Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

X edizione - Arcade, 5 gennaio 2005

per un raccolto sul tema:

"Genti, soldati e amanti della montagna:

storie e problemi di ieri e di oggi"

SEGNALATO

L'AMANTE

 

di Francesca Piovesan

Mestre (VE)

Quando ci siamo conosciuti sapevo che c'era. Mi ha giurato che io contavo più di tutto, che stavo al primo posto. Ci ho creduto. Ci siamo sposati. Non mi ci è voluto molto a capire che il nostro era, a tutti gli effetti, un matrimonio a tre: io, lui e lei.

Non negava, ammetteva, ma ci collocava su piani diversi, in una convivenza che riteneva non solo possibile, ma proficua. E invece mi indispettiva ogni giorno di più.

Non devono forse, due persone che si amano, concedersi anima e corpo? E tra i due, non è forse più importante l'anima? Che me ne faccio del corpo se l'anima è altrove, appartiene ad un'altra, a qualcos'altro?  E la sua anima non mi apparteneva. Se pure fisicamente c'era, la sua mente vagava altrove. Metterlo alle strette - o me o lei - sarebbe stato come dirgli: smetti di respirare, perché io sono il tuo ossigeno. Ma sapevo di non esserlo. Per sua esplicita ammissione non poteva vivere senza di me, non poteva vivere senza di lei.

Ero in trappola, in un vicolo cieco senza via d'uscita.

Una volta mi propose di uscire tutti insieme, io lui e lei. Mi pareva troppo.

Eppure capivo che, in quella occasione, avrei potuto giocarmi tutte le mie carte.

Una mattina, all'alba, un paio di pedule ai piedi del letto, un caffè sorseggiato in fretta, con entrambe le mani attorno alla tazzina, per raccogliere un po' di tepore e poi… via, lungo le strade semideserte della pianura, con i semafori ancora lampeggianti, con l'auto che sfreccia veloce alla ricerca della prima altura e si inerpica sui primi tornanti. Lo zaino non è molto pesante, per una escursione giornaliera. L'aria pungente del mattino spinge a sciogliere gli arti intorpiditi dal viaggio.

Eccola, era lì davanti la mia rivale. Cos'ha che io non ho?

Me la presentò senza tanti preamboli. Solo, stringendosi i lacci degli scarponi, mi indicò una cima con una croce.

E va bene, che si iniziasse questo confronto. Io dovevo dirgliene quattro. Mi ero preparata i miei argomenti che le avrei sciorinato con dovizia di particolari da lì alla vetta. Ho cominciato con grinta, aggredendo il sentiero. Ma non era l'inizio giusto. Lei mi osservava con pietosa indulgenza. I passi lenti, cadenzati, uno dietro l'altro, uno dietro l'altro, senza fretta e sempre regolari, per non perdere il fiato, ti costringono ad abbandonare il ritmo frenetico a cui ti abitua la vita cittadina.

E un passo dopo l'altro, un passo dopo l'altro, respiri ogni attimo a pieni polmoni e ritrovi il tempo per pensare. O per non pensare. A scelta. Insomma ritrovi un tempo interiore in cui anima e corpo entrano in simbiosi e si ascoltano a vicenda e ti predispongono all'ascolto. E mai ascolto è più proficuo quando a parlare è il silenzio.

Il silenzio chiaro e fresco di un rado bosco di larici, dai teneri rami verdi.

Il silenzio caldo e faticoso di una distesa di pini mughi.

Il silenzio austero della roccia scolpita dal tempo e dal vento.

Più ti alzi di quota, più ogni cosa acquista la sua dimensione. Più ti elevi, più ti rendi consapevole della tua piccolezza. E lo stupore più grande è quando ti accorgi che pur piccola, la tua mente può abbracciare tutto. Mano a mano che sali, percepisci che non sei soltanto un ammasso di cellule, ma c'è un frammento di assoluto che pulsa in te. E se c'è un frammento, c'è tutto l'assoluto. Ce n'è da ubriacarsi.

Non che i miei argomenti fossero meno convincenti: i sabati trascorsi da sola, mentre lui tenta nuove imprese; le sere a guardare la TV, mentre lui studia le carte e i sentieri, come se da quei libri e da quelle riviste sprigionassero panorami meravigliosi nei meandri della mente (sì, perché prima di tutto questa passione è un fatto di testa); le telefonate misteriose col cellulare… al Bollettino di Arabba per essere sempre aggiornato sulle condizioni meteorologiche. E al mattino, al nostro risveglio, mi confessa di aver dormito saporitamente e di aver fatto un sogno bellissimo: un'escursione che lo portava, attraverso un bosco di maggiociondoli, in una cima ancora inesplorata, lui solo con i camosci.

Gliele rinfacciavo tutte, queste e altre ancora, a lei, ma non era così facile.

Mi aspettavo una maga Circe, affascinante ammaliatrice e mi trovavo davanti, invece, una figura senza età e senza tempo, che parlava una lingua da iniziati, al solo scopo di farti ritrovare te stesso.

Avevo ancora molto da imparare, ne presi lentamente consapevolezza. E anche lui aveva sicuramente da imparare. Solo che aveva già imboccato una strada che avvertiva, con netta precisione, essere quella giusta per lui.

Non pretendeva, no, di farmi innamorare. La passione nasce da sé e non si può indurre. Il suo percorso non doveva essere necessariamente il mio. Forse lei non avrebbe mai potuto essere per me quello che significava per lui, ma avrei potuto almeno cercar di capire…

La mia gelosia si trasformò, pian piano, in invidia. Riconoscevo in questo suo amore, una risorsa a cui attingere, un elemento equilibratore, talvolta una via di fuga, o piuttosto un angolo di luce ineffabile, uno spazio che nessuno avrebbe potuto violare, una ricchezza impagabile…

La roccia dal basso sembra così ostile, impraticabile, mentre poi ti offre appigli sicuri se ti fai guidare con pazienza, se ti sei fatto educare alla sua disciplina severa ed esigente, che ammette solo una preparazione accurata per offrirti poi le emozioni più intense. Mente, anima e corpo tesi in armonico impegno verso l'obiettivo finale.

Manca poco, ancora qualche passo e la croce è raggiunta.

La visione a trecentosessanta gradi è superba: lei si staglia in tutta la sua poderosa e ineguagliabile bellezza. Guglie e torrioni, rocce possenti eppure leggiadre, su piani diversi, grigie, rosa, gialle, disegnano le loro sagome sul foglio azzurro del cielo, variegato da nubi candide e spumose che si rincorrono veloci, imbrigliandosi sulle cime…

La dimensione dilatata dell'amore. Non esiste più lo spazio, né il tempo, ma soltanto una pienezza dell'esistere. Un'armonia che ti circonda e ti penetra, ti coinvolge e non serve più altro, perché ciò che c'è basta a se stesso. Riuscivo appena ad intuire cosa significasse tutto ciò. Lui ha voluto provare a condividere con me questa esperienza totalizzante.

La mia invidia si trasformò, pian piano, in ammirazione. E in tenerezza. E in amore, per una conquista di fatica, sacrificio e grande rispetto di quanto ci è dato gratuitamente e di cui tutti possono fruire, ma solo pochi riescono a trasformare in risorsa, in ricchezza. Dall'alto di quella vetta mi ha mostrato tutto ciò che aveva: materialmente nulla. In realtà, tutto. E io, che ci stavo a fare? Io facevo parte di quel tutto.