Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XVI^ edizione - Treviso, 6 Gennaio 2011

per un racconto sul tema:

"Genti, soldati e amanti della montagna:

storie e problemi di ieri e di oggi"

Secondo classificato

La Fonte Alta

 

di Brambilla Enrico ( Almenno San Bartolomeno )BG

Parole balbe tra l'uomo e la fonte alta, parole d'acqua odorosa di muschi e sentori di neve disciolta, parole soffiate pazienti nel fumo d'un tabacco povero sbriciolato tra le mani prima di caricare la pipa. Parole che fluivano incerte dalla bocca, neppure il riparo più d'una chiostra di denti, e replicate dal cannello in legno di carpino ormai macero, ormai molle dei fiotti gelidi che scendevano dal monte.

Un dialogo, quindi, tra i due, dell'uomo che confidava alla fontana con uno sparlare da demente i pensieri avuti nell'insonnia della notte e della fonte alta che replicava col chioccolio del suo getto tutta la comprensione di cui poteva essere capace.

Nessuno intorno, una piazzetta deserta che già la gramigna disconnetteva germinando tenace tra gli incastri del travertino, e case vuote, gli usci sbilenchi e stupiti che gli abitanti se ne fossero andati tutti lasciandoli spalancati sulla desolazione delle stanze abbandonate. Più nessuno che varcasse quelle soglie, più nessuno che bussasse con un picchio amico, soltanto il rovo selvatico graffiava contro i legni stridendo la punta delle spine sulla lavagna dei vetri rotti alle finestre. E altre bocche, intraviste di sguincio nel buio delle stanze vuote, spalancavano un'ugola nera, fuligginosa, focolari spenti che sul basamento lagnavano mulinelli di cenere e coriandoli di cartacce.

:- Siamo rimasti solo io e te, amica mia ... -

diceva l'uomo, la mano tuffata nella conca di pietra a cogliere gli spagli di luce che il sole vi intarsiava.

Fiottò, schizzò spruzzi che parvero schegge d'argento, con la sua voce umida la fonte sembrò replicare tossicchiando:

- Clof clop cloch ... soli... chchch ... -

:- Già, soli ... - aggiungeva l'uomo, nello sbuffo di fumo sospirato tutto lo sconforto di quell'ultima mattina - ... Soli ... Anzi tra poco resterai soltanto tu ... Solo la tua voce tra queste pietre inutili, queste case che un tempo avevano voci di vecchi e di bambini. Il villaggio è morto, amica mia, ed oggi toccherà a me ... -

:- Clof cIop cIoch ... Perché? .. chchch ... Te ne vai anche tu? ... glu glu glu ... -

spruzzava la fonte alta, un gorgoglio come singhiozzo dal cannello incastonato nella pietra.

Il vecchio lasciava carezze sul bordo della conca, nel palmo una memoria di vellutati musi di muli all'abbeverata e secchi di frescura attinti per la sete degli orti e braccia lavate a spruzzi e il pavese dei panni strosciati, il borgo s'invelava tutto come un bastimento alla fonda, e bocche schiuse alla generosità del fiotto.

La pipa s'era spenta. L'uomo la svuotò dei frustoli di tabacco picchiettando il fornelletto sul sasso, spazzò la poca cenere con un soffio d'aria, soffiò le parole di commiato quasi più lamentandole a se stesso che alla fonte:

- Già, tocca a me… Sai, mio figlio, quello che abita giù in città, dice che è per il mio bene… Dice che non è bene che io rimanga quassù come un vecchio orso quando tutti se ne sono andati ... Dice che al pensionato, una grande e bella casa piena di vecchi come me, la mia vita sarà più lunga, più felice. Così dice e promette visite giornaliere quando quassù, dice, è costretto dagli impegni a farmi visita due, tre volte l'anno ... -

Le stesse parole ripeteva lagnosa l'eco libera di correre su ogni baso la di quel villaggio arrampicato sul monte e si librava sui tetti di ardesia, di scandole che la paglia dei nidi di passero imbottivano aprendo varchi allo stillicidio della pioggia. Replicava un dissenso anche il tiglio odoroso, il fusto centenario radicato nel mezzo della piazzetta, agitando le foglie dolenti.

:- Ho l'impressione che quel ragazzo... - il vecchio, bagnate le mani, carezzava la fronte, le guance come calde di febbre per quell'addio che non si risolveva e le parole gli venivano forzate, sussurrate quasi con voce d’altro -…Ho l’impressine che quel figliolo abbia qualche cosa da farsi perdonare, voglia per forza rendermi qualche cosa che non gli ho richiesto. Io…io…io voglio soltanto vivere, continuare a vivere come te, scorrere fino a dove e fino a quando sarà, come l’acqua che butti…-

Aveva avuto un rinforzo il getto d’acqua, nella strozza del cannello un rigurgito di singhiozzo come se la sua gola, la sua condotta incanalata giù dal monte , avesse avuto un conato di pianto.

