- La strada parte larga, poi si perde dietro
una curva. In primo piano c’è una casa. La finestra sprigiona il
caldo di una zuppa. Forse c’è qualcuno che attende. I muri della
casa nascondono una piccola chiesa, da cui emerge un campanile dal
tetto a punta.
- Dondola la campana. Dondolano i pensieri.
Si sta bene quando sai che il tuo Signore ti ascolta.
- Sebbene la casa sia grande, sembra
sprofondare nella neve, pare posata su di una nuvola bianca.
- Non c’è paura. Non c’è freddo. Tutto è
calmo, quieto.
- Le orme di due persone oscurano la strada
bianca. Piccoli punti neri che si amalgamano a quel colore. Se
qualcuno guardasse più attentamente, noterebbe che sono una donna
che tiene per mano una bambina. Chissà dove andranno? Forse verso
la chiesa. Forse più lontano.
- Il bianco è il colore predominante. Eppure
la vista è attirata dall’immane montagna che si staglia nitida a
coprire l’orizzonte. Le rocce abbracciano lo sguardo. Limitano la
voglia di andare. Tengono chiuso in una sicurezza familiare chi
avrebbe voglia di partire. Su nei pendii blu cobalto si sfuma la
materia delle cose. Tutto diventa un lungo sussurro di preghiera
verso quel Dio che ci protegge dalla cima più alta.
-
- Il quadro è ancora appeso sulla parete.
Nessuno ha avuto il coraggio di spostarlo. E’ contornato da una
cornice bianca, per mescolare il paesaggio con il colore del muro.
L’ha dipinto mia madre, quando la giovane fermezza del pennello
dava consistenza alle sue emozioni.
- Bianco su bianco. Neve nella neve. Una
finestra, uno squarcio. E lì, nel mezzo lei: la montagna.
- Mia madre l’ha fatto appendere su quella
parete, quando il letto era la sua unica casa. Voleva fosse messo
davanti ai suoi occhi e diceva: “Mi sento più sicura. La montagna,
lo so, mi proteggerà sempre.”.
- La venerazione verso quel massiccio l’aveva
accompagnata fin da bambina. La sua casa di pietra volgeva lo
sguardo verso la roccia. Da là ogni giorno sorgeva la sua alba.
- L’unico soggetto che lei rappresentava
da ogni punto di vista era quella montagna. Non aveva potuto
portarsela via quando l’aveva abbandonata per lavorare in città,
così si era creata una pinacoteca di montagne. Non uno, ma cento
quadri, tanto che le pareti non avevano più spazio per
contenerli.
- Per quella tela però lei aveva riposto un
affetto particolare.
- Le emozioni forti si ripetono una volta
sola.
- Quel quadro lei l’aveva terminato il giorno
stesso in cui le erano venute le doglie ed io ero nata.
- Da quella lacerazione che non è dolore, mi
aveva stretto tra le sue braccia. Quel giorno fuori nevicava ed
anche nel quadro la neve aveva sommerso la lunga strada. Così mi
chiamò Bianca.
- Mi portai dentro il cuore un pezzo di
montagna anch’io. In questo colore che contiene tutte le tinte, io
mi sento viva.
- Troppo presto la mia mamma era rimasta
vedova. Troppo presto si era messa pantaloni e scarponi per
camminare e lasciare la sua orma sulla pietra antica.
- Quando la vedevo prendere il lungo bastone,
le chiedevo sempre dove saremo andate, anche se sapevo già la sua
risposta.
- “Si va a trovare tuo padre.”.
- Per quel giovane padre che non ho mai
conosciuto e che non sapeva della mia esistenza, io nascondevo la
fatica in un fazzoletto, in cui avevo riposto un piccolo panino di
miele e formaggio e nascondevo il sudore in una giacca diventata
stretta.
- Seguivo con la testa china il passo ritmato
della mia mamma. Musica a percussione che batteva sotto la suola
spessa dello scarpone.
- “Quanto ci manca, mamma?”.
- “Siamo arrivati. Dietro la curva c’è il
papà che ci aspetta!”.
- Quante salite, quante curve per arrivare ad
una lapide di pietra!
