Rosso sui ghiacciai
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”XXV EDIZIONE - Arcade, 4 Gennaio 2020
Primo classificato
Rosso sui ghiacciai
di Giovanni Scanavacca - Lendinara (RO)
C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo.
I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto.
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto.
Guardala. È il tuo specchio...
J. L. Borges
La dedica di un rifugio in montagna tutto è tranne frutto del caso. A chi andasse per monti e trovasse quello dedicato a Toni la preghiera di sostare, guardare la sua foto e leggere la didascalia. Meglio ancora se riuscisse a farsi raccontare dalla viva voce dei suoi discendenti la sua vicenda.
Storia piccola quella di Toni, in apparenza, e parallela a quella con la maiuscola, eppure importante come quella di tante persone normali che camminano ogni giorno sui sentieri del tempo.
A uno di quei piccoli sassi che rotolano nel tempo come le pietre dei ghiaioni, a una di quelle "pietre d'inciampo" è dedicato quel rifugio.
La slavina si era staccata dalla cima e aveva travolto tutto.
Solo un miracolo aveva impedito che ci fossero vittime.
Toni, il vecchio, l'aveva prevista giorni prima e l’aveva osservata mentre scendeva violenta lungo il fianco del monte trascinando con sé tutto: alberi, massi e barriere protettive, poi, con calma, aveva acceso la pipa e aveva aspettato.
Le prime voci concitate si erano sentite si e no quindici minuti dopo.
"Mai visto nulla di simile." Diceva la prima.
"È enorme. È venuto giù mezzo fianco della montagna." Gli rispondeva la seconda.
"Ci avrà messo sì e no mezzo minuto. C’era gente da quelle parti?"
"Qualcuno potrebbe essere salito a sciare fuori pista."
"Ce n'è una quindicina in rifugio che si rimette dallo spavento." Rispose Toni.
"Per fortuna non sono andati in su."
"Meno male che qualcuno li ha fermati."
"E chi?"
"Io. Chi altri? Vi ricordo che io andavo in parete prima che voi nasceste."
"Come hai fatto?"
"E’ più semplice di quel che credi."
"Ma dai!"
"La neve è caduta abbondante quest'inverno. L'ultima è di poche settimane fa quando c'era già troppo caldo. La luna non era nella fase giusta e la neve è diventata pesante. Pareva più appiccicosa, ma era troppo umida. Si è accumulata. Fossimo stati all'inizio dell'inverno non ci sarebbe stato problema, il freddo l’avrebbe trasformata in ghiaccio. Invece non è stato sufficiente a consolidarla. E non c'è stato abbastanza vento. Ci fosse stato quello a spazzarla via non ci sarebbe stato problema.
Così è rimasta là: neve caduta che non diventa ghiaccio deve scendere a valle o come acqua o come slavina. Nell'ultima settimana di notte il cielo è sempre stato coperto, che significa più caldo, e slavina assicurata."
"Capisco."
"No. Voi giovani non capirete mai. E poi c'era la faccenda dei sei dell'ultima brigata."
"Cosa è ‘sta storia?"
"Roba vecchia, leggende secondo voi giovani che non vi preoccupate più delle tradizioni."
A quel punto Toni fu interrotto da Franco, suo figlio.
"Con quello che è successo te ne stai lì a raccontare? Siamo tagliati fuori. Siamo senza corrente, il telefono non funziona e il generatore ha un'autonomia si è no per mezza giornata."
Toni lo guardò con aria di sufficienza poi sbottò: "Sempre il solito giovanotto che ama la vita comoda!"
"Abbiamo quindici persone rifugiate qui e tu mi rimproveri!"
"Certo. Sono quindici alpinisti o presunti tali, saranno pur preparati!”
"Ma…"
"Ho capito. Mi tocca lavorare!" E Toni entrò con calma nel rifugio.
I quindici dei quali parlava Franco erano spaventati e qualcuno si era fatto prendere dal panico.
Toni, capì subito il problema.
"Sentì fioi..." Esordì in dialetto per riprendere subito dopo in italiano: "Non è successo niente. Nessuno si è fatto male. Vi ho fermato qui stamattina perché questo è un posto sicuro. Le slavine non sono mai arrivate fin qui perché i vecchi che hanno costruito questo rifugio conoscevano bene la montagna. Adesso in quota non c'è neve a sufficienza per un'altra slavina, in più la strada del passo ora è bloccata. È solo una questione di tempo e arriveranno con gli spazzaneve. Non serve cercare di telefonare: chi di dovere sa già che qua è successo qualcosa. Siete giovani e attrezzati. Se per una notte dormirete sul pavimento non morire. Legna ce n'è e quindi non congelerete. Prima di notte cercheremo di preparare qualcosa da mangiare affinché non moriate di fame. Quindi niente panico!"
Ripristinata la calma Toni fece un giro attorno al rifugio.
"Cosa c'è?" Gli chiese Paolo, uno dei ragazzi.
"Niente. Volevo capire cosa è successo davvero. Lo dicevano che prima o poi sarebbe successo."
"Cosa?"
"Che quelli dell'ultima brigata sarebbero tornati giù."
