Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale Parole attorno al fuoco XIX^ edizione - Arcade, 5 Gennaio 2014 per un racconto sul tema: "Genti, soldati e amanti della montagna: storie e problemi di ieri e di oggi" |
" Rosa d'Argento " |
MARIETA Di ZANATTA FERDINANDO di CASTELFRANCO |
Il piccolo borgo montano sull'altipiano distava una ventina di chilometri da Bassano. La guazza sull'erba prativa bagnava la suola dello scarpone al mattiniero mandriano che si apprestava alla mungitura del bestiame. La stalla adiacente alla casa ne accoglieva ben venti capi, di cui sedici vacche da latte. Marieta, la moglie, l'aveva preceduto in cucina preparando il caffelatte, viatico per l'incipiente gravosa giornata. "Il secchio è già in stalla". Disse a Tita, il marito. "Prima allatto il vitello". Le rispose. Lei accese il fuoco sotto il calderone. Si piegò e soffiò perché la fiammella che danzava tra l'esca di carta e i fuscelli secchi rimanesse desta e si rinforzasse per incendiare i rami di faggio già pronti. Il muggito delle vacche accompagnava la monotonia dell'azione. Le piaceva, però, quel rito che sprigionava calore e rivitalizzava la sua scarna figura. Era la formaggiaia della borgata, mamma di otto figli, cui dedicava tempo, energie, competenza e tanto lavoro per crescerli. Vita grama conducevano nelle contrade quanti, con numerosa prole, elemosinavano bocconi dalla misericordia del prossimo. Vedeva quei figlioletti, ossa ricoperte di pelli ceree, che passavano con le narici impiastricciate di moccio umido e giallo, dentro brachette rattoppate da Arlecchino. L’indigenza, alla fine del secondo conflitto mondiale, bussava agli usci, urlava negli stomaci vuoti, raggelava nelle cucine avare di tutto. L’idea di produrre del formaggio le balenò in mente durante le gelide giornate invernali, quando la neve appollaiata sui davanzali impediva l'apertura degli scuri e arrestava il cammino sulle strade sepolte dalla spessa coltre candida. I ragazzi, dimentichi delle privazioni, si tuffavano dal primo piano delle case come angeli sul soffice manto per rialzarsi imbiancati; i contadini, invece, in clausura, erano le vittime della carceriera bianca. Non c'era nel paesetto chi trasformasse il latte, non consumato dalle famiglie delle contrade, in gustoso formaggio, che avrebbe trovato sempre denti pronti a morderlo, purché ce ne fosse. "Come posso produrlo?" Si chiese Marieta. Una sera, si recò presso un casaro per avere lumi sul da farsi. La materia prima, il latte, c'era; il caglio e il sale si acquistavano dal bottegaio; la strumentazione necessaria si trovava in casa. Bisognava seguire i tempi e la temperatura. Ci voleva solo tanta voglia e determinazione. Vicino al focolare fece predisporre la mussa per avvicinare o allontanare dal fuoco il recipiente pieno di latte senza correre rischi. Il mattino dopo, alle quattro, avviò il fuoco e preparò la caliera e la legna. Il marito, mungendo a mano le sedici mucche, riempiva il secchio di buon latte e lo versava nel grande pentoIone di rame. Terminata la mungitura, la donna aggiunse il caglio e attese pazientemente che il latte si coagulasse. Quando la cagliata fu pronta, si curvò e la ruppe con il triso. Poi, con le robuste mani, riunì i pezzi affioranti componendo dei morbidi globi che comprimeva per eliminare lo scòro, prima di metterli nella fassàra. La forma rimase sul tavolo di legno leggermente inclinato, alla cui estremità, attraverso un foro, colava il siero. Il giorno successivo, in un locale aerato, la stanza del formaggio, sulla rustica mensola dispose il pezzo, cui in