il suo desiderio si era realizzato, grazie alle stelle.
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