Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale Parole attorno al fuoco XII edizione - Arcade, 5 gennaio 2007 per un raccolto sul tema: "Genti, soldati e amanti della montagna: storie e problemi di ieri e di oggi" |
Secondo classificato |
IL REGALO DI NATALE
di Roberto Bertani Parma |
Quella notte il sonno non ne voleva proprio sapere di venire e continuava a girarsi nel letto sopraffatta dall’ossessione che le scavava il cervello. Le era capitato altre volte, quando il pensiero del marito lontano, richiamato alle armi per andare a fare la guerra chissà dove, le colmava il cuore di malinconia, ma alla fine la stanchezza accumulata con le fatiche della giornata riusciva a imporsi ed il sonno agognato finalmente giungeva; quella notte invece il pensiero che la tormentava era troppo forte per vincere il desiderio acuto di abbandonarsi finalmente al benefico riposo e continuava a girarsi nel letto cercando di non fare troppo rumore su quel giaciglio malandato per non svegliare i bambini. La cartolina in franchigia era arrivata il giorno prima, quando ormai la speranza svaniva e la disperazione stava superando una sempre più debole ragione: aveva un mese di ritardo. Era stato un grande sollievo e aveva pianto, vergognandosi, persino, di essersi abbandonata a quell’atroce pensiero; ma il problema che aveva creato ora la preoccupava davvero: quel suo uomo che non aveva mai chiesto nulla per sé, ora le chiedeva una maglia di lana. Una maglia di lana! Dove avrebbe potuto trovare, in quei tristi giorni quando persino il cibo scarseggiava e non era facile mettere sul tavolo qualcosa di diverso dal solito formaggio e dalla solita polenta - quelli almeno, grazie a Dio, non mancavano - una quantità di lana sufficiente? Avrebbe potuto chiedere ai vicini, agli amici, ma tutti avevano un figlio, il marito, un congiunto negli alpini; e gli alpini di lassù erano tutti in Russia e la lana l’avevano sicuramente usata, come lei, per fabbricare indumenti prima della loro partenza. E se anche ne avessero avuto ancora non sarebbero certamente stati disposti a cederla. E poi, come pagarla? Faceva freddo in Russia, molto freddo. Lo aveva detto il parroco, alla messa, quella domenica quando era caduta la prima neve: aveva invitato a pregare per i loro cari che erano in Russia perché laggiù faceva molto più freddo di quanto ne facesse lì al paese. Era una cosa difficile da credere a pensarci. Ma forse era vero ed era per questo che le chiedeva una maglia di lana: perché forse faceva davvero molto più freddo di lì, laggiù in Russia; se chiedeva una maglia di lana, oltre quelle che già aveva, doveva proprio essere così. Allora, se davvero era così, doveva accontentarlo. Oh! Una maglia di lana autarchica, di quella porcheria che chiamavano lanital, o qualcosa del genere, pensò, con un po’ di sacrificio avrebbe potuto comprarla già bell’e fatta, ma non voleva mandargli una maglia fatta di robaccia se davvero faceva così freddo laggiù: gli avrebbe mandato una maglia di lana pura, che tenesse caldo, molto caldo e la lana necessaria era ben decisa a trovarla anche se ancora non sapeva dove. Continuava a frugare fra le esigue possibilità alle quali poteva pensare quando un’idea improvvisa le diede un briciolo di speranza; non risolveva che in parte il problema, lo sapeva, ma intanto era un inizio e questo le concesse un po’ di serenità e quando ormai le montagne incominciavano a stagliarsi conto il cielo che già schiariva finalmente si addormentò. Quel maglione che portava da ragazza, di lana grezza semplicemente cardata e filata, lo aveva tenuto per i suoi figli e il più grande, un ragazzotto fatto con lo stesso stampo del padre, era già quasi pronto per usarlo e l’inverno successivo gli sarebbe di sicuro andato a pennello; e rifletteva su come avrebbe provveduto altrimenti mentre osservava il grosso gomitolo che teneva fra le mani