Ridacchiò amaro, il vecchio celiò:

- Fonte mia, che fai? Ti metti a buttare come quando avevi appena un giorno?... Ricordi, eri appena sgorgata e pareva volessi annegare il mondo…-

Pareva, la fonte alta liberata in quota dai macigni che la strozzavano, caduta per una condotta celata sotto terra di coppi vecchi che s’erano temprati alla carezza degli inverni, scorrere giù fino al borgo con la frenesia d’un monello imbrigliato.

E che festa a quel primo fiotto, che allegria a quello spruzzo violento sibilante dal cannello nella conca. Un mulo, il più vecchio che i carbonai pungolavano giù e su dal bosco, aveva avuto l’onore d’abbeverarsi per primo a quell’acqua figlia della neve vergine d’altura. Poi gli uomini, tutti, e le donne, tutte e il più anziano del villaggio che, bevuto a lungo, forbendo il labbro aveva battezzato la fontana con quel nome arioso:

“Fonte Alta”…

 Tempi finiti, finiti come il bosco che un’industria di legnami della valle aveva in breve divorato con i suoi macchinari d’acciaio, finiti come la roccia del monte che una talpa gigantesca scavava forsennatamente aprendo la strada ad una galleria che treni superveloci avrebbero percorso. Finiti come il paese, i suoi abitanti, i cacciatori che non tornavano più dalla battuta alla pernice, finiti i cercatori di funghi, finiti gli alambicchi clandestini ed il conforto di quelle grappe rustiche che bruciavano la lingua ed incendiavano il gelo dell’inverno, finito il fumo dei camini, finiti tutti, finita la vita.

Restava solo la fontana, per ora, la "Fonte Alta" che, gli era giunta voce, forse aveva anch'essa il tempo contato se era vera quell’intenzione dell’industria d'imbottigliamento che si stava costruendo più giù a valle ...

:- Eh già ... - considerava il vecchio con un tono tra il serio ed il faceto - Ti metteranno una veste di vetro scintillante e un'etichetta che varrà come per noi uomini la carta d'identità. Ti rendi conto, fonte mia? .. Diventerai famosa e girerai il mondo, solo che ... -

:- Clof clof... ghghgh ... Solo che? .. cloffete cloch ... -

suscitava bolle d'aria nella lente d'acqua della conca, la fontana pareva prendere fiato mentre spruzzava una timida richiesta di spiegazione.

:- Solo che non scorrerai più libera ... - continuava l'uomo, gli occhi socchiusi sulla visione della propria prigionia in quel luogo chiamato "Pensionato" - Non più libera e, come una donna di malaffare, pretenderai d'essere pagata. Pochi spiccioli magari, ma ... -

Pareva voler fuggire, la fontana tracimava dall'orlo della conca con la violenza del fiotto rinforzato. Le nevi, lassù, si stavano sciogliendo e il sole estivo ingrossava il flusso della fonte, lo turbinava d'un'acqua lattescente. Turbinavano le memorie del vecchio della montagna che, ascoltando una voce d'acqua, sentiva dolente sciogliersi il grumo dei ricordi che il tempo aveva concrezionato attorno alle tappe della vita come ad esempio quella d'un tavolaccio tarlato imbandito d'ogni ben di Dio.

La boccia trasparente si posava dietro la porta, il vetro arabescato dalle trine del merletto che si poneva come un pallio d'altare e il pezzo di pane, quello del forno del giorno prima, il più fresco, il più fragrante, che tutte le donne del borgo avevano impastato e cotto, lo si baciava deponendolo sullo stesso lino con un affiato di preghiera. E la comunione, prima del pasto di carne, era il pezzo di pane intinto nell'acqua perché san Cristoforo, passava col Bambino sulle spalle nel giorno della festa e non era bene ad un bimbo santo dare da bere del vino, bussava alla porta col pastorale d'avellano chiedendo la limosina della fame e della sete.

:- Clof clof...- tossì la fonte interrompendo le memorie del vecchio

- ... clof... gggrrrggg ... Sì, giorni di festa, la festa del santo patrono ... cIofffete cIoc ... ma anche di tristezze ... guuurggg ...-

Già, le tristezze!... La più grande, il dolore!...

Ecco, pensava il vecchio sollecitato da una mestizia della fonte alta che s'era messa di colpo a stillare piano, il fiotto frenato come da un intoppo, l'acqua che gocciolava ora mesta come uno stillicidio di lacrime dalle ciglia.

Perciò non voleva andare via da quel borgo alpestre, perciò l'uomo sentiva una stretta al cuore perché era come buttare i ricordi, abbandonare per sempre gli affetti vissuti tra quelle case di sassi.

Di sasso il corpo della moglie, gelido come la pietra della fonte, composto sul letto monumentale che era stato gravato dai riposi degli anni, dai parti, dalle febbri, dalle non voglie dei figli piccoli. La moglie morta da ormai così tanti anni da aver le felci del sottobosco cancellato il sentiero che inerpicava fino al piccolo cimitero come se, proprio a lui, avessero inteso suggerire che non avrebbe avuto la fortuna di percorrere quello stesso percorso con i piedi in avanti.