seguito aggiunse gli altri, da salare e rigirare per impedire che la muffa li deteriorasse. Alla fine del mese il formaggio tenero e odoroso arrivò in tavola. La notizia corse di bocca in bocca. Chi aveva in stalla qualche vacchetta pensò di consegnare a Marieta il latte per ricavarne del formaggio. Su un quaderno la donna annotava i litri conferiti dai vari produttori e ripartiva ai soci le quantità di cacio ottenute in base alle consegne effettuate. Questa fortuna entrava in poche case, alle altre bussava la striminzita e famigerata fame con i suoi occhi languidi di malata endemica. La saggia donna capiva le misere condizioni dei vicini: leggeva sui volti il bisogno creato dalla grettezza della miseria, che si attaccava addosso come la rogna. In Contra' Schirati, la povera Tilde sfamava i quattro figli coi due soldi che riceveva lavando gli stracci del prete e del medico; pagava a fine mese lasciando spesso il debito per dopo, se la bottegaia non aveva cuore per azzerarlo. Marieta, una sera, le portò un pezzo di tenero formaggio, salutato con gioia dai figlioli. "Grazie, che il Signore ti benedica". Mormorò Tilde. "Mangiate in pace". Augurò e uscì schiva, ma decisa nel suo intento di aiutare gli indigenti. A casa, chiamò i figli a tavola per la cena e raccontò ciò che aveva fatto. "Si potrebbe aiutare più di qualcuno con il latte". Disse. "Cosa vuoi fare?" Le chiese il marito. "Donare anche del formaggio." Rispose e distribuì sui piatti la salsiccia fumante, mentre i figlioli prendevano le belle fette di polenta dorata dal tagliere. "Se tutti mettessimo del latte, potremmo dare qualcosa a chi ne ha bisogno! - Esclamò, - che ne dite?" Chiese la mamma. "Ma come?" Domandò Sergio, il figlio mezzano. "Convocherò, domani sera, i nostri soci e prenderemo un accordo". ''Non so se tutti la penseranno come te". Affermò il maggiore. "Stabiliamo una quota minima." "Quanto?" Chiese il minore. "Mezzo litro per mucca o poco più". Rispose la mamma. "Che formaggio fai con quella miseria?" Commentò il figlio. "Calcoliamo la quantità necessaria per una cagliata, e il formaggio di quel giorno sarà donato ai poveretti". I commensali la guardarono sorpresi. "Si può, basta partire". Insistette per rompere l'incanto. "Vedremo". Disse incredulo il maggiore. "La mamma sa, ha i conti. Basta convincere gli altri". Intervenne il padre. "Chi non darà la sua parte, non lo voglio nel nostro piccolo consorzio". Minacciò Marieta, mentre riordinava una ciocca di capelli che le copriva la fronte. "Tutti daranno qualcosa. Tutti". Concluse ottimista. Il giorno successivo, dopo cena, ebbe luogo nella tiepida stalla la riunione con l'ordine del giorno stabilito. Le mucche ruminavano lentamente distese sulla lettiera di foglie secche di faggio; i vitelli chiusi in un recinto di legno saltellavano irrequieti. Assieme all'acre odore delle urine si respirava abbondanza: una stalla piena di animali così non c'era in paese. Poche e magre vacchette nutrite col fieno estivo, raccolto falciando sui pendii scoscesi, lungo gli argini delle strade o nelle radure del demanio, vegetavano nelle altre stalle piccole e rabberciate. Tiravano avanti come gli uomini, aspettando che la fredda stagione finisse per brucare l'erba all'aperto. Tanti andavano all'estero, in Francia, a lavorare nelle aziende agricole a raccogliere barbabietole, o finivano nelle miniere di carbone del Belgio a rischiare la vita col grisou e a riempirsi i polmoni di polvere nera. Qualche soldo, sì, arrivava in casa, ma la pensione si passava sputando sangue a ogni colpo di tosse. Marieta portò il quaderno