Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale Parole attorno al fuoco XIX^ edizione - Arcade, 5 Gennaio 2014 per un racconto sul tema: "Genti, soldati e amanti della montagna: storie e problemi di ieri e di oggi" |
SEGNALATO |
LA SENTINELLADi TARBONI PIERLUIGI di DOSSON di CASIER (TV) |
Montagna. Di questo dovrei parlarvi, ma davanti ho soltanto una
grande distesa d’acqua. Potrei ricordare molto spesso è sorgente di
dolore. Anche dove mi trovo adesso sono una sentinella, come lo ero prima, sui monti. Non so dirvi quanto tempo è passato, il tempo per me è qualcosa che non posso capire, ci sono soltanto un prima e un dopo. Si è alzato un vento leggero, due tizi camminano sulla battigia, dicevano che forse la primavera stava arrivando. Primavera è una parola che conosco, l’ho sentita nominare tante volte prima, nell’altra vita. Vedete, sto ricordando e non è più così doloroso. Stavo a guardia della valle, davanti a me una corona di montagne innevate, neve perenne dicevano quei pochi che riuscivano ad arrivare lassù. E se lanciavi lo sguardo in basso questo si perdeva fin quasi all’infinito. Tutto intorno alla mia breve piana si svolgeva un’interrotta danza di boschi e il gorgogliare del torrente era una colonna sonora che accompagnava lo scorrere dei giorni. Nella valle quattro case, chiesa e campanile e un ronzio di attività quotidiane che saliva in alto fino a sposare la musica dell’acqua. Questo era il mio mondo ed io facevo parte di una totale perfezione senza sentire altro bisogno che quello di essere lì, insieme alle aquile, sentinella vigile e attenta che tutto restasse immutato e immutabile. E’ stato così credo per tanto tempo, anche se, come vi ho detto, non possiedo questa percezione. Ricordo che vi erano giorni in cui tutto era bianco, le creature del bosco si erano nascoste, penso si fossero addormentate, nessuno veniva in questi luoghi fino a primavera. Ecco perché mi è rimasto dentro questo nome, c’erano ragazzi che salivano fino da me in cerca di non so che cosa e parlavano, parlavano di sogni e di luoghi che avrebbero voluto visitare. Li sentivo leggeri come nuvole. Un giorno uno di loro ha raccontato del mare e lo ha fatto con pennellate d’acquarello così intense che anche a me è venuto il desiderio di vederlo, di toccarlo, di capire fino in fondo di che cosa stesse parlando. E’ stato questo il mio peccato originale. Ora lo vedo sempre, ce l’ho davanti, calmo, in tempesta, allegro di colori e di ombrelloni, triste di disperata solitudine come me, sentinella sola ed esiliata. Un giorno lassù si levarono rumori di tuono, ma non era il temporale che avevo imparato a conoscere, era qualcosa di nuovo e di terribile. Uomini come formiche risalivano la valle e si accampavano nella breve piana. Parlavano della guerra, una parola che risuonava orribile persino a me che non sapevo cosa fosse, parlavano della loro casa lontana e del desiderio di tornare al più presto. Ma non tutti sono tornati, molti sono rimasti là, sotto un cielo incontaminato, a guardare per sempre la valle, per sempre leggeri come gli spiriti dei boschi. C’era un uomo che sedeva spesso vicino a me, gli altri lo chiamavano sergente. Si metteva al riparo dal vento e scriveva lunghe lettere a una donna di nome Ester. Le raccontava della vita militare, delle lunghe giornate in trincea, di come tutto quello che erano costretti a fare fosse assurdo. Una guerra tra poveri scriveva, perché anche dall’altra parte c’erano gli stessi uomini, che scrivevano le stesse lettere e c’erano donne come lei che aspettavano sul filo di un incerto ritorno. Il sergente è rimasto lassù, un giorno il torrente è diventato rosso e lui non ha più scritto lettere. Gli altri uomini hanno pianto a lungo, perché dicevano che era un buon soldato e, anche se veniva dalla pianura, voleva restare li per sempre a guardare quei monti di cui si era perdutamente innamorato. Hanno piantato una croce per ricordarlo, e sulla sua tomba è stato lasciato un cappello con una piuma. La loro speranza era che qualcuno andasse a dargli un saluto, anche se sapevano che sarebbe stato difficile per tutti arrivare fino alla piana. Poi però è arrivato anche qui quello che in tanti chiamano progresso. Hanno allargato i sentieri, è nata una sterrata e di colpo il paese è diventato più vicino. Da quel momento è salita più gente fino al luogo dove ero di sentinella, sono arrivati uomini, donne, bambini. Molti erano rispettosi di quei luoghi, capivano il bisogno di silenzio che il posto ispirava, riuscivano a guardarsi dentro. Qualcuno però sembrava capitato li per sbaglio e lasciava evidenti tracce del suo passaggio. La gente del paese veniva qui e si arrabbiava. “Abbiamo già tanti problemi -li sentivo dire- ci mancavano soltanto