che, come aveva immaginato, non le sarebbe in ogni caso bastato: con le due spalle che aveva il suo uomo forse bastava appena per coprirgliele! Pensò a quanto sarebbe stato ridicolo con una maglia così corta da non arrivare a coprirgli la pancia e un mesto sorriso le inarcò un poco le labbra. Fu anche tentata di farla un po’ più sottile, così forse… No! Se laggiù faceva così freddo doveva fare una maglia spessa, e lunga anche, che lo coprisse bene e lo tenesse ben caldo; decise che avrebbe sacrificato il bordo della coperta del letto. Quella coperta, pezzo forte del suo povero corredo di sposa, l’aveva preparata con amore e con trepidazione e con tutta la speranza che quel giovane che la divorava con gli occhi poteva infonderle. La lana, lana buona, di prima qualità, l’aveva fatta comperare giù in città e solo l’astuta complicità di sua madre aveva permesso di nascondere al padre il suo vero valore. Ma ne era occorso del tempo prima che i miseri conti di casa tornassero a quadrare senza bisogno di sotterfugi! Aveva un colore diverso, certo: era verde. Il verde era il suo colore preferito, il colore della speranza, ma ciò le importava poco: avrebbe mescolato i due colori, tanto quella maglia sarebbe rimasta nascosta sotto la camicia. L’importante era che fosse lana buona. E poi il verde… il verde era il colore degli alpini, perbacco! Era soddisfatta. Avrebbe fatto una maglia bellissima, ne era certa: lunga, che coprisse bene i reni e il ventre e calda, molto calda, che proteggesse da quel gran freddo che si diceva facesse in Russia. Ora che aveva finalmente risolto il problema un altro pensiero le si affacciò alla mente: se la cartolina aveva impiegato un mese ad arrivare, invece della solita settimana o poco più, forse qualcosa era cambiato e il suo pacco probabilmente avrebbe impiegato lo stesso tempo per giungere a destinazione… Ma desiderava che la maglia arrivasse prima di Natale perché voleva che fosse il suo regalo di Natale per quel suo uomo che era a fare la guerra in qualche posto della Russia, in “zona di guerra”. E si chiedeva dove mai potesse essere la zona di guerra in quel Paese sterminato. Si, perché lo sapeva che la Russia era un Paese sterminato; l’aveva chiamato proprio così il prete: sterminato. Il tempo a disposizione era dunque ormai poco e le occupazioni della giornata, con quei due marmocchi sempre aggrappati alla sottana, i due vecchi dai quali non si poteva pretendere troppo perché spesso era più l’aiuto che chiedevano di quello che potevano dare e le bestie da accudire e tutta una casa a cui provvedere non le concedevano certo il tempo da dedicare alla maglia. Allora sferruzzava la notte, affogata nel silenzio della casa addormentata rotto soltanto dal secco crepitare della legna che bruciava nel camino e dal ticchettio sordo degli aghi da maglia, un suono continuo e monotono che le gravava sulle palpebre rese sempre più pesanti da quella stanchezza che si accumulava giorno dopo giorno, notte dopo notte; e le ore di riposo erano sempre troppo poche per poterla vincere. Ma non le importava: più che la stanchezza, che sopportava con rassegnazione e pressoché con gioia, quasi servisse a rendere più lievi le pene che immaginava pesassero sul suo alpino, era la tristezza per la sua lontananza a consumarle il cuore. Alla fine, mancava poco più di un mese a Natale, la maglia era pronta, confezionata con poche altre povere cose in un piccolo pacco e partiva per la “zona di guerra”, un angolo qualsiasi di quel paese sterminato che chiamavano Russia. L’indirizzo lo aveva fatto scrivere al parroco; in stampatello, ben chiaro, perché non andasse perduta, e con il pensiero cercava di seguire ogni giorno il tragitto del suo misero pacco. Piccolo e misero, sì, lo sapeva: ma solo perché l’amore non ha peso e non occupa spazio, perché altrimenti non sarebbe bastato un vagone per trasportarlo. E