Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XXV^ edizione - Arcade,4 Gennaio 2020

per un racconto sul tema:

"La Montagna:le sue storie,le sue genti,

   i suoi soldati i suoi problemi di ieri e di oggi"

Terzo classificato

Mi sono rim                                           

IL TROI DELL’ONT: IL SENTIERO DEI RICORDI

Memorie di una vita

Di  MARIO MAGAGNIN
DI TOVENA DI CISON DI VALMARINO (TV)

 

 

Salivano a fatica per il sentiero con il bigol sulla schiena.  A ciascun lato di quell’attrezzo curvo pendeva un vaso colmo del latte appena munto dalle loro mucche. Il loro passo era svelto, sostenuto dal ritmo dei canti di montagna; qualcuna delle ragazze talvolta restava indietro a allora prontamente i maggiori del gruppo le aiutavano nei tratti più impraticabili. Dopo un lungo percorso nel bosco finalmente si intravedeva la meta: la latteria del Passo San Boldo. La voce dei giovani si faceva più forte ed avanzavano spediti verso il basso edificio. I vasi venivano svuotati in un grande contenitore e rapidamente riempiti di siero per il maiale da riportare a casa: era il momento di rientrare.  Si incamminavano di nuovo nel fitto del bosco, incuranti del sudore che imperlava i loro visi. Era un tempo remoto fatto di sacrifici e fatiche in cui animali e uomini condividevano l’angusto spazio di una malga,  la polenta veniva fatta in casa e scaldata col tepore del fuoco ed il fieno falciato a mano. In quei giorni lontani in cui io non ero che un bambino, quel sentiero veniva battuto ogni giorno dai Ragazzi del Latte. Sulla via del ritorno avveniva talvolta che qualche vaso andasse a sbattere contro il ramo di un albero o che il suo ondeggiare facesse cadere un po’ del siero, lasciando traccia del passaggio del gruppo. Quelle gocce cadute per caso hanno dato il nome a quel percorso, da allora denominato proprio Troi dell’Ont: il sentiero dell’unto.

La domenica mattina esso veniva poi percorso da intere famiglie che per un giorno a settimana sostituivano il vestito da lavoro con quello da festa per partecipare alla Messa, celebrata nella piccola chiesetta del Passo, incapace di contenere tutte quelle persone.

Il sentiero si incespicava tra le casere costruite con grosse pietre e dai cui comignoli saliva piano il fumo del camino e passava anche davanti a quella dei miei genitori. Lassù in quella malga  la vita era dura e faticosa, tutti i lavori  fatti a mano e la schiena sempre carica di pesi di ogni tipo. In quel remoto luogo di montagna l’aiutarsi a vicenda ed il dividere le fatiche giornaliere diventava un piacere e quei valori di amicizia e solidarietà te li porti dentro per tutta la vita.

Ogni mattina presto i Ragazzi del Latte passavano davanti alla mia malga, carichi dei vasi destinati alla latteria del Passo. Si aspettavano l’un l’altro per fare il sentiero in compagnia ed il percorso diventava sempre più chiassoso, animandosi con battute e risate. Sulla vai del ritorno sostavano da me e consumavano una frugale colazione con le poche cose comprate nella piccola bottega del paese. Io ero più piccolo di loro e mi chiamavano affettuosamente “Il Bocia” mentre mi facevano giocare per quei  minuti di pausa che si concedevano lungo la via del ritorno. 

Da noi per le vacanze estive veniva una parente del Veneziano di nome Angelina e anche lei si univa all’allegra compagnia del latte.  Di tutto il gruppo Augusto era il più grandicello, 16 anni,  tutti lo consideravano il capo e lo ascoltavano e rispettavano. Veniva dalla malga più lontana e ad ognuna c’era qualcuno che lo aspettava con il latte, pronto per la destinazione. Gusto per Angelina aveva più attenzione essendo foresta, sapeva bene che percorrendo quel  sentiero ripido e sassoso  con i  vasi di latte appesi  al bigol doveva essere aiutata e protetta  e per questo le stava sempre vicino; anche se ogni occasione era buona per prenderla in giro per la parlata Veneziana e perché abituata all’acqua alta.

Tra i due presto divenne amicizia vera,  tanto che Gusto veniva da noi anche qualche pomeriggio e ci aiutava con il fieno per starle vicino. Poco alla volta tra di loro nacque del tenero e anche  Angelina voleva andare a trovarlo,  però non da sola quindi  toccava a me accompagnarla. Io li osservavo con la curiosità che solo i bambini hanno e  vedevo, seguivo il loro appartarsi con qualche scusa, come prendere l’acqua alla sorgente. Stavano cambiando i loro sguardi, i loro  atteggiamenti. Continuò così ancora per tre vacanze estive e con il passare del tempo  i loro rapporti si rafforzavano:  diventava amore.

