Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XIII edizione - Arcade, 5 gennaio 2008

per un raccolto sul tema:

"Genti, soldati e amanti della montagna:

storie e problemi di ieri e di oggi"

SEGNALATO

LA BAMBOLA CHE RIDE

di Gianfranco Andorno

Genova

Accanto al Campo 41 c’è la radura dedicata ai caduti di tutte le guerre. Ogni arma ha il suo rappresentante plumbeo, immobile. Attori impettiti, piantati lì nell’attesa vana di un sipario che non cadrà mai. Severe sentinelle destinate a montar la guardia al nulla. Eppure obbedienti.

C’è anche il trombettiere bronzeo, dei bersaglieri, bloccato con la gamba a mezz’aria, come per un sortilegio. Sta lì, nella sua corsa interrotta, mentre con le guance gonfie dà fiato ad una improbabile resurrezione.

A ridosso del 64° anniversario di Nikolajewka la commemorazione. Una selva di penne sui cappelli dei convenuti, come se un angelo generoso si fosse strappato le ali. Il tenente Ferrero, arcigno, dettaglia per un poco il gruppo, alla ricerca di commilitoni: invano e lo sa. Fessura gli occhi e respinge il magone. Fiero. Quei pochi rimasti, sopravvissuti alla ritirata di Russia, sono scomparsi, macinati dalle stagioni. Solo quel germoglio di penne, quelle penne che un giorno lo aiuteranno a salire. Nell’impegno dell’ultima scalata.

Sta per iniziare la messa, ed una signora gli si avvicina. E’ sulla sessantina, robusta, con la carnagione avvizzita, intrigata. Forse da lunghi lavori in campagna. "Mi scusi, è il sig. Ferrero?" "Si," ammette a malincuore. Che vuole quella donna, unica tra tutti quegli uomini, e proprio da lui? Non conosce più nessuno, gli anni lo hanno reso estraneo a chi lo circonda. Potrebbe passare attraverso loro… e non se ne accorgerebbero.

"Mi scusi," ripete, "le vorrei chiedere di mio padre… il caporale Pozzi.." Lo scampanellio del chierico e due occhiate di riprovazione vengono in aiuto, a frammentare quell’inquisizione. Quell’insistenza seppure modulata. E nel sollievo della pausa può abbandonarsi ai ricordi. Pozzi….

Era il 17 gennaio del ‘43 alle 12,00: nitide le date, ancor più le immagini. Ecco il motociclista, i mozzi rappresi dal fango, con la consueta busta gialla. Quella che racchiudeva ed impartiva gli ordini. Rompere tutto e partire alle ore 17,00. La prima notte li aveva sorpresi una violenta tormenta. Pernottamento di fortuna per strada, non riuscendo a raggiungere la meta prefissa.

Due giorni dopo erano giunti a Skorobi. Un paesino posto sopra una collinetta, così ripida che le case pareva che stessero per ruzzolare dabbasso. Un muro e sull’orlo le casupole. Al buio precoce nell’isba strapiena, con gli alpini che - ad ogni nuovo entrato - se ne uscivano con la bestemmia di moda, del momento: "Dio maligno!"

Alla sveglia: "i russi, i russi.. " e la confusione di un panico sfrenato. Posizionamento dei cannoncini. A trafficare con lo scovolo che non s’infilava nelle canne riluttanti. E inutile fatica perché i russi non c’erano.

Marcia verso Pastoiari, conquistata da quelli del "Verona" coadiuvati dai tedeschi. A loro, del "Quinto", solo azioni di polizia. Rastrellamento degli sbandati, messa in sicurezza dell’armamento superstite.

E giorno dopo giorno un doloroso infinito rosario da sgranare, di marcia a piedi, combattendo contro quei pupazzi di neve che si animavano all’improvviso. Dovendosi anche inventare il cammino. E quel mattino due possibilità di strada: la pista carrozzabile o una scorciatoia più scoscesa, più faticosa. Ma più breve. Al suo inizio, in una piccola radura, un mucchio di morti. Alpini e tedeschi. Disposti stranamente in cerchio, messi in tondo. A compasso per il perimetro.

Come se qualcuno, un becchino scrupoloso, si fosse divertito a formare quell’orologio senza lancette. Una meridiana monca, senza tempo. Privata delle ore nuove. Forse un colpo di mortaio, maligno come quel Dio bestemmiato.

Lui stava passando quando uno di quei presunti morti aveva alzato un braccio. Si era fermato, mentre gli altri indifferenti procedevano. Noncuranti. E quella sagoma immobile si comprimeva il ventre. E gli intestini facevano un rumore come di carta oleata che sfregava. O meglio: carta vetrata. E gli altri, ignoravano.