"Ancora questa storia! Ma è vera?"
"Dovresti conoscermi a sufficienza per non dubitare."
E venne la notte, ma la paura non l'accompagnò. Il fuoco nel camino fu alimentato, la cena fu inventata, i sacchi a pelo srotolati e, per chi non aveva sacco a pelo, furono trovate delle coperte. Quando il generatore fu spento e la stanza fu illuminata solo dal riverbero della fiamma del camino una voce si alzò.
"Ehi Toni, cos'è questa storia dell'ultima brigata?" E lui, preso di sprovvista, fu costretto a raccontare come un nonno con i nipoti.
"La guerra era nel suo momento peggiore. Il nemico aveva migliorato di molto la sua strategia e la montagna, che aveva sempre garantito sicurezza, non era più così amica.
Va detto che, all'epoca, amici e nemici erano poco diversi. Noi e gli austriaci eravamo simili, molto simili, troppo simili, figli tutti delle stesse montagne. Per questo la guerra era incomprensibile. Di qua e di là dal fronte si parlava lo stesso dialetto. Il freddo era lo stesso e i pidocchi pure.
I nostri avevano il compito di tenere la posizione su in cima. Facile a dirsi, meno a farsi. Gli altri, ovviamente, avrebbero dovuto fare il contrario. Risultato: giù bombe e cannoneggiamenti e azioni improvvise per guadagnare un metro di monte a prezzo di chissà quanti morti.
La guerra è così. Inutile stupida, crudele.
Là dove oggi volevate andare a fare un'escursione sono morti come le mosche. E per fortuna che poi sono venuti gli inverni e le nevicate a cancellare le tracce. Bianco di neve sopra il rosso del sangue, badate, il sangue è dello stesso colore sia italiano o austriaco.
Quel fianco della montagna che oggi si è liberato della neve era sotto tiro. Riuscivano a colpirlo da lontano. Era un molto tempo fa, ma la gittata degli obici era notevole.
I nostri erano sopra, dall'alto avevano gioco più facile a cannoneggiare i nemici, ma per arrivarci dovevano salire lungo l'unica strada possibile che correva lungo il fianco del monte. Sotto tiro, maledettamente sotto tiro. Per questo i nostri si inventarono le gallerie, quelle delle quali avete sentito parlare e che volevate esplorare oggi. In galleria si era protetti e si poteva salire in sicurezza.
La storia che ci interessa è quella dei sei dell'ultima brigata. La disfatta di Caporetto era successa da un po' e la confusione regnava sovrana. La linea di comando faceva acqua da tutte le parti e i soldati se la dovevano cavare da soli. Dall'altra parte non perdevano l'occasione di cannoneggiarci desiderosi com'erano di "darci il colpo di grazia".
Quelli che stavano in quota avevano bisogno di tutto dai viveri alle munizioni, feriti e morti dovevano essere evacuati. Per questo anche in quei giorni le salmerie non si fermarono.
Quando gli austriaci riuscirono a colpire un carro di rifornimenti in salita verso la cima crearono un grosso problema: con un ostacolo sulla mulattiera era impossibile sia salire che scendere. Ogni tanto capitava anche se i nostri erano molto abili a farsi vedere il meno possibile, ma i tratti allo scoperto erano assai pericolosi.
Quel giorno bisognava proprio togliere di mezzo quel carro e la faccenda aveva tutte le caratteristiche per non essere né breve, né facile. Per quelle operazioni i comandanti avevano capito che era meglio chiedere aiuto ai volontari. L'elevato rischio li avrebbe esposti al malcontento della truppa in caso di vittime.
In sei si offrirono.
Lo avevano fatto altre volte ed erano sicuri di essere più rapidi degli artiglieri austriaci. Non considerarono che quelli, probabilmente, avevano già teso loro una trappola ed erano appostati per cogliere ogni spostamento sulla mulattiera e, soprattutto, avevano mantenuto le coordinate di tiro adoperate per colpire il carro. Fu così che i nostri riuscirono sì a liberare la mulattiera scaraventando di sotto quel che restava del relitto, ma non riuscirono a scampare da una seconda cannonata.
Li presero in pieno.
Raccontarono i testimoni di averli visti volare come foglie al vento.
Non fu mai possibile ritrovarli.
Li cercammo a lungo, a guerra finita, ma non li ritrovammo.
E sì che ne portammo giù tanti, ma tanti.
Di quei sei non trovammo più traccia.
Lassù, in cima, trovammo i loro zaini. Da quelli che li avevano conosciuti non ci restò altro che farci dire qualcosa di loro e qualcuno si ricordò delle lettere che avevano scritto prima dell'ultima missione. Le cercammo: ne trovammo una soltanto, quella di Ernesto che, da quanto capimmo, era il capo missione. Adesso quel foglio è su al museo, ma ne ho fatto una copia che porto sempre con me. Estrasse un foglio sgualcito:
"Partiamo per l'ennesima missione disperata. Questi sono i lavori per noi, noi disperati. Siamo volontari perché non abbiamo famiglie numerose alle spalle. Niente figli o mogli e quindi, se la nostra missione fallirà, non lascerà né vedove né orfani. Meglio che andiamo noi e che lasciamo a qualche padre di famiglia la possibilità di sopravvivere in questa carneficina.