- Mio padre aveva voluto scalare la parete.
Si era issato per una via che conosceva bene. Aveva messo un piede
su di un costone, che aveva ceduto e si era staccato. Il suo volo
di falco si era infranto in un burrone.
- Si erano calati gli amici nella ricerca di
quei miseri resti, ma invano.
- “Il tuo papà amava troppo la montagna per
separarsene. Lei l’ha voluto con sé per sempre.”.
- “Mamma la montagna è cattiva. Lei ha
portato via il mio papà.”.
- “No! La montagna è buona. Per il troppo
amore che aveva per lei, lui ha perso la sua vita. L’amore
profondo ha radici che stanno nel centro del cuore. Se tu ami la
montagna, sai già che sarà un amore incondizionato. Sarà per
sempre! Lui volle perdersi tra le sue braccia. Più forte di quello
di una moglie. Più profondo di quello di una figlia ancora chiusa
nel buio di un ventre.”.
- Ci arrampicavamo poi fin sulla vetta. La
croce di ferro graffiata da numerose scritte rappresentava il
segno che tanti uomini erano passati di là.
- Mia madre si metteva in ginocchio e
pregava. A voce alta, anche se c’era qualcuno con noi, lei
pregava.
- “Buon Dio dell’orizzonte stai vicino a me
ed alla mia bambina. Non far crescere l’erba dell’indifferenza nei
nostri animi, ma accendi la lampada della fede che ci indichi la
strada per andare avanti.”.
- Così quel luogo diventava chiesa. Un altare
all’aperto, dove le cime si perdevano nella foschia di aliti sacri
ed eterni. E lì ogni volta succedeva il miracolo.
- Altre persone, vedendo mia madre, si
inginocchiavano e pregavano. Nessuno osava deridere questo
semplice gesto, profondo. Alla fine, come se ci si conoscesse
tutti, ci si abbracciava. Tutto aveva un senso. Non esistevano più
i colori. Tutto era bianco come la neve.
-
- Mia madre avrebbe voluto stare in quel
paese per sempre, perché era l’unica realtà che la potesse capire.
Cominciò però a vedere le cose in modo diverso, dato che io stavo
crescendo.
- Un giorno mi disse che si doveva partire.
Lasciare il paese. Io dovevo studiare e lì non c’erano scuole.
Così mettemmo nella valigia i nostri progetti, poca
biancheria, tante speranze e partimmo.
-
- Nella nuova città mia madre a poco, a poco
si scolorì. La sua carnagione rosea lasciò il posto a tele
bianche.
- Con i pennelli cercava di rigenerare i
colori che si ricordava della sua montagna. Gli anni passavano e
le tinte erano diventate sbiadite, come se i ricordi si
offuscassero nella mente.
- “Mamma, vuoi che andiamo a trovare papa?
Vuoi?”.
- “Domani andremo. Domani…”.
- Lei mi rispondeva, ma quel domani non
arrivò mai.
- Sembrava che dai suoi quadri avesse
ritrovato il surrogato di una felicità perduta. Ogni tanto mi
diceva che sentiva il profumo del muschio, dell’erba appena
tagliata… Non mi ero accorta che a poco, a poco si spegneva.
- Fu un giorno di neve che lei, guardando
il quadro ed indicandomi le due figure, mi disse: “Vedi quella è
la tua mamma che da la mano alla sua cara Bianca. Vieni. Stammi
vicina. Abbiamo già fatto il primo tornante. Ridono i sassi sotto
i piedi. Battono una canzone gli scarponi.
- Quel giorno tuo padre era davanti a me. Mi
sorrideva e mi diceva.
- “Forza. Coraggio. Un altro passo, ancora.
Vedrai amore come sarà bello! Tu mi guarderai che scalo la
parete. La roccia è dura come la pelle di noi montanari, ma
dentro ha una linfa fluida che fa scoprire il nostro cuore.
Picchia il martello il chiodo. Il braccio muscoloso sa che la
montagna non opporrà resistenza. Lei vuole essere scalata. Ti
mette alla prova, ma vuole essere soggiogata dalla tua passione.”.
