Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale Parole attorno al fuoco XXVI^ edizione - Arcade,12 Giugno 2021 per un racconto sul tema: "La Montagna:le sue storie,le sue genti, i suoi soldati i suoi problemi di ieri e di oggi" |
Terzo classificato |
UN APPUNTAMENTO IMPORTANTE
- Sta’ attento, Beppe! Non prendere freddo! Mentre l’uomo si chiude la porta alle spalle, la moglie stringendosi nello scialle comincia a brontolare tra di sé: - Benedetto uomo! È proprio il momento di uscire, alle nove di sera, con questo freddo, per andare nella stalla dalla mucca! Intanto l’uomo, fatto il giro della casa, è già nella stalla accanto alle sue tre mucche. È preoccupato, perché una di loro dopo una gestazione complicata dovrà a breve partorire ed il parto si presenta difficile. Seduto su uno sgabello, l’uomo l’osserva riposare sulla paglia. Vedendola sofferente l’accarezza e le parla. La mucca, ogni tanto, risponde con un flebile muggito. Fino ad una decina di anni fa c’erano più di venti mucche in quella stalla, ben tenute e condotte sempre in montagna dove ci sono i pascoli migliori, ma allora Beppe era più giovane. Adesso ha quasi 85 anni e su insistenza dei suoi figli ne ha tenuto solo tre. Fosse stato per Armida, la moglie, avrebbe già da tempo dovuto cedere anche queste e condurre una vita più tranquilla e rilassata proprio come Gianni, suo cognato. Di qualche anno più giovane, quest’ultimo, già da tempo ha dato via ogni cosa per godersi la vita. Niente più alzatacce e lunghe camminate sui monti dietro le mucche, ma una bella pensione e qualche rendita proveniente da affitti e terre. Il confronto col cognato è molto frequente, specialmente quando Beppe ha qualche decimo di febbre o le volte in cui, rientrando a casa, inizia a tossire. Allora l’uomo ringhiando tra i denti se ne esce di nuovo andando nella stalla dalle sue mucche. Con calma, poi, comprende che i consigli di Armida non sono del tutto errati. Sì, anche lui se volesse, potrebbe già da tempo godersi la vita. Una bella pensione, poi qualche affitto di terreni e la sua partecipazione alla cooperativa dei formaggi. Altro che! Ma, pensa anche, questo genere di vita non fa per lui. Abituato fin da piccolo al lavoro, non potrebbe vivere diversamente alzandosi dal letto tardi e stando per ore in pantofole davanti ad una tv. Per lui la vita è fuori casa, d’estate e d’inverno, fin dalle prime ore del giorno, mentre s’inerpica sui sentieri per condurre le mucche ai pascoli e vede tra le fronde alzarsi il sole o quando, all’inizio dell’inverno, la prima neve lo sorprende per strada mentre taglia la legna per il camino. Ha un odore particolare la neve, Beppe come i vecchi boscaioli è in grado di sentirla già prima ancora che i fiocchi, all’inizio piccoli poi sempre più grandi, inizino a cadere. La montagna è la sua vita. Ormai son trascorsi tanti di quegli anni da quando, bambino, andava col nonno nei boschi a cercare un po’ di selvaggina. Non sapeva ancora scrivere e leggere, ma la montagna gli stava svelando i suoi segreti. Sapeva già riconoscere il verso di quasi tutti i suoi piccoli abitanti ed uno scoiattolo, riconoscendolo forse per i suoi capelli biondi come le spighe del grano, gli faceva sempre festa quando lo vedeva passare per un sentiero. Uno spiffero di vento precede Beppe che, rientrando adesso a casa, sta per chiudere la porta. Tutto intorno, un arredamento molto sobrio e dignitoso come nelle case di chi, abituato da sempre al duro lavoro, non sente la necessità di oggetti inutili. Una vecchia credenza laccata di verde chiaro con i vetri, qualche sedia, un tavolo, un baule. Alla parete alcune foto dei figli ed il calendario del beato Innocenzo da Berzo, a cui Armida da anni, dopo un pellegrinaggio con la parrocchia, è devota. Unico oggetto che collega il passato con i giorni nostri è un piccolo televisore, d’un bel giallo crema con l’antenna girevole, regalato ormai da tempo dai figli e tenuto come se fosse ancora nuovo da vetrina, acceso solo la sera dopo cena. Armida, seduta su una piccola poltrona ha in mano i ferri da lavoro mentre vede svogliatamente un programma in tv. È molto pallida, quasi cerea in volto. Beppe la guarda e va a sedersi dietro il tavolo. È una serata come tante altre che da sempre i due anziani trascorrono tranquillamente. Armida sta sferruzzando ed il marito con un coltellino fa la punta ad un paletto di legno. Nonostante ci sia in tv un programma allegro, gli sguardi dei due anziani