Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XXV^ edizione - Arcade,4 Gennaio 2020

per un racconto sul tema:

"La Montagna:le sue storie,le sue genti,

   i suoi soldati i suoi problemi di ieri e di oggi"

SEGNALATO

       

LA BUCA DELLA NEVE

DI CARLO NELLO CECCARELLI

MASSA (MS)

 

 

Dapprima furono solo due sagome lontane che avanzavano in silenzio, nella fatica di salire. Quando i primi raggi di sole li raggiunsero, la figura più alta si girò per urlare qualcosa e   apparve nella luce: un uomo magro e solido, appena incurvato nelle spalle. La barba che gli copriva il viso stendeva la sua ombra fin dentro gli occhi. Sotto di lui l'altra forma appariva minuscola, in confronto.

Per un po' camminarono lungo il sentiero, sopra il tagliente d'un crinale, poi la costa si spianò e videro i faggi cresciuti intorno alla bocca della grotta.

Torquato si lasciò legare e aspettò che il padre cominciasse a calarlo nella voragine. S'era già sporto, ormai, quando un timore animale lo spinse a tenersi al ciglio, ma gli mancò la presa e cadde nel vuoto. Sospeso sull'abisso, girò su di sé come un legno nella gora: il cielo si strinse in un riquadro e le pareti fuggirono da lui.

Sentì mollare ancora e toccò qualcosa, con i piedi: un sottile pulpito di roccia sporgeva dal dirupo. Vi poggiò con tutto il corpo. In alto, sopra la sua testa, un ciuffo di capelvenere tremava, nel respiro che saliva dal fondo del monte.

-Li hai trovati?

Le parole si inseguivano, nell'eco.

Guardò senza scorgere nulla, ancora accecato dalla luce, poi lo vide: il nido era un groppo di stecchi, incastrati in una fessura. Dentro, si muovevano due matasse scure.

Stese una mano e, agguantato un nidiaceo,  lo infilò dentro la camicia, ma l'altro gli sfuggì tra le dita e si gettò nell'abisso con uno stridio acutissimo. Lo vide scendere verso il buio,  girando in cerchi sempre più stretti.

Tirò la corda per far segno al genitore. Mentre la fune risaliva a strappi verso la luce, sentì la bestiola raspargli impaurita la carne del petto. Giunse sull'orlo e si aggrappò con tutte e due le mani alle rocce illuminate dal sole; un vapore biancastro si levava dai panni umidi e fumava nell'aria. Porse il pulcino al padre.

- Hai trovato solo questo?

- Erano due, però uno mi è scappato.

- Buono a nulla!

Torquato tacque: pensava al gracchio[1] che era andato verso la morte, pur di non  farsi prendere prigioniero.

 

L'uomo davanti a lui portava un vestito grigio, come quello delle feste. Sembrava assorto nella lettura di un giornale, ma alzò lo sguardo, quando si accorse di Torquato.

- Sono venuto per il lavoro

- Da parte di don Vittorio?

- Sì

- Quanti anni ha?

- Venti

- Venti? A dire il vero ci servono ragazze più giovani, dai quattordici ai sedici anni

- Ma io il lavoro lo cerco per me

- C'è stato un malinteso con il prete, allora. Hai mica una sorella?

- No.

L'uomo scosse la testa. S'udiva soltanto lo stropiccio del giornale.

 

Dopo essere uscito era rimasto fuori, seduto sul parapetto della strada. Sotto di lui l'acqua della turbina precipitava nella forra e ribolliva tra i macigni neri. Due operaie  traversarono il ponte di ferro sul torrente e lo guardarono ridendo; tenevano tra le dita sigarette sottili, più bianche dei fogli dei quaderni.

Preso nei suoi pensieri, non s' accorse del calare dell'oscurità, ma a un tratto un chiarore di cometa gli fece alzare gli occhi. La mole enorme dell'edificio s'alzava su un bastione di roccia e dalla fila delle finestre pioveva una luce abbagliante. Gli parve un bastimento che, dopo aver vagato tra le montagne, fosse venuto a gettare l'ancora lassù, tra gli scogli del fiume.