Poi Gusto ricevette la cartolina di precetto e dovette partire per il servizio militare: Artiglieria Alpina a Pontebba, conducente. Ricordo che venne a trovarmi in paese quell’inverno vestito da Alpino: “ Bocia vieni qua.” Mi disse e mi chiese notizie di Angelina  mentre mio padre gli versava del vino; ormai poteva berlo perché era un uomo: “Ormai tu se on om!” Affermò orgoglioso mio papà  mentre gli rabboccava il bicchiere.

L’estate successiva Angelina ritornò alla malga come sempre,  ci aiutava nei lavori e continuava anche a trasportare il latte al Passo. Aspettava la solita compagnia; ma il gruppo non era più lo stesso perché mano a mano che passavano le stagioni i più grandi trovavano lavoro in fabbrica o nei cantieri.  Anche lei era cambiata, me ne ero accorto: passava più tempo rannicchiata su libri e quaderni. La scuola diventava sempre più impegnativa e  Angelina dovette rientrare  a Venezia  prima della fine delle vacanze, lasciandosi alle spalle il mondo incantato dell’infanzia. Prima di partire volle che l’accompagnassi alla malga di Gusto a trovare i suoi genitori e i fratelli più piccoli: era l’ultima volta che Angelina percorreva il Troi dell’Ont.

Per anni non ho più rivisto Gusto; Angelina veniva a trovarmi con suo padre al paese raramente e mi chiedeva se avessi  notizie di lui, che dopo il servizio militare era partito  per Parigi e lavorava nei cantieri edili.

Diversi anni dopo anch’io dovetti abbandonare la montagna e di tutte quelle estati felici e spensierate, liberi di correre per i prati come cerbiatti rimaneva solo il ricordo.  Andai a lavorare a Parigi nei cantieri come aiuto e manutenzione gru e quotidianamente mi spostavo con il mio capo.  Un giorno, quando stavo per sostituire il cavo di una gru mi sentii  chiamare “Bocia”: era Gusto ormai divenuto capo cantiere;  si era sposato con una francese e aveva già due figli.  Da allora qualche domenica veniva a prendermi nelle baracche del cantiere dove  dormivo e mangiavo e mi portava a casa sua. Pranzavo con loro come uno di famiglia e trascorrevo la giornata come ai vecchi tempi: per qualche momento mi sembrava di essere ancora tra le mie amate montagne. Rimasi a Parigi per tre anni, poi decisi di fare il servizio militare: Artiglieria da Montagna  con destinazione Pontebba.

 

 

Un battito di palpebre ed erano già passati quarant’anni. Ero alla festa Alpina al Passo San Boldo da me organizzata e alla cassa si presentò una coppia di signori francesi per pranzare.  Quei lineamenti mi erano familiari: “Gusto?” Provai. L’uomo si passò una mano tra i capelli: “Bocia!” Mi riconobbe  e mi abbracciò fraternamente, come se il tempo non fosse mai passato. Pranzammo insieme quel giorno e via con i ricordi e informazioni su Tizio e Caio. Mi chiese  anche notizie di Angelina che avevo visto in paese l’anno prima, con le sue due figlie ed il matrimonio fallito alle spalle; non l’aveva più rivista da quando era partito.

 Le estati successive Gusto e la moglie vennero in vacanza nei luoghi della sua infanzia ed erano sempre presenti alla festa. Arrivavano in auto e nel sedile posteriore c’era ogni volta il suo cappello da Alpino, quasi fosse un amico fidato, un testimone di un passato ormai lontano. “Vorrei che tu mi accompagnassi per il Troi dell’Ont e in quella che fu la mia malga recentemente restaurata dai miei fratelli.” Mi disse un giorno.  E così quel mercoledì puntuali partimmo con i viveri nello zaino per il sentiero dei ricordi. Il nostro lento andare era dovuto al suo piede che cercava il punto, la pietra, il sasso, la radice, il grosso abete che costringeva alla deviazione per evitare che il vaso gli battesse contro. Ogni passo era motivo per ricordare quella volta, quel giorno, quell’avvenimento, quell’incidente, quel tratto in cui Angelina cadde e rovesciò il latte, era disperata, piangeva.  Prontamente i Ragazzi del Latte si privarono del loro un po’ per uno e tutto si sistemò segretamente. Da allora in quel tratto più ripido il carico di Angelina lo portava Gusto.

 Arrivati alla malga lui accese il fuoco nel camino, mentre io presi dallo zaino delle fette di polenta fatta per lui il giorno prima: sapevo che ne era ghiotto. Il bagliore della fiamma illuminava i suoi occhi che mi sembravano tristi mentre mi diceva che anche quella modesta casera era contenta di rivederlo:  gli parlavano le pietre, i muri a secco, il tepore del fuoco e il fumo che usciva dal camino. Gusto sentiva la voce dei genitori  che si lamentavano per la povertà e la stanchezza , i racconti del nonno sulle disavventure e sulle atrocità della Grande Guerra, le preghiere ed  il rosario della nonna.  E mentre ancora ricordava un passato lontano che riviveva in quelle quattro mura, prese la fetta di polenta fumante  con del formaggio stagionato che gli avevo preparato e la divorò in barba ai ristoranti Parigini.

