Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale Parole attorno al fuoco XIII edizione - Arcade, 5 gennaio 2008 per un raccolto sul tema: "Genti, soldati e amanti della montagna: storie e problemi di ieri e di oggi" |
SEGNALATO |
PERDERE IL FIGLIO
di Lucia Fornaini Fiorenzuola (Pc) |
" Mia carissima madre, mi hanno trasferito in questa zona che chiamano Montello…" Era avvenuto tutto a guerra finita. Una mattina le era arrivata quella busta color marroncino, un po’ scostata lungo il margine più corto, con l’indirizzo scritto a macchina nel quale apparivano evidenti cancellature e successive correzioni. L’aveva aperta tremante, nonostante ne avesse intuito il contenuto prima ancora di tenerla tra le mani, allorquando il portalettere si era fermato davanti alla sua casa, in quel paesino del Tirolo Austriaco dimenticato da Dio e dal mondo. E dentro, poche cose di scarsissimo valore ma per lei, d’importanza smisurata. Nella busta appiattita, appesa ad uno spago sfilacciato, una medaglietta della cresima di latta stampata, con incise due piccole figure: un vescovo imponente e un piccolo bambino e, sopra, l’occhio triangolare di Dio; un tesserino col nome del suo ragazzo e una foto sbiadita del volto, un po’ annerita, e confusa da tanti timbri sovrapposti, infine alcune paginette di quaderno a lei indirizzate. E mai terminate. " Mia carissima madre…" Un nodo le strozzò la gola e le fece mancare il respiro. Si sentì tremare dalla testa ai piedi e per un attimo temette di cadere a terra. Poi infilò le pagine sotto il grembiule, vicino al cuore ed entrò nella vecchia cucina mentre le lacrime rigavano il suo volto ancor giovane ma già segnato dal dolore e dalla fatica. "Mia carissima madre…mi hanno trasferito in questa zona che chiamano Montello e nonostante mi sia subito reso conto che questa collina è abitata solo da una guerra devastante, desidero tranquillizzarvi perché, per assurdo, qui le mie paure sembrano essersi placate…" La visita precedente l’aveva avuta da un funzionario del Ministero competente per le politiche militari. Lei, povera donna di montagna, non aveva compreso quasi nulla delle sue ridondanti parole fino a che non aveva ripetuto la frase - Morto. Morto da eroe Il 28 di ottobre. Isola dei Morti, ai piedi del Montello -. Morto voleva dire che il suo unico figlio non c’era più, che quel suo ragazzo impaurito che aveva odiato la guerra non sarebbe più tornato a casa perchè proprio la guerra l’aveva distrutto durante una tragica resistenza, in quella terra nemica, così lontana. " Mia cara madre, ci hanno portato in questa collina dal terriccio rosso come il sangue. La stagione autunnale dona agli alberi riflessi caldi come la terra. Purtroppo le bombe colpiscono da ogni parte. Ci nascondiamo negli anfratti del terreno, nelle grotte dove le granate non possono penetrare... Non restate in pena per me, madre cara, sento che tutto questo sta per finire e che presto potrò riabbracciarvi…" Invece, pensò la madre con profonda tristezza, solo la nuda terra aveva abbracciato il suo eroe, accogliendolo tra le fredde zolle, in quel lembo di terra straniera, proprio ai piedi del colle divenuto cimitero di tante giovani vite. "Vorrei che queste righe vi recassero conforto, cara madre, poiché nei giorni scorsi ebbi l’opportunità di vivere un’esperienza incredibile. Con alcuni compagni stavo recandomi in ricognizione tra le boschine di castagni e carpini, quando mi trovai sotto il fuoco nemico. Pieni di terrore e consapevoli che la nostra resistenza non ci avrebbe potuto garantire la salvezza, ci sparpagliammo per sottrarci agli spari. Dopo una corsa disperata tra la boscaglia, giunsi sfinito ad un cascinale di sasso ben più povero delle nostre già povere case. Davanti alla porta, una ragazza immobile. Mi sentii irrimediabilmente perduto e prima di cadere a terra per la stanchezza e la disperazione, alzai lentamente le braccia in segno di resa. E avvenne il miracolo. Quella fanciulla, madre, mi tese una mano perché mi potessi rialzare. Poi mi porse dell’acqua da una brocca perché mi ristorassi. Infine mi disse: - Dai, scanpa via che no i te ciapa. No te me par proprio "schlecht". Te ga i oci celesti de un putèo. - Forse per questo gesto buono comincio a pensare che nessuno diviene nemico dell’altro per sua natura. E odio questa guerra inutile che rende nemiche persone solo perché abitano territori separati da confini…" La madre comprese in quel momento che quando si è colpiti nel profondo da grandi tragedie e il cuore sembra indurito, si può provare qualche fremito d’emozione per le piccole cose inattese, magari per i gesti non previsti che hanno portato conforto, negli ultimi giorni di vita, ad un figlio smarrito nella tragica follia della guerra. Così cominciò a pensare con tenerezza a quella ragazza lontana che aveva dato a suo figlio molto più di un semplice bicchiere d’acqua. E sentì di provare una strana attrazione per quella terra straniera, terra di nemici, che per ultima aveva accolto il suo ragazzo tra castagni e robinie, in anfratti e caverne, dove i canti degli uccelli si mescolavano ai colpi dei moschetti. Fu allora che maturò nel suo cuore il desiderio di recarsi al Montello per ripercorrere i luoghi dove il figlio aveva trascorso i suoi ultimi giorni di vita. Ma la guerra aveva portato tanti cambiamenti e il dopo guerra si era presentato come un tempo di fatiche