- Così parlava tuo padre ed io provavo
invidia per quella donna che spesso me lo portava via. Guardavo
la lunga corda gemere tra le mie mani, mentre la figura del mio
uomo si abbracciava a lei. Sentivo il suo respiro ansimare. Madido
di sudore per una ossessione che l’avrebbe un giorno tradito. Se
la sognava anche di notte in incubi d’amore. Si svegliava, sudato
come se avesse provato un orgasmo. Quell’essere l’aveva stregato.
- “Domani –mi diceva- Domani riuscirò a
scalare altre vette. Vie sempre più difficili.”.
- Lui non sapeva che ti avevo già nel ventre.
Lui mi aveva promesso che sarebbe cambiato, quando avesse scoperto
che cosa significasse essere padre. Stavo giorni in attesa del suo
ritorno. Contavo le ore. Bastava una telefonata per farmi
contenta. Poi mi ritornava l’angoscia. Era un’angoscia positiva,
perché quando tornava, lo baciavo, lo abbracciavo, lo tenevo
stretto. E si faceva all’amore. Lui con me era felice. Ritornava
però sempre col pensiero a lei ed io mi sentivo esclusa.
- “Ho deciso di andare con i miei compagni.
Si vorrebbe scalare il monte….”.
- E mi sussurrava il nome di un monte nuovo.
In ogni nome diverso ci vedevo sempre lei. Lei che me lo portava
via.
- “Perché non stai qui con me? Non ti basto
io?”.
- Lui mi sorrideva, mi dava un bacio lungo,
ma partiva.
- Io mi sentivo svilita. Non ero all’altezza
di quella passione ardente, così lo lasciavo partire sempre. Per
questo amore, odio avevo rabbia di non avere unghie sufficienti
per graffiare la mia avversaria.
- Provo ancora il senso di colpa, per non
essere stata presente quel giorno. Non ero là a tendere la corda.
Quando la roccia ha ceduto, lui si è sfracellato nell’abisso e si
è trovato solo. E potevo esserci, perché quella volta era così
vicino! Lui ha aperto le braccia in un volo, ma le ali dell’amore
non l’hanno salvato.
- Lei non mi ha ridato nemmeno il suo corpo.
L’ha tenuto stretto nel suo ventre, incuneato nell’asprezza della
sua seduzione eterna.
- Quanto l’ho odiata! Si era portata via il
mio giovane sposo ed a me non era rimasto niente.
- I suoi compagni, vendendo la mia
sofferenza, hanno scolpito la lapide sulla roccia. Risvegliando
però in me il momento della caduta ogni volta che gli portavo un
fiore.
- Poi ho capito che lei aveva ceduto. Lei mi
aveva fatto un dono. Da quella morte uno spiraglio si era aperto.
- Lei non è così crudele, perché mi ha
regalato te.
- Per una muta intesa lei aveva barattato il
mio uomo per un figlio tutto mio, da non condividere con nessuno.
Da custodire, da crescere per insegnargli le insidie, ma anche le
bellezze che lei nasconde.”.
- “Mamma, non ti sforzare. Non sei stanca?
Dormi.”.
- “Ormai la stanchezza non ha più senso. Le
mie salite le ho percorse tutte. Io sto in pace. Non ho più voglia
di dormire. Tuo padre mi sta aspettando. E’ dietro l’ultima curva.
Questa volta io ci sarò. Lui non sarà solo e ritornerà ancora mio.
Glielo ho chiesto e lei ha annuito. Nella neve della pace che mi
sta coprendo. In questo lenzuolo bianco in cui affiora solo la mia
testa, come un occhio scuro che guarda il mondo e si confonde tra
realtà, ricordo e sogno.
- Io ho sorriso al suo cenno di assenso. In
quel quadro ho dipinto il suo lungo sì. Là, dove si attenuano i
contorni delle due figure si nota una “esse” sulla strada ed una
“i“ che si arrampica fin sulla vetta. La tua mamma conosce bene la
sua via, anche se è ammantata di neve.