Dopo pranzo girò per un po’ lì attorno, mi sembrava che cercasse qualcosa, qualche particolare e scuotendo la testa mi disse di rientrare: era l’ultima volta che Gusto percorreva  il Troi dell’Ont. Sulla via del ritorno si girò ancora una volta e vide uscire un po’ di fumo dal camino di quella che  un tempo era stata la sua dimora estiva.

L’anno successivo arrivò da solo: era rimasto vedovo improvvisamene; mi sembrò abbattuto e  triste, non era più il solito bontempone dalle battute e risate sempre pronte. Non aveva però dimenticato Angelina e gli avrebbe fatto piacere  rivederla. “Cerco di rintracciarla e poi te la porto a casa a Trichiana” gli dissi. Negli anni  Gusto aveva restaurato parte di una  casa rurale, trasformandola  in un comodo chalet per le vacanze estive. Fu li che un giorno bussai alla porta con Angelina. Grande fu la sorpresa per tutti e due non appena si videro. Dopo qualche attimo di incertezza si abbracciarono senza parlare, non sapevano cosa dirsi. Io interruppi quegli attimi: “Dai Gusto facci entrare per un caffè!” . Nemmeno il tempo di varcare la soglia che  subito iniziarono i ricordi dell’adolescenza, della giovinezza e oltre 50 anni da raccontarsi. Li lascai soli: “Vengo a prenderti sta sera” dissi ad Angelina. Seppi più avanti che si faceva portare dalle figlie a trovare Gusto e mi compiacqui scoprendo che a quella visita ne erano seguite tante altre. Qualche tempo dopo, passando per il paese nel giorno del mercato, attraversarono le strisce pedonali davanti a me. Mi abbassai sul volante per non farmi notare vedendoli contenti e spensierati:  passeggiavano mano nella mano come due fidanzatini.

Gusto ritornò l’estate successiva accompagnato da un figlio, si fermarono pochi giorni però non mancò alla tradizionale festa  e così consumammo l’ultimo rancio Alpino insieme. Lo accompagnai all’auto e mi disse che non sarebbe più tornato a San Boldo perché aveva bisogno della  presenza costante di  figli e nipoti in famiglia. Con lo sportello aperto mi abbracciò commosso, dicendomi: “ Non ho dimenticato neanche  per un istante queste montagne, queste vallate e questa meravigliosa gente che le abita e le tutela.”

 Da quel giorno non ho mai più rivisto Gusto e non so che ne sia stato di lui. Me lo immagino invecchiato; ma ancora sorridente e scherzoso come quando veniva a prendermi la domenica negli afosi cantieri francesi.  Anche Angelina è invecchiata: i suoi occhi si sono fatti stanchi e le palpebre pesanti.  Sono andato a trovarla in ospedale  e non mi riconosce quasi più. Mi piace però immaginarla ancora giovane e bella, quando agilmente si inerpicava su per il Troi dell’Ont, con i vasi del latte appesi ai lati dei bigol  ed il capo chino per non urtare le fronde più basse degli alberi. Mi piace immaginarla vicino a Gusto, in quel tratto impervio in cui quella volta era caduta e nel quale lui portava il suo carico. Le prende la mano e la stringe con forza nella sua; i loro sguardi s’incrociano: diventa amore. Le mani di Gusto sono grandi e rovinate dal lavoro nei campi, quelle di Angelina sono più affusolate ma ugualmente incallite per l’estate passata in malga. Sono mani giovani e forti, mani temprate dalle fatiche e dalla miseria di inverni troppo lunghi ed estati troppo calde. Sono mani di pane e di polenta, di falcetto e di sega. Sono mani che hanno munto e che hanno imballato il fieno, che  si sono giunte in preghiera e che hanno stretto rosari.  Mani bruciate  dal calore della stufa e  screpolate dal gelo di gennaio.  Nei loro palmi hanno tenuto il frutto della Terra ed il seme della Vita. Tra quelle dita il tempo è scivolato via veloce, portando con sé promesse e speranze. Quelle nocche sbucciate hanno conosciuto emozioni e sofferenze, dolori e paure. Sono mani vissute, quelle di Angelina, e nelle loro rughe rivivono tutti gli attimi di una vita intera. Le stringo e chiudo gli occhi: per un fugace momento sono di nuovo giovani e forti, pronte ad afferrare la vita. Nella mia mente le immagini si rincorrono e io sono ancora un bocia. Il tintinnio dei vasi del latte accompagna i miei pensieri, le vacche muggiscono in sottofondo.  Sono lì, sono ancora lì. Il tempo non è passato: un attimo eterno ripetuto nell’infinità.