S'avvicinò al muro di cinta. Una pulsazione sotterranea faceva tremare i vetri delle imposte, scuoteva la terra sotto i suoi piedi:  ebbe di nuovo la certezza che quell'arca, se solo fosse riuscito a entrarvi, avrebbe potuto condurlo in un altro mondo.

I rintocchi della campana gli giunsero inaspettati. Li contò: era ora di tornare. Scese fino al paese e traversò l'oscurità  dei vicoli, qua e là rischiarati dal riflesso d'un lume a petrolio. Mentre andava spedito una porta s'aprì, si richiuse: il bagliore d'un camino spinse lontano la sua ombra solitaria.

Al bivio prese a sinistra, su per la via di lizza. Sopra di lui, nel fondo del cielo, una caligine di nubi salì sopra la valle e oscurò il brillio  delle stelle.

Giunse alla casa. Il vecchio era seduto vicino al focolare: “Ce ne hai messo di tempo” disse, senza voltarsi.

“Sono passato dal paese e ho fatto tardi”.

Tacquero. Nel silenzio, salendo dalla parte del mare, un tuono rotolò fino a loro. L'uomo era andato sulla porta e guardava dentro il buio: “Stasera il diavolo va in carrozza con sua moglie”. Stette un poco immobile, poi si girò: ”I gracchi è meglio portarli dentro, per la notte”.

“Cercano operai, giù alla Filanda”. I gemiti della bufera  portavano via le parole di Torquato.

Il vecchio voltò la testa:” Vuoi andare a filare? È un lavoro per donne”, urlò.

“Vi sbagliate, ci sono anche uomini, lì”

“I gracchi ci bastano, per campare”. Bestemmiò forte, poi alzò  il bastone per  colpirlo.

Il giovane s'era coperto il viso con le mani, ma attraverso le dita scorse la ragnatela di luce d'un fulmine diramarsi nel nero del cielo e il corpo del genitore cadere a terra inerte, come se il fuoco della folgore l' avesse toccato.

 

Entrò in casa. Il padre sedeva accanto al camino e non si mosse, quando aprì la porta. Dalla soglia dove s'era fermato gli appariva solo la metà colpita dal male: il braccio e la gamba s'erano inariditi e la bocca aveva preso una piega storta. Anche lo sguardo era senza luce, da quel lato. Il vecchio girò il capo, l'occhio ancor vivo s'aprì, lo fissò. Tutta la forza del corpo annichilito pareva si fosse ritirata nel cavo di quell'orbita: balenava nel cerchio dell'iride, negli scatti inattesi della pupilla.

Quella notte, mesi avanti, vedendolo cadere  era corso da lui, ma si era fermato, quando il corpo inanimato aveva preso a scuotersi. Gli occhi mostravano il bianco delle sclere, e un filo di sangue  usciva dai denti digrignati.

Ore dopo il medico del paese, finita la visita, s'era girato verso Torquato abbassando la voce:” Se non muore, resterà paralizzato finché camperà”.

 

“Volete desinare?”

A un  cenno d'assenso, Torquato cominciò a dare al padre la polenta di castagne, e l'uomo prese a  trangugiarla in silenzio, finché un boccone non gli andò di traverso, facendolo tossire. In mezzo ai singulti, allora, s'udì un rantolo gorgogliare nella strozza: era una bestemmia che il vecchio cominciò a ripetere senza sosta, variandone  l'  intonazione, quasi stesse facendo un discorso. Di tutte le parole di un  tempo,  solo quell'imprecazione si era salvata, nel naufragio del male.

Quando vide il genitore quietarsi e chinare il capo, Torquato lo prese tra le braccia per portarlo a letto. Pesava ormai quanto un bambino.

 

Mentre risaliva la forra, vide un gracchio cadere dritto come un piombo dentro la montagna. C'era qualcosa, lassù. Si tenne ai ciuffi d'erba, per aiutarsi; sotto di lui le pietre smosse cadevano rintronando giù per il canalone. Ebbe paura, ma continuò ad arrampicarsi finché non giunse su un pianoro: lì il monte s'apriva in una caverna, e  giù in basso qualcosa baluginava. Possibile che fosse la grotta della neve? Ne aveva udito parlare, ma gli era parsa una fola, più che una cosa vera.