Si era chinato: "coraggio, passa una slitta e ti raccoglie," aveva mentito, cercando di credere alla sua stessa menzogna. E guardando invano intorno.

"Signor tenente prenda la piastrina ed il portafoglio e li porti in Italia." "Ma come faccio. Non so se nemmeno se torno a casa. Ci vuole un cappellano," sperando di affidare ad altri quella greve incombenza. "Deve trovare mia moglie e la Lilla," aveva continuato il moribondo. Lilla… aveva pensato ad una cagnetta ma poi aveva capito che era una bambina. La figlia.

Gli aveva calcato un berretto di pelo in testa, coperto il petto. Le slitte cariche di materiale che sopraggiungevano non si fermavano ai suoi cenni impellenti e disperati. Gli occhi, vetri induriti, si appannavano. "Mi può dare la benedizione signor tenente?" e gli aveva stretto la mano. Quasi un’implorazione. "Non chiamarmi signore." Imbarazzato. E poi: "Ego te absolvo dei peccati tui…" borbottando perché non ricordava bene. La mano infagottata era diventata molle.

Gli aveva chiuso gli occhi e sconvolto: "Un cappellano! Ma c’è un cappellano?" Spazientito, adirato. Ed infine ne era sbucato uno. Gli aveva raccontato tutto, come in confessione. Per liberarsi dal gravame del gesto che poteva essere stato blasfemo. Un’eresia.….

Il prete lo aveva rincuorato: aveva fatto bene. E si era infilato tutto nello zainetto. In quel momento il solito grido: - I russi! A scompigliare la massa. Questa volta erano stati gli ungheresi a lanciare l’inutile allarme. E il cappellano era scomparso.

Qualche mese dopo – un miracolo! - era a Milano, per rimettere insieme un nucleo di alpini in un giugno vacuo, evanescente. Anche la Storia, per l’affanno, il turbinare di tutte quelle vicende, sembrava essersi stancata. La parvenza di una tregua. Riprendeva fiato per il prossimo sussulto: il venticinque luglio!

E a lui venne di pensare e ripensare a quella promessa quasi estorta. Si prenda cura di mia moglie e della Lilla, reiterata più volte.

Così, per tacitarla, preso un permesso, si era avviato a quel paesino vicino a Bergamo, passando l’Adda. Con l’auto, un’Ardea mimetica e l’autista. L’esperienza di Russia sembrava avergli appuntato altri gradi, oltre quelli che portava. Specialmente dinanzi alle reclute, rispettose di quell’avventura, i cui risvolti riuscivano appena ad immaginare, occultati com’erano dai Comandi, dai giornali.

Casette unifamiliari schierate dal regime. Nel vialetto una bimba che saltellava. Si era fermata, a scrutare quell’uomo con la barba in divisa. E poi: "mamma, mamma, c’è papà." E gli era corsa incontro.

Appena il tempo di posare lo scatolone che teneva sottobraccio, e la bambina gli si era attaccata al collo. "Papà! Papà!" E lui? imponendosi di celare il turbamento, calmo: "Sono un amico del tuo papà," le aveva spiegato. Cercando di reprimere l’emozione. Più pena per lo sfogo della bambina che per l’agonia del padre.

Dalla casa era uscita una donna, dall’aspetto campagnolo. Dapprima era rimasta impalata ad assistere. Sembrava sicura di sé, ma mentre gli faceva strada verso l’uscio, era scivolata a terra. Forse inciampata nei ricordi.

L’aveva sorretta: "Non è nulla…" E pur essendo stata informata dalle autorità, si era fatta raccontare. Non doveva aver sofferto, l’aveva rassicurata, forse per il freddo. Perché non aveva espresso un lamento. Mentre loro discorrevano, la bambina abbracciava la bambola tirata fuori dallo scatolone.

Erano andati a mangiare in trattoria. Le aveva chiesto di poter ritornare, senza alcun secondo fine. E lei aveva annuito, convinta, guardando la bambina che cullava il giocattolo. Il bambolotto che sbatteva le ciglia, clac clac chiudeva ed apriva gli occhi. "Ma piange!" Infatti, riversandola emetteva quasi un mugghio. E lui ebbe un tremito… rimasti indietro a impegnare il nemico e poi a sganciarsi e c’era un bivio. Quale strada prendere?... raggiungere gli altri, per salvarsi. Ed ecco la massa scura. Ma saranno tedeschi, i nostri o i russi? Comunque, ci si avvicinava e poi il tintinnio rassicurante, la sinfonia familiare dei cucchiai contro la gavette. A dissipare l’incertezza. Ma c’era dell’altro: un sospirare cupo. Non si comprendeva da dove spirasse. Forse lo strascicarsi dei tanti piedi, gli arbusti nei campi, fattisi canne di organo fischiante. O il coro piagnucoloso di tanti bambolotti che si rovesciavano?

