Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale
Parole attorno al fuoco
IX edizione - Arcade, 4 gennaio 2004
per un raccolto sul tema:
"Genti, soldati e amanti della montagna:
storie e problemi di ieri e di oggi"
Premio speciale
"TROFEO CAV. UGO BETTIOL"
ALINA
di Claudio Gargioli
Roma
Unica presenza quel ronzio e quell’odore acre che gli colpivano, in ordine, le orecchie e le narici.
La stanza era in penombra, tranquilla, solo quel rumore ininterrotto e continuo… lo infastidiva, lo angosciava.
Da quanto tempo era là? Per quanto tempo aveva dormito?
Non capiva, non riusciva a capire, o meglio, non ricordava… non ricordava quasi niente.
Perché quel posto? E perché quell’odore?… Non era un odore a lui noto… Era acre, di medicinale, disinfettante… forse.
Cercò di girarsi.
Non poté.
Era bloccato sul letto. Non legato, per carità… Era bloccato da fili e tubicini, che gli uscivano dalle braccia, dallo stomaco, da… chissà dove.
Voltò lo sguardo verso la sua destra.
Un monitor, luci verdastre che saltellavano aritmicamente.
Era il suo cuore?
Era da qua che proveniva quel brusio sottile?
Preferì non indagare.
Cominciò ad avvertire un dolore che dalla pancia si faceva strada velocemente e perfidamente, verso la testa.
Si mise paura.
Il suo sguardo cercò di individuarne la causa.
Forse i tubicini pensò.
Cercò di sfilarli. Cercò di raggiungerli con le mani. Cercò…
Niente!
Le sue mani, le sue braccia, si erano ammutinate al cervello. Non gli ubbidirono.
Una sorta di disperazione cominciò a riempirgli l’animo… l’anima…
Sì!… L’anima!
Ma chi era? Si chiese!… Chi era e… perché giaceva lì?
Cercò di ricordare.
Strano ma, da quando aveva preso coscienza di sé… Non si era ancora chiesto il perché si trovasse là?
E… e… ben più grave… non ricordava chi fosse?
Iniziò a scavare nella memoria… lentamente, piano, piano e… immagini, da prima sfocate e poi, con sempre maggiore nitidezza, cominciarono a formarsi davanti ai suoi occhi.
Vide un antro buio!
Tremò terrorizzato!…
Ne scacciò dietro il pensiero e trasformò quel nero in un verde.
Il verde di un bosco, di una giacca… la sua giacca.
Ne guardò, in quella specie di sogno, le maniche, i bottoni dorati e... la riconobbe.
Era una divisa. La sua divisa. La sua divisa d’alpino.
Si emozionò, sentì inumidirsi gli occhi, ma non se ne preoccupò.
La mente, focalizzata quella prima immagine, cominciò a propinargliene altre, a volontà sempre più rapidamente. Luoghi, volti, nomi ed immagini, gli apparivano e se ne andavano veloci, veloci, veloci…
Un alpino!
Era un alpino! Brigata Taurinese distaccata… distaccata?…. No!… Non sulle Alpi… Le sue Alpi... Distaccata a Bagram, nel lontano Afganistan, per combattere una guerra, per difendere il mondo dal fanatismo…. Dai terroristi d’Al Qaeda… dai talebani.
Un dolore, vicino al petto lo fece gemere… ebbe paura, gli fece perdere il filo dei pensieri.
Sudore freddo gli colò dalla fronte e un senso di nausea, bruttissimo, lo riportò rapidamente in quel suo, sempre più evidente, letto d’ospedale.
Provò a chiedere aiuto, ma la sua voce era un niente e così rinunciò.
Cercò di tranquillizzarsi…Cercò di dominare il suo respiro che si era fatto rapido, affamato… Cercò aria, aria, aria….
Aria pura, come quella... del Carso. Cercò proprio quell’aria… che lo aveva fatto innamorare della montagna, si rivide bambino con suo padre… il cappello, la piuma…
Suo padre… “l’alpino!”
Era là che aveva giurato a se stesso di diventare come lui: un alpino, là, sul Carso … quando aveva quattro anni.
Il dolore si era calmato. I ricordi si fecero più recenti.
Enduring freedom! Il nome della missione.
Dovevano aiutare i profughi, povera gente impaurita, affamata, a sopravvivere.
Non tutti volevano il loro aiuto.
Alcuni erano cattivi.
Maschi rozzi, plagiati da una propaganda religiosa fanatica, crudele, assoluta, lontana da noi, senza scampo.
Talebani dalle nere barbe e dagli occhi come tizzoni d’inferno. Neri… Paurosi.
Ma lui non ne aveva paura.
La paura può essere fatale e, quelli come lui, erano addestrati per non averla, o meglio, per dominarla.
Gli ritornarono davanti i campi profughi.
Erano fornaci dagli odori pungenti e violenza per tutto: per mangiare, bere, per gli spazi vitali.