Svolse la corda e, giunto nel fondo, si mise a tastare nel buio per accertarsi, finché le dita non gli bruciarono per il gelo. Era proprio neve. Il vento doveva averla accumulata per anni, spingendola giù per la forra, in attesa di qualcuno che la scoprisse. In attesa di lui, perché gli apparteneva, ormai.

A casa, dopo la cena, glielo disse:”Ho trovato la buca della neve”. Il vecchio alzò il capo, la pupilla s'allargò, si strinse in una punta. Per un po' sembrò attento al racconto, poi il tumulto della bestemmia gli salì nella gola. Forse era contententezza, o forse qualcosa d'altro a cui Torquato non volle pensare.

Lasciò placare il padre, ma per tutto il tempo passato a rigovernare, sentì su di sé la fissità inquieta dell'occhio.

Più tardi, nel buio della notte, quel bianco di neve  continuò a luccicare davanti a lui, abbacinandogli la vista. Aveva trovato una miniera, eppure si angustiava, non sapendo come farla fruttare. I cartocci di granturco del pagliericcio mormorarono a lungo, prima che riuscisse a prendere sonno.

 

L'alba doveva essere vicina, ormai. Torquato accese il lume e lo posò per terra; le gabbie erano già pronte dentro la cesta, coperte da un telo. Dalla finestra entrava lo scirocco, e alle narici gli giunse l'odore amaro dell'erba tagliata che si asciugava in fieno.

Stava per alzare il carico, quando vide l'ombra del genitore muoversi sulla parete e sovrastarlo. Cadde in ginocchio: s'era ripreso, un miracolo, e ora si sarebbe imbestialito, vedendolo portar via i gracchi. L'avrebbe battuto. Stette a capo chino, in attesa del bastone, ma non accadde nulla. Si girò, allora: alla luce della lampada, l'incerata del padre, appesa a un gancio, s'agitava nel vento.

Seduto sul baroccio, guardò il chiarore dell'alba prendere forza; le acque scure del fiume diventarono grige e poi  color verderame. Il carro scendeva piano, scuotendosi quando passava sulle pietre. Nei boschi non s'udiva cantare neppure un uccello, e Torquato posò una mano sulla cesta, per accertarsi che i gracchi fossero ancora lì.

Quando giunsero in città, si caricò delle gabbie e camminò fino allo spiazzo dov'era accampato il circo. Gli andò incontro un uomo pallido e magro; i baffi spioventi gli davano un'aria d'afflizione. Avevano discusso per un po', il giorno prima, però l'uomo del circo non pareva convinto. Senza parlare, a quel punto, Torquato aveva aperto la gabbia del gracchio, quindi s'era tolto l'anello che portava al dito e l'aveva tirato per aria. Con pochi battiti d'ala, l'uccello l'aveva preso al volo e poi si era posato sulla mano del padrone.

Entrarono nella tenda. Dentro una gabbia di ferro, al centro della cupola di tela, stava chiuso un uccello della grandezza di un gallo. Le piume, azzurre come il turchese sul capo e sul dorso, diventavano colore dello zolfo sul petto. L'occhio, al centro di una macchia bianca, appariva vitreo e iroso, ma era il becco, la parte più fenomenale della bestia: enorme e curvo, s'apriva a tratti per mostrare la lingua, tagliente al pari del ferro d'una lancia.

L'uccellaccio si appendeva con quel rostro ai ferri della prigione, sbattendo le ali e ruotando gli occhi perfidi.

- È un pappagallo del Brasile, disse l'uomo.