- Scusa se ti ho spronato a vincere la paura
che avevi per lei. Scusa se ti ho convinto a seguirmi, provando
fatica ed inquietudini. Volevo che dimostrassi a lei che tu eri
forte. Forte e desiderosa di conoscerla come tuo padre. Un uomo
che non ti ha mai conosciuta, ma che ti vive dentro. Questo amore
indissolubile, lui l’ha riversato in te. Io l’ho solo risvegliato.
Ho soffiato via le incertezze e tu hai assaporato con me, con lui
il gusto della montagna. Il desiderio che spasima e che si placa
quando raggiungi con fatica la sua aguzza vetta. Una sfida di
possederla e poi di essere accarezzato, di addormentarti in lei.
Lasciami parlare ancora. Sono gli ultimi momenti in cui potrai
toccare il mio corpo. Le mie parole rimarranno. Trattienile nel
cuore.
- Nelle sere limpide, in cui l’anima dondola
nell’amaca di un tramonto tra le cime. Là io ci sarò.
- Nei verdi alpeggi dove il profumo dell’erba
tagliata rimescola le essenze della vita. Là io ci sarò.”.
- Mia madre ebbe un sussulto. Mi guardò negli
occhi e mi sussurrò ancora.
- “Lì nel bosco dei tuoi pensieri rivedo
lei, la mia cara montagna. Nella pupilla dei tuoi sogni vedo tuo
padre che ci sorride. Adesso arrivo. Ti ho ritrovato. Vengo.”.
- Fu un lungo soffio di vento che me la portò
via.
-
- Ora nel buio di questa stanza, rischiarata
solo dalla neve guardo le due figure perdersi lontano. Unite, ma
annebbiate dalle mie lacrime.
- Vuoto. Senso di solitudine. Sono sola.
Contornata da quadri inanimati che cercano di
trasmettermi qualcosa.
- Non ho più baci da ricevere, o abbracci
caldi in cui coccolarmi ancora. Sola, avvolta dalle mie incertezze
e da questa neve che non smette, ma incessante fiocca.
- E’ l’anima di mia madre che si sbriciola in
neve?
- E’ l’anima di mio padre che si mescola con
lei?
- Angoscia, paura di non sapere cosa mi
aspetterà.
- Sta la mamma vicina alla sua bambina. Sta
sulla strada nel buio rischiarata solo da una luce gialla. Le due
figure in silenzio camminano, tenendosi per mano. Il passo
ovattato non fa rumore alcuno.
-
- Come una furia che si stacca in valanga,
che cresce e spacca il mio vuoto, preparo la valigia: la montagna
mi aspetta.
- Si ricompone davanti ai miei occhi il
quadro antico.
- Oggi è il tempo del domani mai arrivato.
- Riconosco la casa, l’orto, il cancello.
Tutto è rimasto intatto, come nel ricordo di una bambina.
- Chissà perché tra il cemento ed il traffico
il paesaggio si scompone e cambia.
- Il ricordo della città è già opaco. Qui è
tutto limpido, lucido, netto.
- Prendo lo zaino e comincio il cammino. Con
il capo chino, il passo cadenzato ritrova il camminamento giusto
dei miei pensieri. Dopo la curva, ancora un altro sforzo, arriverò
alla vetta.
- Spesso mi lascio prendere dallo sconforto.
Sento le gambe che tremano ed il respiro diventare pesante.
- “Aiutami montagna! Accoglimi nel tuo
abbraccio!”.
- Dietro la curva c’è la lapide di mio padre.
- Lo chiamo. Gioco con lui. “Papà sono qui.”
E baro. “Come sei forte! Come sei diventata grande!” l’eco mi
risponde.
- Nel burrone scuro esiste solo il buio. Il
falco vola nell’azzurrità del cielo e lo so che non si potrà mai
sfracellare, perché ha troppa fame di celeste per arrendersi e
prediligere il nero.
- Anch’io ho sete di cielo. Mi arrampico
quasi di corsa verso la croce. Mi inginocchio, ma non trovando le
parole che mia madre gridava per fare il grande miracolo,
chiedo:
- “Mamma, papà, dove siete?”.
- La preghiera sale, scorre piano, si fa
sussurro di vento.
- “Non avere
paura, Bianca. Noi siamo qui con te, oltre lo spazio, oltre il
tempo.”.
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