sono tristi e preoccupati come quelli di tante altre persone di qualsiasi età che in queste settimane in paese hanno perso un loro caro. Ad un certo punto, la moglie non ce la fa più a tenersi tutto dentro e: - Non l’abbiamo potuto neanche vedere! Non l’abbiamo potuto neanche vedere! – continua a ripetere singhiozzando, Beppe le si avvicina e le accarezza la testa. Armida si lascia andare ad un pianto sommesso mentre lui la tiene stretta a sé. Vorrebbe dirle qualcosa per confortarla, ma gli mancano le parole. Quel che è successo ha colto tutti inaspettatamente ed è di tale portata che non si riesce a dire proprio nulla. Da qualche mese un virus sta decimando la popolazione, soprattutto le persone anziane, più esposte e più deboli. È una calamità che s’abbatte su ogni casa, pensa l’uomo, per prendersi qualcuno. Non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo confermano i vari notiziari. Pure un anziano come Beppe, che ne ha passate tante, si sente impreparato di fronte a ciò. Nel suo percorso, fin da bambino, ci sono state frane, alluvioni, mesi di bombardamento aereo durante la guerra. Quanti paesani, suoi conoscenti, ricorda, sono morti sotto le bombe sganciate dagli aerei inglesi! Quando vedevano qualcuno anche in un sentiero isolato in montagna, passavano e ripassavano scaricandogli addosso la mitragliatrice finché non stramazzava per terra. Beppe, allora, si è salvato facendo finta di essere morto. Di ritorno dal bosco, mentre attraversa una radura, si accorge proprio all’ultimo di un aereo che esce da una nuvola. Lo ha visto e si prepara a scendere in picchiata. Il nonno, più volte, gli ha raccomandato di non correre se ci sono grandi spazi, ma di fingersi colpito al primo passaggio e di rimanere immobile per terra. Solo così si potrà salvare. Il bambino, di appena otto anni, memorizza bene questo consiglio e, non appena sente il rombo dell’aereo, dapprima comincia a correre a zig zag, mentre una prima sventagliata di colpi va a vuoto, dopo, fingendosi colpito, si getta a terra con le braccia allargate. L’aereo scendendo di quota sta per passargli di sopra. Beppe sa che non deve muoversi affatto. Con gli occhi chiusi sbarrati dalla paura, tremando, aspetta il secondo passaggio. Il rombo aumenta sempre più, ha tanta paura, vorrebbe mettersi le mani alle orecchie, ma la paura lo paralizza finché l’aereo non si allontana. Certamente una buona stella lo ha protetto, pensa il bambino. Forse è suo padre che lo protegge da lontano. Partito con gli alpini alla volta della Russia, di lui non si hanno da tempo più notizie. Sì, ne è proprio convinto, quella buona stella è proprio suo padre. Quanto tempo è trascorso da allora con inverni carichi di neve ed estati calde e piacevoli! La natura continua sempre a rinnovare puntualmente il suo abito. A primavera, il verde tenero delle nuove foglie si fa accarezzare dai raggi del sole in una creazione originale di splendidi arabeschi. In autunno, il tripudio festoso di mille colori accompagna il percorso del sole fino all’orizzonte, mentre il cielo ormai terso comincia a puntellarsi di migliaia di luminose stelle. Nulla mai sfugge a Beppe che s’inchina da sempre di fronte alla grandezza del creato e del suo Creatore, ma quello che non riesce a capire oggi è perché il virus si sia preso suo fratello Aristide, di dieci anni più giovane e sempre in buona salute, ed il proprio figlio Antonio, di appena quarant’anni, padre di due bambini. Ha invece, almeno per il momento, risparmiato lui, che di anni ne ha ben ottantacinque. No, questo non riesce proprio a spiegarselo. Quante volte di notte, nel sonno, immagina di parlare col Padre Eterno per proporgli uno scambio! Sa che non ha meriti da presentare. In chiesa quasi mai, solo a Pasqua e qualche volta anche a Natale. Però, non ha mai fatto male a nessuno, non ha rubato ed ha sempre aiutato gli altri. Beppe cerca di elencare in questo immaginario confronto col Padre Eterno, quasi per ricordarglielo, tutte le volte che ha prestato aiuto ad amici e parenti rimettendoci anche di suo. Nella sua semplicità, immagina che qualcosa non quadri bene in tale calcolo, forse sarebbe dovuto andare in chiesa più volte, si domanda, ma poi, pensando alla grandezza e bellezza della natura, che si manifesta ogni giorno dall’alba al tramonto, comprende che questi calcoli non sono certo gli stessi che fa Quello lassù. Tra qualche giorno sarà Pasqua. Una Pasqua veramente strana quest’anno! Non è mai successo