S'erano appena accostati, che l'animale cominciò a gridare: un verso aspro e sgraziato. Dentro le loro gabbie, i gracchi saltavano silenziosi da un posatoio all'altro, alzando il capo, però, quando videro Torquato allontanarsi, cominciarono a fischiare in un tono basso di flauto, via via sempre più concitato.
Nel pomeriggio percorse a ritroso il corso del fiume. Stava venendo sera, quando lasciò la strada per il sentiero del paese. Sopra l'ombra già notturna dei colli, la corona di marmo delle cime splendette per poco del colore della carne, prima che la luce si smorzasse.

Prima di entrare, si fermò sull'aia . Con le dita nei buchi della rete di ferro della stia, per un po' guardò le galline andare avanti e indietro chiocciando. Nessuna si scompose, per la sua presenza.

 

“I gracchi li ho venduti”. L'occhio restò immobile, ma sopra la pupilla spalancata a tratti la palpebra batteva, come se qualcosa la disturbasse. S'era aspettato la furia dell' imprecazione, invece il padre non fiatò.Torquato ebbe paura  che non stesse bene e si avvicinò, ma subito il braccio valido dell' uomo lo prese e lo tenne così forte che per un po' non riuscì a liberarsene. Da quella sera il vecchio rimase muto.

 

Un calore di fornace s'alzava dal selciato di pietra e tremolava sopra i ciuffi d'erba imbiancati dal sole. Desiderò la frescura della buca della neve. Presto ci sarebbe tornato, perché la riserva pigiata nella cantina stava per finire.

Spinse all'ombra il carrozzino dei gelati. Una ragazza scarmigliata mise la testa sotto la fontana della piazza, e con i capelli che gocciolavano andò a chiedergli un sorbetto.

S'avvicinò anche un conoscente:”Ma i gracchi, ce l'hai ancora?” chiese.

“Sì. Stanno bene”.

“E la neve per il gelato, dove la prendi?”

“Ne è rimasta un po' nei crepacci, su in alto, a Tramontana”.

Con un sorriso storto l'uomo s'allontanò. Dopo di lui,  come uccelli all'abbeverata, scesero altri paesani, e Torquato sentì la tasca appesantirsi sempre più, sotto il peso dei soldi. Aveva mostrato le monete al padre, il giorno avanti, però il vecchio s'era limitato ad abbassare la palpebra sull'occhio sano, senza fiatare. Il giovane avrebbe preferito la litania della bestemmia, a quel silenzio, ma aveva scacciato quel pensiero molesto.

 

Sul contrafforte al margine del canalone le rocce sembravano carboni, a toccarle, e dopo un po' le mani gli bruciarono e dovette fermarsi. Depose la gerla e guardò in alto, verso l'intaglio del monte dove s'apriva la grotta. L'aria era così diafana, per il caldo, che nel biancore del cielo le creste parevano ritagliate nel cartone.

Giunto all'imboccatura, si tolse la camicia e aspettò che asciugasse, prima di calarsi; l'aria fredda della buca gli sembrò un balsamo, dopo tutto il caldo patito.

Udì subito il tonfo secco degli scarponi sulla pietra, ma dovette guardare, per capire. Dal sole ormai alto una colonna di luce entrava nella caverna, schiarendone l'oscurità. C'era soltanto roccia umida, intorno a lui, però qualcosa luccicava, nel fondo. Corse laggiù: una pozza d'acqua torbida e verdastra era tutto quello che restava della neve.

Le ombre s'allungavano, mentre tornava, e un alito fresco scendeva  lungo il fianco del monte. Da una macchia d'erica si levò il sistro spezzato d'un grillo.

Entrato in casa, s'avvicinò al padre e gli racccontò della discesa nella caverna ormai vuota. La voce gli tremava. Cercò lo sguardo del genitore, ma l'occhio restava immobile,  e per liberarsi della pena Torquato andò sulla soglia.

Stava fissando le prima stelle, quando udì un rumore stridulo e aspro, che sussultava come una raspa sui nodi d'un legno e cresceva nel silenzio.

Si voltò: il vecchio rideva.


 

[1]     Uccello della famiglia dei corvidi, dal piumaggio nero e brillante e il becco di colore rosso, che vive sulle alte montagne. È il simbolo del parco delle Alpi Apuane.