Un dolore grande così che, però, nella distanza del tempo, quell'ultimo tempo che stava vivendo, quasi spariva innanzi al dispiacere dell'abbandono che gli si prospettava.

Andarsene via da quel luogo era come morire ancor vivo, vedersela e sentirsela nelle carni la Morte ...

Eccolo, giungeva infine chi l'avrebbe accompagnato per l'ultimo viaggio, s'annunciava con un rombo di motore che rinforzava e attutiva su per i tornanti della stradina che portava al borgo. Il vecchio tentò invano di riaccendere la pipa, la mano gli tremava, e cercò la delicatezza nei confronti del figlio che veniva a prenderlo d'una posa sciolta, di noncuranza come se nessun pensiero lo turbasse.

Soltanto il tempo di dire "Addio ... " con una stretta di mano tuffata veloce nella conca d'acqua e la replica del saluto della fonte che, forse per dimostrare anch'essa un'allegrezza che non aveva, s'era messa a zampillare gagliarda.

:- Ciao, pa', ti trovo bene ... -

il ragazzo era saltato a terra e, braccia allargate, abbracciava frettolosamente il vecchio.

:- Ciao, figlio mio ... -

aveva replicato l'uomo salendo in macchina e, sbattere di portiere, motore che riavviava, dietro la tesa del cappello uno sguardo di sfuggita alla fonte.

Il cannello di carpino s'era seccato di colpo, la fonte alta aveva smesso di fiottare…  

 

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 Fortuna che lì, sotto la finestra della sua stanza nel pensionato, chioccolava una fontana. Una fontana moderna, però, di quelle vanitose che nel vascone avevano i pesci rossi e le ninfee, tutta zampilli intermittenti ed un crosciare confuso di gocciole che il vecchio faticava a comprendere. E poi quel cartello ingiurioso come si trattasse d'una fontana malata: " Acqua non potabile" ...

Ma non importava ...

Importava che durante il giorno, quando il vecchio andava a sedersi sulla panchina nel parco, gli zampilli gli dessero l'impressione, anche se non ci capiva niente di tutto quel farnetico di crosci, di riprendere un dialogo antico con la sua fonte alta. Importava che durante la notte, il sonno ristava sul soffitto della camera a contare il ticchettio laido delle mosche punti nato sulla tempera, nelle orecchie del vecchio spiovesse quell'inganno d'acqua che lo faceva riandare con la memoria alle pietre del borgo, al bosco, al piccolo cimitero lassù, al monte ...

Questo importava e il riaffacciarsi del sole su un nuovo giorno di tenace vita ...

Tenace era l'aspetto dell'assistente entrata nella stanza senza bussare e recante un vassoio con i generi della prima colazione. Una tenacia del volto dai tratti marcati che dicevano dell'abitudine ad una lavoro accettato solo per dovere.

Trafficava, la donna, accomodava sul tavolino nell'angolo la tazza del latte, il piattino con le fette biscottate, la bottiglia dell'acqua, le quotidiane pastiglie per la cura dell'ipertensione, il giornale ben ripiegato.

Il vecchio guardava di sottecchi, il naso urtato da un acre sentore di nafta e l’udito fastidiosamente colpito dal rombare d’un mezzo meccanico che s’avvicinava sotto la sua finestra e che soverchiava il crosciare della fontana. Smarrì, chiese apprensivo sollevato sul guanciale a mezzo del letto:

- Ma che succede? Cos’è questo fracasso? Che accade?...-

:- Ah, la ruspa…- fece laconica l’inserviente -…Niente, niente… E’ che debbono ampliare il parcheggio e perciò spianano il mascone della fontana. Una bella colata di cemento e via, il gioco è fatto!...-

Tutta mattina quel ruggito d’escavatore, tutta mattina quel triturare di macerie che il vecchio ascoltava inebetito, gli occhi allucinati sul frantumo delle memorie che parevano rovinargli innanzi, sasso dopo sasso demolito il borgo della sua anima.

Quasi a mezzogiorno l’uomo levò stancamente dal giaciglio e, fattosi al tavolino, spiegò il giornale, lo sguardo subito attratto da un trafiletto che recitava:

“S’inaugura oggi la galleria ferroviaria in località Monte… che tante polemiche suscitò a suo tempo per il dissesto idrogeologico provocato causando l’improvvisa scomparsa di fiumi e torrenti. Le autorità..”

Non ebbe più la forza di continuare a leggere e, stappata la bottiglia, al bicchiere d’acqua versata chiese il conforto d’un sorso di memoria ritrovata.

Rallegrò d’improvviso, quasi gioì ma, letta l’etichetta che recitava “Acqua minerale Fonte Alta”, bevendo rattristò oltremodo al fiotto amaro della sua fontana imprigionata…