e privazioni. Il suo sogno di veder realizzati grandi progetti ad opera dell’unico figlio che aveva fatto studiare con enormi sacrifici, era miseramente crollato per un destino crudele e solo la tenacia e l’orgoglio le permisero di tirare avanti con coraggio e dignità. "Mia carissima madre…" Per anni, tutte le sere, prima di dormire, aveva riletto gli ultimi appunti a lei dedicati, fissati a matita sui fogli di quadernetto a righe, oramai sbiaditi dal tempo. Aveva affinato le proprie capacità evocative a tal punto che, attraverso la lettura, le pareva di percepire il suono della voce del figlio, gli intervalli di silenzio, i sospiri d’intercalare, i tremiti di paura. La vecchiaia l’aveva trovata sempre più sola, nella semplice casa tra le montagne che, dopo il secondo conflitto mondiale, anche più cruento del primo, si erano via via spopolate. Era oramai stanca di vivere ma, per poter chiudere in pace i suoi giorni, sentiva di dover esaudire il desiderio maturato nel lontano autunno del 1918: andare al Montello a ripercorrere l’ultimo itinerario del figlio. E fu proprio nell’autunno di quarantanni dopo che chiuse dietro le spalle la porta di casa per iniziare finalmente il viaggio verso la terra veneta. Aveva con sé una valigetta di fibra con poche cose necessarie e, appesa al collo, una bustina di tela con i risparmi accumulati in tutta la vita. Era perfettamente consapevole dei disagi che avrebbe dovuto affrontare lei, vecchia di quasi ottantanni, in stazioncine poco servite, su scomodi treni dalle panche di legno, in ansimanti corriere che s’inerpicavano sbuffando su strade polverose di campagna. E avrebbe dovuto adattarsi a chiedere alloggio in squallide locande, prive dei servizi essenziali. Ma, dura donna di montagna, quasi non aveva avvertito stanchezza lungo il percorso, mentre la distanza dalla meta tanto agognata si riduceva sempre più. E quando alla stazione di Treviso le indicarono la corriera per Crocetta del Montello e comprese di essere quasi arrivata, lacrime di sollievo le scesero copiose lungo le vecchie guance scavate. "Mia carissima madre… oltrepassato un paese dal nome strano di Crocetta, ci fu dato l’ordine di proseguire costeggiando un canale artificiale d’irrigazione. Così iniziammo a vedere l’ampio alveo sassoso e brullo del fiume Piave e mi si strinse il cuore, madre, poiché mi richiamò alla mente l’immagine di un vasto cimitero… Ma non volli lasciarmi intristire da quella vista, preferii risalire una "presa" verso la "dorsale" tra piacevoli tratti di boschi e belle radure di prati che mi ricordarono tanto le nostre montagne.". Scese alla fermata di Crocetta con un’emozione incontenibile. Portò le sue poche cose in un’osteria con alloggio dove l’ospitarono con riluttanza dato il suo accento tedesco, ma non si diede per vinta e si fermò risoluta. E poi iniziò il cammino sulla strana collina di terra rossa. Percorse una ad una tutte le "prese" sterrate che la portarono da parte a parte dell’altura, da quelle più diritte, alle più tortuose, alle più ripide. Si fermò ai margini dei boschi di castagni, tra le betulle e i roveri. Imparò a distinguere i canti degli uccelli stanziali e i voli di quelli di passo. Scoprì colonie di pipistrelli annidate nelle umide grotte e negli anfratti. Percorse tutta la dorsale da Nervesa a Biadene, lentamente, assaporando ogni tratto erboso, scrutando orizzonti aperti verso la valle del Piave e verso le vicine Prealpi, interrotti qua e la da piccoli paesi raccolti attorno ad esili campanili. Poco per giorno la sua ansia si placò: aveva davvero ripercorso l’ultimo cammino del figlio, lasciando in ogni luogo un pezzo di sé. Era come se si fosse liberata poco a poco della dura scorza che la vita le aveva costruito addosso, come se le fosse rimasto solo il cuore, ancora vivo, scoperto come una croce sulla cima del colle. E capì che era giunto il momento di scendere a valle. Il fiume disteso sotto la collina formava isole di ghiaia nelle quali le poche erbe e i radi cespugli erano piegati dal vento. Eccola, finalmente, l’Isola dei Morti! Ora la madre si sentiva profondamente stanca. Si trascinò con fatica accanto ad una piramide di pietre grigie in mezzo all’isola, sormontata da una croce fatta con paletti di reticolato. Erano tutti attorno a lei, ora, i giovani soldati, amici e nemici, fagocitati dalla guerra, accomunati dalla morte. Erano tra quelle pietre, sotto quella terra, appesi a quel filo spinato. E tra i sospiri del vento le parve di sentire la voce del suo ragazzo: " Mia cara madre, stranamente c’è molta pace questa notte d’intorno e spero che questo silenzio mi conceda un sonno ristoratore almeno per qualche ora. All’alba dovremo spingerci al fronte per una durissima lotta col nemico che potrebbe essere risolutiva per l’esito del conflitto. Madre mia carissima, ho come la sensazione di essere a casa, di dormire nel mio letto con voi che vegliate il mio sonno recitando il rosario…" La vecchia madre si chinò a raccogliere un pugno di ghiaia frammista a terra e la strinse tra le mani, ne annusò l’odore, ne assaggiò il sapore. Poi sedette accanto alle pietre e sentì finalmente una gran leggerezza. Sentì che il suo cuore stava sollevandosi dal vecchio corpo e prendeva il volo come un uccello finalmente liberato. Lo percepì per l’ultima volta mentre saliva sempre più in alto, oltre le nuvole, verso l’azzurro più profondo. |