Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale Parole attorno al fuoco XXIV^ edizione - Milano,12 Gennaio 2019 per un racconto sul tema: "La Montagna:le sue storie,le sue genti, i suoi soldati i suoi problemi di ieri e di oggi" |
SEGNALATO |
UN FIORE TRA I CAPELLI Di ELENA BARONE - AVELLINO
Cominciava a nevicare e Bernardo si mise ad accendere il fuoco con i rami raccolti nel bosco durante l'estate e sistemati nel deposito dietro la casa. Ci aveva messo del tempo per salire sulla montagna, tagliare i rami secchie raccogliere i legnetti caduti nei sentieri e poi, con cura, accatastarli stretti stretti, in attesa dell'inverno. Faceva freddo nella sua piccola casa, costruita con la pietra viva nella radura in mezzo alle montagne, circondata dal bosco e vicina al laghetto alpino che si ingrandiva con le piogge e dissetava i pascoli. In quella malga era nato suo nonno, suo padre e poi lui e lì aveva vissuto con sua moglie Rosina e i loro due figli. E anche adesso, ormai vecchio, non aveva voluto lasciarla per trasferirsi altrove, magari in paese dove abitavano altre persone e dove avrebbe trovato utili servizi. Era troppo affezionato a quei luoghi che avevano visto svolgersi la parte più importante della sua vita. Sentiva di appartenere alle montagne, ai boschi, alle mandrie, alle nuvole, al vento, e solo lì si sentiva in pace. La vita del montanaro era stata dura, nel passato, come lo era ora, nonostante i progressi della tecnologia; a Bernardo non interessavano: continuava il suo lavoro di boscaiolo nella malga e nella falegnameria in paese, come faceva da giovane, con le sue braccia e a modo suo. Certo, adesso poteva anche riposarsi un po', ma il lavoro lo manteneva agile e attivo e la montagna era la sua vita. Si sedette dinanzi al camino acceso, con la pipa fra i denti, e si accucciò nella sua giacca di lana grossa. La neve cadeva fitta e copriva la casa, gli alberi, la strada; le ultime luci del giorno lasciavano il posto alle ombre della sera. Nel silenzio, affondava i pensieri, guardando, con gli occhi incantati, i mille guizzi delle fiamme rosse e gialle che rischiaravano la stanza e gli vennero in mente tanti pezzi di storia passata, della sua storia, della storia della malga, della storia degli Alpini. Era giovane e pieno di fervore quando fu chiamato in servizio al terzo Battaglione Alpini. Fiero nella sua divisa, sebbene lontano dalla casa e dagli affetti, condivise con altri ragazzi il senso del dovere e l'impegno delle battaglie, i valori a cui teneva e l'esercizio nelle tecniche di guerra. Quei giovani con la penna nera sul cappello erano i difensori dei confini, i guardiani attenti del territorio delle Alpi. L'entusiasmo che lo portò ad arruolarsi nelle Penne Nere non rimase sempre alto come pensava: mille difficoltà ostacolavano il percorso in una guerra non facile, non voluta; i disagi erano inimmaginabili: il freddo intenso, gli ordini duri a volte contraddittori, la lontananza da casa, ma soprattutto le enormi perdite umane.... Vide morire ragazzi dilaniati dagli spari, sentì il lamento dei feriti, confortò i compagni che tremavano di paura e di sconforto. Scene apocalittiche si mostravano ai suoi occhi, ospedali da campo insufficienti, durissima la vita al fronte. Ne aveva fatti di sacrifici: fu assegnato al Reggimento che operava nei Balcani e poi fu andato a difesa del Don e poi ancora a combattere a fianco degli Alleati; poi le umiliazioni della sconfitta e, dopo l'Armistizio, la confusione, la dispersione dell'esercito, l'annientamento delle forze belliche ... Pensò di essere stato fortunato, perché era scampato alla morte e, comunque, alla fine della guerra, era tornato a casa. Periodi non facili furono anche quelli del dopoguerra: povertà, miseria, famiglie decimate, faticosa ricostruzione. I lineamenti dei paesi erano