No, basta pianti. "La bambola ride," perentorio. " Senti? Ride." Con tono forse spropositato, quasi un ordine.

Ed era ritornato in agosto. Un agosto asfissiante con l’Adda quasi in secca, scrutato dalle vetrate della solita trattoria. Altra bambola festeggiata ma.. alla pietanza la donna, abbassando lo sguardo, gli aveva chiesto di non tornare più. Di cessare questi incontri, un poco vergognosa.

E prima che ne chiedesse motivo aveva indicato con un cenno del capo un signore, seduto poco distante. Che pareva controllarli. Un impiegato del comune, aveva spiegato, che si sarebbe preso cura della Lilla. E nel salutarlo, un addio, con occhi severi, non più avvezzi all’allegria: "La bambola… la bambola ride." A spiegare ancora, a giustificarsi. E gli aveva voltato le spalle, come a tranciare un pezzo del trascorso.

Il domani, con rammarico, ma giustamente, veniva riagguantato dai restanti. Il sopravvento a chi resta, l’altro è fumo che si disperde. Al suo ritorno in città, un po’ amareggiato, aveva trovato la Leibstandarte. Piazza del Duomo occupata dai mezzi corazzati della Lah, i granatieri germanici…

Il vecchio alpino si sforzò di riemergere da quella palude che lo catturava sempre più spesso… In quel momento il coro intonava basso e profondo il canto di Nikolajeka… Ma che ne sapevano di quell’inferno… di quell’angusta porta di uscita. L’inferno puo’ esistere anche in terra! Nikolajewka, o come diavolo si scriveva. La bocca vorace, ingorda, di una creatura mostruosa che si era ingoiata compagni, carriaggi, interi battaglioni come il Morbegno… Una creatura che gli ricordava un’incisione del Dorè, forse, della divina commedia…

Memoria, ma quale memoria… Sì belle pagine nei libri, ma se t’incontrano gli dai fastidio. Perché quelle cose scritte potevano essere irreali, ma tu con i tuoi cassetti inseriti nell’anima dove sono riposti gli eccidi, le stragi… ben conservati. Un cimelio sconvolgente che non serve più. Un testimone scomodo. Perché nei tuoi occhi scorgono quello che hai visto e che rifuggono.

Ormai tutti fratelli, tutti a predicare la pace. Anche il prete nell’omelia sta parlando di pace. Tu il colpevole, l’ultimo colpevole di una maledetta storia da seppellire nei libri... La memoria viene edulcorata e celebrata solo nelle parti più ruffiane. Più accettabili, più digeribili.

Anche lui si era divertito a leggere i tanti libri su quella tragedia, con la speranza che divenisse immaginata. Favoleggiata. Sino a non sapere più se l’accaduto fosse il suo o quello di altri. Su quelle valli di montagna era calata un’ombra profonda, una tenebra che il sole non riusciva a squarciare, a disperdere. Ed era il nero delle donne a lutto che avevano perso gli sposi, i figli, i fratelli… Lo aveva visto al suo ritorno, o lo aveva letto? Non rammentava.

Ora: stringi la mano, stringi la mano fratello. Ma le mie sono ancora fredde. E il focolare si è spento ed è deserto. Sono tutti intorno alla televisione…

"Ho saputo che ha conosciuto mio padre…in Russia… " "Signora mi dispiace, ma non mi sembra..." educato ma secco. "Sono Lilla Pozzi, la figlia." "... Non ricordo… eravamo in tanti…" alzando argini a difesa di possibili commozioni. "Eppure... mia madre mi ha lasciato il suo nome… ma sta piangendo?" "No. Si tratta di allergia," stizzito. "E’ la stagione." E scrollando sempre il capo come a negare a negare, cocciuto, si era allontanato.

Ma sì Lilla, la Lilla forse era una cagnolina smarrita chissà dove, e tutto era stato sognato. In un momento di devastante sconforto. Ed aveva stretto le spalle, imponendosi di non voltarsi. Chissà, a indugiare avrebbe potuto subire la punizione della moglie di Lot. Essere mutato in statua di sale. Una di quelle statue scontornate e chiazzate di rosso, insanguinate, dagli oleandri. Deposte a guardia del cimitero.

Le garitte sono vuote, le trincee deserte: sono rimaste solo quelle figure scolpite ed io, ultimo guerriero malconcio. Ed aveva accelerato il passo.