gli incivili che non rispettano questi luoghi”. Poi, per fortuna, arrivavano altri uomini, anche loro avevano un cappello con una penna nera in testa, e ripulivano tutto. A me piacevano anche perché non dimenticavano mai di dire una preghiera sulla tomba del sergente. Era uno di loro, dicevano. lo però, sono sincera, alla fine non ci facevo tanto caso, aspettavo soltanto che arrivasse qualcuno, qualcuno di cui avevo sentito parlare tante volte nelle appassionate lettere di un uomo che non credeva alla guerra. Ester è venuta un giorno che la neve si era già quasi del tutto sciolta e il verde stava reclamando il suo regno. L’ho riconosciuta subito senza averla mai vista, in fondo la conoscevo bene attraverso le lettere del suo amato. E aveva gli occhi come l’orizzonte. Ha portato dei fiori sulla tomba del sergente, poi è rimasta a lungo pensierosa a guardare il mondo, i confini del nulla, si è immersa tutta in quel doloroso silenzio quasi a volerlo portare con sé per il resto dei suoi giorni. Quando se ne è andata la sera stava arrivando, ma il suo sguardo non era più triste come quando era venuta, nascondeva qualcosa che non riuscivo a capire e forse potevo soltanto intuire. Ricordo che persino io, che in fondo non potevo credere di avere sentimenti, ho sentito come se qualcosa si sciogliesse dentro, un nodo che se ne andava definitivamente, portato via con le ultime retroguardie del disgelo. Sono passate altre primavere, poi Ester è ritornata. E non era sola. Con lei una bambina che aveva gli occhi come l’orizzonte e lo stesso sorriso del sergente quando scriveva le sue lettere d’amore. Ester le ha parlato a lungo e la bambina, tutta seria, è rimasta ad ascoltare, poi si è guardata intorno e ha detto semplicemente “E’ bello qui”. E gli occhi di sua madre si sono riempiti di lacrime. Ma è stato un momento, un attimo soltanto, e il vento lo ha subito rapito. Quando se ne sono andate la foresta intorno, che sembrava avere trattenuto il fiato, ha ricominciato a respirare. Non sono più tornate ed insieme al mio rimpianto per i monti, è rimasto anche il sogno pazzesco di poterle un giorno rivedere. Invece sono arrivati altri uomini, si sono guardati intorno, hanno preso misure, parlato a lungo fra loro. Ho colto soltanto una frase per me allora senza significato, ma che rappresenta il mio triste destino di oggi: “Sarà un magnifico frangiflutti”. Qualche giorno dopo è arrivato un drago giallo e nero con una grande bocca mobile e mi ha tolto dal luogo dove un dio gentile mi aveva posato. Di colpo l’orizzonte è diventato nero come la notte e ho scoperto una sensazione mai fino ad allora provata, il movimento. Poi sono finita qui, in mezzo a quello che chiamano mare, mi hanno messo in fondo, più lontano possibile dalla terra, quasi a ricordarmi, nel caso ce ne fosse stato bisogno, che quello da ora in avanti sarebbe stato il mio posto. Ma io sono dura a dimenticare e anche se ho capito che le montagne, la valle, la mia piccola piana sono lontane per sempre, cacciate via come l’alba allontana i sogni più belli, mi resta sempre qualcuno da aspettare. Viene tanta gente qui, per lo più sono ragazzi che vogliono tuffarsi per raggiungere a nuoto la riva, poi ci sono i pescatori, che si armano di santa pazienza e stanno lì giornate intere, anche se i pesci si fanno beffe di loro. C’è chi, con tanto di libri, vuole isolarsi dalla confusione che regna sulla spiaggia e chi porta gli aquiloni, per farli sventolare più forte. E poi c’è chi viene soltanto in cerca di silenzio, per guardarsi dentro meglio. Ho visto anche tante donne, tante bambine, ma nessuna di loro ha gli occhi come l’orizzonte. Eppure resto granitica nella mia convinzione. Presto o tardi verrà un giorno e sarà un momento che annuncia la primavera, un giorno che il mare sarà immerso nel silenzio, ombrelloni chiusi, soltanto lo sciabordio della risacca, senza nemmeno il grido roco di qualche gabbiano a disturbare lo stato di quiete. Allora, lo so, arriveranno. Due donne, una più anziana, l’altra giovane. Saranno lì per caso o perché guidate da una mano che non sanno di conoscere. Verranno fino in fondo dove non possono immaginare che le sto aspettando e i loro occhi incontreranno l’orizzonte e si confonderanno in esso. Resteranno sedute a guardare il mondo ondeggiare lentamente e le vele bianche che non si fermano mai. Poi, alzandosi, la mano della più giovane mi sfiorerà e sarà come una carezza aspettata da sempre, sarà come ritornare a casa e finalmente anch’io potrò trovare pace. Lo so, vi sembra impossibile che una come me possa provare qualcosa, ma faccio parte pure io di questa grande armonia e anche se sono una roccia, una roccia dura, credetemi, mi sono accorta che il mio cuore non è di pietra. |