stati sconvolti, ovunque le macerie avevano cambiato il volto delle città ed anche lassù, tra le Alpi Venete, tutto era ridiventato difficile e triste..... I suoi occhi si velarono di lacrime; fissavano ancora le fiamme nel camino, quando decise di uscire a prendere altra legna. Era buio, il silenzio avvolgeva la valle, solo qualche luce si vedeva lontano. Tornò in casa e chiuse bene l'uscio per la notte. Ravvivò il fuoco e aprì la vecchia cassapanca per trovare una tovaglia pulita e prepararsi la cena. Tra la biancheria, erano stati conservati, tanto tempo prima, alcuni oggetti a cui, distrattamente, diede un'occhiata: una trombetta giocattolo, una bambolina di pezza, un'armonica arrugginita, il suo cappello da Alpino che aveva lanciato in aria al suo rientro a casa, un fiore di seta sgualcito, un po' ingiallito. Lo prese con delicatezza tra le dita e istintivamente se lo strinse al petto. Era bella Rosina con quel fiore tra i capelli, la mattina in cui la portò all'altare. Si, era bella la sua donna, il suo amore, sua moglie per sempre. Lo aveva aspettato trepidante per tutto il tempo della guerra, senza sapere se fosse vivo o morto, lo amava tanto; e, quando finalmente si rividero, si strinsero in un abbraccio forte, consolatore, giurandosi di non lasciarsi mai più. Nella chiesa del paese, anch'essa segnata dalla guerra, una ragazza dolce e innamorata, con un semplice abito bianco cucito a mano da sua madre e un fiore di seta tra i capelli, si avviava all'altare verso il suo sposo, con la gioia negli occhi e la speranza nel cuore. Si dissero sì davanti a Dio e si giurarono amore senza fine. Qualche anno più tardi, le voci allegre dei bambini risuonavano nella malga e i loro giochi felici riempivano il casolare di nuova linfa. Lavorando sodo, Bernardo, col sudore della fronte, portò avanti la famiglia; i ragazzi diventarono grandi e presero la loro strada; proprio quando si sentiva realizzato e felice, all'improvviso Rosina venne a mancare, senza un lamento, stringendogli la mano e lanciandogli un sorriso. Fu troppo duro continuare a vivere senza di lei. Non ci fu ora o minuto che non pensasse a lei, al loro amore, a quanto si erano fatti felici. I giorni passavano, l'inverno incipiente rendeva più aspra la solitudine e la tristezza acuiva le riflessioni sulla vita. Proprio pensando a lei, e carezzando quel fiore che aveva tra i capelli il giorno delle nozze, decise di chiamare i suoi figli e invitarli per la cena di Natale. Questa iniziativa lo svegliò dal torpore e per un po' lasciò da parte i pensieri tristi; nei giorni che seguirono, si diede da fare per organizzare la serata. Cominciò col pulire la casa da cima a fondo, mise ordine nei cassetti e negli armadi, si liberò delle cose inutili, ripulì il terreno. Pensò a come preparare la cena e la tavola, a come tenere la casa sempre calda; i ragazzi avrebbero passato la notte alla malga e i bambini, si sa, potevano sentir freddo, non essendo abituati a vivere in montagna. Ornò con luci colorate l'abete vicino al portone d'ingresso, tanto per sentire l'atmosfera del Natale. E poi, certo, i bambini erano abituati a ricevere i doni, nella notte Santa, e a riproporre ogni anno l'ingenua tradizione di Babbo Natale. E, allora, nonno Bernardo si recò in paese e, come non faceva da tempo, girò per negozi alla ricerca di regali utili: un maglioncino di lana per i maschietti e un paio di pattini per le femminucce. Il lago, d'inverno, diventava uno specchio ghiacciato e vi si poteva allegramente pattinare: già immaginava la gioia nel vederli divertirsi, come quando i suoi figli erano piccoli e giocava con loro. Con nuovo vigore, pensò ai particolari per quella sera speciale; da tanto tempo non stavano tutti insieme. Che bella idea, pensò, aveva avuto guardando il fiore di Rosina! Sicuramente l'avrebbero