e iniziò a esporre il suo progetto ai convenuti. "Qui in paese c'è gente che patisce la fame, bisogna fare qualcosa". Cominciò. "L'è magra per tutti". Usci una voce. "Ma la polenta e il latte non mancano per le nostre bocche". Disse lei di rimando. "Anche una scorza di formaggio, per quello. Ma c'è il resto da comprare". Borbottò un altro. "Il dottore non viene per niente. Tremila lire allo specialista delle ossa per mio figlio, che l'anca non la porta bene". Intervenne Nisio. ''Nessuno ci fa l'elemosina. Mia figlia si sposa e la dote non la dà il sindaco". Aggiunse Demo. La donna raccolse le perplessità e remò contro, partendo dalla fame. "La fame però per noi, diciamolo, non si sente. Ma conoscete anche voi le famiglie che tribolano. Siete cristiani o no? Vi propongo di donare mezzo litro di latte a vacca per offrire un po' di formaggio ai poveri. lo tengo i conti delle consegne, quando arrivo alla dose prevista per la cagliata, quel giorno sarà per i bisognosi. Che ne dite?" A quella domanda seguì una lunga pausa di silenzio. Siccome non amava le lungaggini, decise di preparare il brûlé, ma prima di allontanarsi li avvertì: "Quando torno, mi riferite la vostra decisione." Menando la testa, qualcuno presentava le sue perplessità, perché i tanti figli non erano suoi e all'osteria, come altri, lui non si vedeva. Per un periodo andava bene l'iniziativa, mica per sempre. La donna ritornò. "Qua i bicchieri, bevete e poi mi dite." Con la bevanda calda qualche nodo si sciolse. "Che cosa avete deciso?" Domandò. Il marito le comunicò che erano d'accordo, ma per un tempo limitato. "Così va bene, sennò andiamo in chiesa per scaldare i banchi. Cominciamo da domani. Tutto chiaro? Siamo soci in tutto, anche nel decidere di volta in volta chi aiutare." La riunione si concluse; ognuno tornò alla propria casa e condivise con i famigliari la decisione presa. Di sera, i pezzi di formaggio finivano nelle mani di Tilde, di Togno, che con l'ulcera non lavorava alla cava di pietra, e di Agnese il cui marito, partito per la Francia, non le aveva mandato notizie e neanche del denaro per sbarcare lunario con i vecchi allettati e le due creature. Lavorava fino a notte inoltrata a costruire rosari: con la pinza arricciava i pezzetti di fil di ferro, dopo avervi infilato i chicchi forniti dal venditore ambulante, che poi ripassava a prendere le corone per il santuario; oppure intrecciava i fastùghi per produrre lunghe trecce da vendere ai cappellai, dietro un magro compenso. E in tante stalle mani laboriose eseguivano questi lavori per sopravvivere. Quando arrivava alle case, Marieta spariva dietro la porta, lasciando il dono con una parola di conforto. Non le piaceva sostare. . "I muri hanno le orecchie, - diceva - e il chiacchiericcio pettegolo confonde l'animo e svilisce il gesto." Volle mandare anche gli uomini. Così, un mattino, mentre pesava il latte, disse a Nisio che, la sera, gli avrebbe dato una pezza da portare a Ciano. "Non me la sento. Sono cose da donne". "Questa sera, ti aspetto e vai". "Voi donne capite meglio, sapete dire le parole che servono". "Impari anche tu, butta via la vergogna. E' un'opera buona". "Manda un altro, io divento balbo ... Non fa per me". Lei chiuse il quaderno ripetendo: "Questa sera ti aspetto". L'uomo partì schiaffeggiando con il secchio l'aria, cui non poteva esporre il bollore dell'animo. A casa un calcio andò in culo al povero bastardino, colpevole solo di essergli andato incontro. Espose la missiva alla moglie, Lina, che rimase sorpresa. "Me, mandano. Non sono mica il sagrestano!" Urlò esagitato. La donna