che non solo nel paese, ma ovunque venissero sospesi per un virus così contagioso i riti della Settimana Santa. Tutto ciò provoca sconcerto tra gli anziani così abituati a tali funzioni ed alle loro tradizioni. Anche chi va in chiesa di rado come Beppe ne sente la mancanza. Il sonno lo coglie, ora, nei suoi pensieri. L’indomani sarà un giorno particolare per lui. Nel tardo pomeriggio l’aspetta un appuntamento importante. Il giorno dopo, fin dall’alba Beppe è pronto. Nonostante manchino ancora tante ore, vestito con camicia e giacca, sta seduto dietro il tavolo ad aspettare. È strano per Armida vederlo seduto per ore senza fare niente. Nel primo pomeriggio viene a dargli un passaggio Franco, l’altro figlio per condurlo in città. Si è saputo che tutte le persone decedute negli ultimi giorni saranno trasferite dall’ospedale. Varie voci s’incrociano tra di loro. Qualcuno parla anche di cremazione. Non si sa nulla di certo. Padre e figlio posteggiati davanti all’ospedale aspettano. Il cielo, intanto, si è fatto plumbeo e, preceduto da potenti tuoni e fulmini, un violento acquazzone comincia a riversare tanta acqua sulla città. Fa anche freddo, i vetri dell’automobile sono appannati e rigagnoli scorrono minacciosi lungo i marciapiedi. Franco cerca di persuadere il padre ad andare via. È inutile e pericoloso, spiega, rimanere in auto sotto tutta quella pioggia, ma Beppe non intende mancare al suo appuntamento. Passa circa mezz’ora. Ormai, sono quasi le sei e da poco non piove più, il cielo si è schiarito come se anche il tempo volesse concedere una tregua. Mentre Beppe esce dall’auto per sgranchirsi le gambe, la campana dell’ospedale inizia a suonare con voce lenta e cadenzata. Il cancello si spalanca ed alcuni mezzi militari escono lentamente. Uno dopo l’altro, si allineano nel viale davanti l’ospedale. È una fila lunga, forse dieci camion, resi più tetri dalle ombre della sera ed illuminati in modo sinistro dalle luci del viale. Tutti in fila con i fari accesi sembrano aspettare ancora qualcosa per partire. Li scortano alcune auto dei carabinieri con i lampeggianti accesi, come quando si accompagna una persona importante. Beppe, messo sulle spalle il suo vecchio tabarro, va verso i camion. Non sa in quale si trovino Antonio ed Aristide. Insieme a loro chissà quanti amici e conoscenti! Alcuni, conosciuti personalmente, altri solo di vista. Vecchi amici da sempre, operai, contadini, impiegati, insegnanti, professionisti e qualche signora incontrata al mercato, mentre lui accompagnava Armida a far la spesa e con la quale si scambiava qualche parola. Con loro sente che sta andando via una parte di se stesso, della propria vita. L’uomo si ferma accanto al primo camion. Chiuse da un telone mimetico ci sono alcune bare con i corpi composti con cura da mani pietose. Non sa chi siano, ma è come se fosse accanto ai propri cari. Levandosi il cappello in segno di rispetto, chiude gli occhi e li affida tutti al Signore. Per lui la morte non è una novità, l’ha conosciuta in modo crudo e brutale da bambino durante la guerra, per le strade del paese, dopo il primo bombardamento, ma questa volta è diverso, pensa. Tutto diverso! Ecco, i motori sono stati già accesi e la colonna s’appresta a partire. I camion si avviano lentamente per il lungo viale, poi imboccheranno la strada che conduce fuori città. Intanto, tanta gente lungo la strada, che non vuole mancare a questo appuntamento. Da dietro i vetri delle finestre uomini e donne guardano in religioso silenzio, qualcuno si fa il segno della croce. Su qualche davanzale è stato acceso un lumino, ora sono tanti sì da formare una coreografia luminosa che si allunga di casa in casa. Accanto ad un portone, una mamma con un bimbo in braccio. Gli dice qualcosa e col dito indica i camion. Un lampo apre adesso il cielo, gli fa eco da lontano un tuono. Riprende a piovere con una pioggia sottile, insistente. Sono trascorsi pochi minuti, già piove rumorosamente con un insistente ticchettio sui teloni. Una giovane donna, incurante della pioggia che l’avvolge tutta, sta correndo verso il convoglio. Ha con sé un fascio di rose. Si ferma davanti alle auto dei carabinieri, porge le rose perché vengano consegnate. Le viene assicurato che sarà fatto all’arrivo. Beppe, commosso, avvicinatosi, le dà istintivamente una carezza sulla testa. Col volto segnato dalla tristezza e tutto bagnato rimane lì al bordo della strada accanto a lei fino al passaggio dell’ultimo camion. |