Ne abbiamo presi in disparte alcuni, quelli che ci sono parsi più amici che commilitoni, e abbiamo spiegato loro perché siamo così pazzi da rischiare di essere colpiti. Li abbiamo pregati di dire ai loro figli, se riusciranno a rivederli, quanto è bella la montagna e quanto è orrenda la guerra.
- Non dite ai bambini del sangue sui ghiacciai.
Se qualcuno avesse detto loro che sono diventati rossi, non dite che fu per il sangue, ma per il sole al tramonto.
Dite che, all’alba, mille luci brillano sul ghiacciaio e che ciò accade perché il sole, d’accordo con tutte le stelle della notte e in gara con la luna, in quel modo le vuol far brillare anche di giorno.
Dite che ciò può accadere solo in montagna, luogo misterioso e magico dove misteri si risolvono e leggende si svelano.
Dite loro della forza delle stelle alpine che riescono a crescere e fiorire anche con solo un velo di terreno nel quale affondare le radici e nonostante uno strato di ghiaccio a ricoprirle. Raccontate di quei fiori che riescono a rialzarsi anche se schiacciati da uno scarpone, in apparenza deboli eppur fortissimi.
Non parlate ai bambini del rumore delle cannonate o delle ritmo della mitraglia ché si spaventano, ma raccontate di neve fresca con la quale costruire pupazzi di neve.
Raccontate alle fidanzate i colori della montagna o i mille riflessi del sole all’alba sul ghiacciaio.
Parlate del bianco che quassù è più candido perché siamo più vicini al sole.
Tacete del grigio del fango e del grigioverde di divise lacere.
Raccontate l'orgoglio delle aquile che, ogni tanto, vengono a sorvolare le nostre linee, offese dalla nostra presenza sul loro territorio.
Scendete a valle portando con voi il soffio del vento, aria pura fra i picchi, a volte violenta, ma pura.
Dimenticate la codardia dei pavidi.
A chi vi chieda spiegazioni dite che forse spiegazione non c'è.
Solo a chi potrà capire raccontate l'eroismo semplice di tanti ragazzi convinti di non essere eroi e, se si dimostrerà incredulo, non rimproveratelo. Ditegli che sì, è vero: è incomprensibile.
Razionalità vorrebbe che queste cose non accadessero, figlie come sono della stupidità.
A quelli che vi chiederanno conto della vostra sopravvivenza dite che avete avuto la fortuna di essere eletti a testimoni e, come tali, dovete raccontare.
A chi vi chiederà sintesi dite che siete viaggiatori sulla via dell'inferno che hanno avuto la fortuna di tornare. -
E poi, dopo una riga bianca:
- E da quell'inferno torneremo anche noi, ignoro tempo e modo, ma torneremo, lo giuro! -
Dopo un lungo momento di silenzio Toni sospirò e continuò: "Non li abbiamo mai trovati. Non siamo riusciti a portarli giù. Però sono sicuro che, in forza di quel giuramento, torneranno a casa. Per questo sono certo che, sotto la slavina di oggi, li troveremo."
E, al bagliore rossastro della fiamma del camino, il racconto terminò.
Come previsto l'isolamento durò poco e gli ospiti del rifugio tornarono a casa in fretta.
Di lì a qualche giorno davvero trovarono quel che restava dell’ultima brigata.
Il giuramento fu compiuto e la profezia del vecchio montanaro si realizzò.
Oggi, a distanza di anni, anche Toni "è andato avanti" e forse sta scalando le vette del paradiso.
Fra i quindici suoi ospiti ce n'erano alcuni che avevano la passione del canto.
Per questo, se andando per monti, troverete un rifugio dedicato a un vecchio montanaro e, per caso, sentirete cantare, non stupitevi. Vorrà dire che siete capitati in un luogo particolare in un giorno speciale: un anniversario.
Ogni anno, nel giorno della slavina, ci riuniamo e, guardando le vette ricordiamo quelli che di là partirono per il cielo e quelli che, con infinita pietà, li accompagnarono a valle per l'ultima volta prima di consegnarli alla pace eterna dopo tanta guerra.
Da ultimo, ma non meno importante, cantiamo anche per Toni, montanaro arcigno, duro, eppur tenerissimo, capace di sforzi e sacrifici pur di dare dignità a sconosciuti eroi normali.
Se da quelle parti udrete: “Signore delle cime…” Vorrà dire che starete ascoltando la sintesi di tutto questo e di molto altro.
Se non capirete le parole, non preoccupatevi: seguite la melodia.
Lasciatevi trasportare dal linguaggio universale della musica e volate su, in cima, più in alto delle vette.
Guardate in su, là oltre le cime, ogni anno a quel canto un'aquila vola, gira e osserva la valle.
Dicono gli anziani che trasporti lo spirito di Toni che ammira dall'alto delle sue montagne, lo confermano i bambini che riescono a seguirne il volo fino al al paradiso.
Se non puoi essere un pino sul monte, sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio.
Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere.
Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio.
Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere.
Poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.
(M. L. King)