cercò di calmarlo. "Non vai mica alla forca. Ti lavi, ti sbarbi... " "Anche quello devo fare!" "Non andrai come uno zingaro, ti metterai dei vestiti decenti". "Se proprio devo, vado cosi come sono vestito e con le galosce. Che non mi rompano gli zebedei. E solo per stavolta!" Sbraitò. Dopo cena, Nisio si lavò per bene: non voleva sapere di stalla; mise la camicia pulita, una giacca buona, riordinò i capelli e infilò ai piedi le scarpe da festa. Ebbe l'ardire di pensare che, nel fare il bene, è meglio essere dignitosi, come quando si va dal medico. La moglie, aggiustandogli la giacca, gli raccomandò: "La creanza la sai, porgi il dono con disinvoltura, non daporogràmo. E poi vi conoscete!" L'uomo, con il sacco di tela grigia in spalla, passò rasente le case e girò per un viottolo, sperando di non trovare anima viva. "Ciò, Nisio, vestì a festa dove vètu col saco?" Disse uno che gli veniva incontro. Egli, tenendo la testa bassa, non rispose. Andare a far la carità gli pareva di essere in combutta con gli zingari e le pie donne. "Te ghè un capriòeo, eh! Par quèo te cori col scuro!" "Gò dea farina par me compàre. Ti va' daea Bepa par la graspeta. Vègno subito!" Tagliò corto per frenare la curiosità e sgattaiolò nel sentiero. Finalmente bussò all'uscio e gli venne ad aprire Ciano. "Mi fermo un attimo da te". L'uomo lo fece accomodare in cucina, dove la sposa stava imboccando il suocero appollaiato sul seggiolone. "Vi porto un po' di formaggio, se avete piacere. Sapete, con Marieta siamo d'accordo". Il cacio rotolò sulla tavola splendente come una luna piena, sotto la lampada. "Dai, ne taglio alcune fette e le mangiamo assieme! Teresa, scalda un po' di polenta, che facciamo festa a Nisio." Ciano prese dalla credenza il boccale del vino e dal secchiaio tre bicchieri. "Come andiamo, Nane?" Chiese l'ospite al vecchio, corto di udito. Questi lo guardò e, mostrando i pochi paracarri rimasti sulle gengive, menò la testa. "Bisogna imboccarlo perché gli mancano le forze. Ma capisce". Intervenne la nuora. I tre amici mangiarono polenta abbrustolita e formaggio come fossero alla sagra del patrono. Cominciarono le partite di chiacchiere sui tempi duri e le poche speranze. Il piacere della conversazione fece dimenticare la grappa della Bepa. "E allora, com'è andata?" Gli domandò Marieta, il giorno dopo. "Buono il formaggio e sono rimasti contenti". "E tu?" "E' stato un piacere e ci siamo parlati delle magagne, come si fa". "Tutti devono provare l'esperienza di fare del bene". Concluse soddisfatta, battendogli la spalla. La sua sollecitudine restò impressa come un sigillo nel cuore di tanti paesani. "Al suo funerale c'era tutto il paese. Aveva fatto del bene a molti dei presenti. I loro occhi lucidi, nel silenzio, esprimevano affetto e riconoscenza. Era una donna forte, una 'bersagliera'!" Così diceva di lei il figlio minore, che da tanti anni viveva a Mandello, sulle amene sponde del lago di Como.
Legenda
Mussa: robusto sostegno triangolare composto da tre piccole travi unite tra loro con lunghi chiodi; la trave verticale ruota su due cardini per facilitare lo spostamento del calderone appeso all'estremità di quella orizzontale. Caliera: il calderone dove si scalda il latte. Triso: corto bastone di legno in cui erano infissi, a forma di croce di Sant'Andrea, dei pioli. Scòro: siero Fassàra: stampo cilindrico di legno, dove si mette la cagliata, regolato da una cordicella che lo fa aderire al disco di formaggio durante la stagionatura. Fastùghi: i gambi delle spighe Porogràmo: termine dialettale che indica una persona impacciata e goffa. |