lo rincorreva ogni giorno col pensiero lungo strade e luoghi che non poteva conoscere ma che la sua mente semplice provava ad immaginare attingendo alle storie sentite raccontare ai filò e assaporava la sorpresa del suo uomo quando avesse ricevuto quel dono e gioiva immaginando la gioia che avrebbe provato. Ed era contenta. Il tempo sarebbe davvero bastato perché arrivasse prima di Natale quel misero pacco, ma le cose laggiù non andavano bene: il fronte, giù a sud, aveva ceduto e il caos aveva incominciato a regnare un po’ dappertutto e l’inoltro della posta era diventato un problema assolutamente marginale, addirittura di nessuna importanza. Nonostante ciò il pacco continuò lentamente ad avanzare verso la linea del Don sino a quando gli eventi lo fermarono, perso nelle retrovie in un angolo di un deposito colmo di altre mille cose delle quali nessuno più si curava e lì giacque sino al giorno in cui il precipitare degli eventi fece sì che si rendesse necessario distruggere tutto quanto non fosse trasportabile prima di ripiegare. Le cariche d’esplosivo fecero scempio di tutte quelle cose ammucchiate in disordine e le fiamme finirono di consumare ciò che non era stato subito distrutto, illuminando la notte e sciogliendo la crosta di ghiaccio qualche metro all’intorno.
Ormai il gelo si era completamente impadronito del suo corpo e, più ancora, della sua volontà. La ferita, non così grave da permettergli di essere caricato su una slitta, gli aveva tuttavia impedito di tenere il passo con i resti della sua compagnia e ora si trovava sballottato in mezzo alla corrente della faticosa marcia di una massa di sbandati sconosciuti, cenciosi come lui e come lui abbrutiti dalla fatica, dal gelo, dal digiuno. Desiderava soltanto fermarsi anche per un solo momento: per non sentire più il peso di quelle gambe diventate di ghiaccio, il fardello di quella fatica terribile che non sapeva nemmeno più da quanto tempo lo torturava, per non sentire più il tormento di quella fame selvaggia che lo divorava e di quella sete resa ancor più atroce da tutta quell’inutile neve che non dissetava. Si arrestò, ormai stremato: sentiva la vita fuggire abbandonando il suo corpo straziato, ma non aveva più nemmeno la forza per trovare un motivo che gli permettesse di continuare a vivere. Stava per lasciarsi cadere nella neve quando l’esplosione che illuminò la notte lo colse come uno schiaffo in pieno viso. Alzò lentamente il capo e fra le ombre che gli passavano accanto vide le fiamme levarsi poco lontano ed ebbe l’illusione di sentirne persino il calore. Allora il desiderio feroce di godere di quel provvidenziale beneficio gli fece trovare ancora un po’ di forza per incamminarsi barcollando verso quel chiarore che sempre più si velava davanti ai suoi occhi. Giaceva in ginocchio nella poltiglia di fango per quel ghiaccio fuso che impregnava il terreno lasciandosi investire dal calore violento dal quale non avrebbe più potuto allontanarsi, le braccia abbandonate lungo il corpo, il capo reclinato sul petto, la bocca spalancata a respirare quell’aria rovente ma benefica, incurante dell’olezzo disgustoso e del fumo che l’ammorbavano. Ora non subiva più il morso del gelo, l’incubo della fame, la stanchezza: ora era seduto nella sua casa, di fronte al camino nel quale la legna scoppiettava spargendo intorno un gradevole tepore mentre il profumo della resina bruciata si mescolava ai mille altri che impregnavano la stanza. Vicino a lui la sua donna sferruzzava in silenzio alla luce del lume a petrolio, come aveva immaginato mille volte, durante le gelide notti sul Don, mentre aspettava la maglia di lana che aveva chiesto con la cartolina in franchigia.
Fu un cappellano che mentre tutto quel ben di Dio finiva di consumarsi e il fango già incominciava a gelare, scorse, debolmente illuminata dagli ultimi bagliori del rogo, una figura inginocchiata... |