sentita vicina...Comprò carne buona alla macelleria del paese, la pasta fatta a mano e perfino il panettone natalizio. I suoi quattro nipotini ne erano ghiotti. La mattina del 24 dicembre, Bernardo si alzò presto, si sentiva contento. Spolverò di nuovo il fiore trovato nella cassapanca e lo sistemò con delicatezza sul ripiano del camino, così che tutti potessero vederlo. Mise a cuocere il sugo, accese il fuoco. Tutto, in breve tempo, fu pronto. Si sedette alla poltrona accanto al focolare e aspettò. La giornata era grigia e presto sarebbe arrivata la sera; la strada, in alcuni punti, poteva essere ghiacciata e cominciò a stare in pensiero. Ascoltò le notizie alla radio, sistemò ancora qualcosa; sentì il suono del telefono. Ci mise un po' per trovarlo, lo lasciava nei posti più strani. Nicola, il suo primo figlio, lo avvisava che non sarebbe arrivato. - Papà, mi dispiace, ci tenevo davvero, ma non posso venire. Ho avuto problemi con la nuova auto e poi mia moglie ha messo il broncio e vuole andare da sua madre. Ma, in questi giorni, certamente saliremo su alla malga per stare un po' con te. Scusaci, so che capirai; comunque, starai in compagnia di Ninetta, Pasquale e i bambini. Buon Natale, papà -. Bernardo rispose: - Non fa nulla - , come sempre dolce e comprensivo, ma rimase deluso. Mise a bollire l'acqua, mentre aspettava l'arrivo della figlia. Sentiva salire l'ansia, un'inquietudine strana; non vedeva l'ora di riabbracciarla. Il cellulare dette segno di un messaggio in arrivo. Non aveva confidenza con i mezzi moderni della comunicazione, non voleva rispondere, certo che fosse mandato da Beppe, il contadino della terra al piano, per gli auguri di Natale; ora non aveva la testa per queste cose, aspettava Ninetta e voleva pensare solo a lei. Altro messaggio; questa volta lo lesse: - Papà, ho provato a telefonarti tante volte, è sempre occupato, oppure non rispondi. Non possiamo venire stasera, le previsioni portano neve e i bambini sono invitati dai cuginetti per aspettare Babbo Natale. Scusami, ci tenevo a venire da te, ma lo faremo presto. Sarai lo stesso in buona compagnia con Nicola e i ragazzi. Passate un buon Natale. Ti abbraccio.- Neanche Ninetta sarebbe venuta. L'acqua bolliva nella pentola, pronta per calarvi la pasta. Bernardo si avvicinò al fornello e lo spense. Non aveva più fame. Guardò dalla finestra. La neve aveva già coperto la strada. L'abete, con i rami ghiacciati, brillava di lucine intermittenti, unico colore in tutto quel bianco, unico segno del Natale. Indossò le pantofole e la giacca di lana grossa, si sedette accanto al fuoco. Ormai era notte. Nel mattino gelido si udivano in lontananza le campane del giorno di Natale. Non nevicava più. Le montagne alte, bianchissime, si imponevano sulla valle quasi a ripararla, a difenderla, come avevano fatto gli Alpini durante la guerra. La malga era silenziosa e tranquilla, deserta. Gli alberi del bosco, muti, col carico di neve che piegava i rami, sembravano fantasmi solitari, nell'attesa dei nidi e dei cinguettii della primavera. Ninetta e Nicola, ciascuno nella sua casa, si svegliarono tardi, ma il loro primo pensiero fu telefonare al babbo per gli auguri di Natale. Bernardo non rispose. Dopo alcuni tentativi si sentirono per avere notizie e si preoccuparono. Un paio di ore dopo, decisero di salire su alla malga. La strada era impervia, il freddo intenso. Col cuore in gola, entrarono in casa. Bernardo era ancora sulla poltrona accanto al camino, nella sua giacca di lana. La cenere era ancora tiepida. Lo chiamarono, gli carezzarono le mani. Ninetta, singhiozzando, gli pose la testa sulle gambe, come faceva da bambina; Nicola gli abbracciò le spalle. Maestoso e tranquillo, sembrava addormentato: gli occhi chiusi, sulle labbra un sorriso, tra le mani stringeva un fiore di seta bellissimo..... |