Donne coperte dal burka che non emettevano suoni, senza età o fisicità…. Pezzi di lurida stoffa viventi che si aggiravano disperate alla ricerca di cibo ed acqua per i loro vecchi per i loro bambini.
Quei bambini magri, seminudi, sporchi, feriti, violentati dalla guerra e dalla storia, con quegli occhi grandi… grandi… grandi…
Dio com’erano grandi quegli occhi! E… ti supplicavano… ti supplic… Che pena… che pena.
Ogni tanto la Morte aveva pietà di loro e ne rapiva uno.
Lo trovavi là, in un angolo, povero derelitto, circondato da altri derelitti come lui ma vivi… piangenti e disperati anche loro, odoranti di morte… La morte… normale compagnia in quei posti.
Dio perché?… Ma... perché?!…
Nuovamente il ronzio, gli riempì le orecchie, sembrava aumentato, era aumentato.
Un’ombra si accostò al suo letto.
Due occhi, dietro occhiali enormi, lo scrutarono da vicino.
Avvertì armeggiare intorno a se, il rumore si fece più lieve… le palpebre gli si fecero pesanti e serrarono nuovamente i ricordi dentro la sua testa.
Un sorriso lo scosse da quel torpore.
Era quello di una bimba.
Il cervello, prontamente la mise a fuoco.
Era piccola, i suoi occhi erano verde smeraldo, da felino… Quelli di una tigre.
Quasi brillavano all’interno della caverna.
Occhi… sì… come quelli della Gianna. La sua Gianna, la sua morosa…
Era per lei che aveva accettato la missione.
Quasi il doppio dello stipendio! La casa… quella bella. Il loro sogno… Sposarsi!
- Appena torno! – sussurrò – Appena torno!…
Gli occhi! Sì!… gli occhi!
Tornò a ricordare…
Era una ricognizione…. una cosa delicata forse, pericolosa.
C’erano delle grotte situate a nord del campo. Dovevano essere verificate.
Si diceva che, ormai, i talebani le avessero abbandonate ma, da qualche tempo, gli osservatori avevano notato una certa attività.
Andarono là con un camion, erano armati, una decina non di più.
Vecchi compagni, tutti amici.
Lui li comandava.
Il sole era cocente.
La sabbia finissima si infilava, perfida, attraverso le maniche ed il collo delle giacche procurando pruriti e disagio.
Il camion si arrestò al limitare della salita.
Le grotte, buchi neri aperti sul deserto sottostante, erano situate un centinaio di metri più in alto.
Balzarono giù dal mezzo e affardellati com’erano iniziarono cauti a salire.
Il silenzio era rotto soltanto dalle raffiche del vento che soffiava caldo ed avvolgente.
Sudore aspro, colava dalle fronti negli occhi, era fastidioso e non dava tregua.
Il ricordo adesso si faceva sempre più vivo. Forse dormiva. Forse sognava. Si ritrovò di nuovo là e sapeva con sicurezza che tra pochi minuti avrebbe rivisto quegli occhi…. quegli occhi…
Arrivò rapido su l’angusto spazio di fronte alla prima grotta.
Si fermò guardingo e sbirciò i compagni dietro di lui. Li sentì arrivare silenziosi. Uno sguardo d’intesa e rapidamente, in tre, si avvicinarono a quel buco nero.
Nessun segno di vita.
Solo silenzio.
Guardò dentro ed aspettò che gli occhi si abituassero alla penombra.
No! Non c’era nessuno.
Fece segno ai compagni ed entrò.
La grotta era assolutamente vuota, non c’era niente che facesse minimamente pensare che poteva essere stata occupata in tempi recenti. Liquame di pipistrelli in terra, ma niente di più. Odore ristagnante, schifoso.
Uscì in fretta e quasi immediatamente provò quella sensazione.
Si sentì osservato.
Si voltò di scatto e spianò l’arma istintivamente.
Due occhi…. di bimba… una decina di metri più in alto lo stavano squadrando.
Avrà avuto quattro, cinque anni… era impaurita… impaurita…
Piangeva, silenziosamente, senza emettere alcun rumore…
Stava lentamente camminando verso di loro… ma era sull’orlo del dirupo, non sul sentiero… sarebbe caduta.
Cominciò a correre per raggiungerla ed intanto che si avvicinava a lei, la riconobbe.
Era la figlia “dell’Occidentale”, di quella donna che non indossava il burka.
“L’Occidentale”, com’era soprannominata, che tranquilla si aggirava per il campo, senza paura, come fosse una di loro.
Arrivò ansante a pochi metri dalla piccola e, riversa davanti all’ingresso della nuova grotta, vide la madre morta.
Un filo di sangue le colava dalla bocca.
Una pozza rossa le inzuppava il collo.
Gli occhi sbarrati dalla paura.
Era stata sgozzata.
La bimba, vedendolo, si spaventò e corse a nascondersi nella grotta.
Stava per seguirla, ma la prudenza lo bloccò.
Aspettò i compagni e, sempre tenendo d’occhio l’apertura della caverna, poco dopo, li sentì arrivare alle sue spalle.
Li sentì arrestarsi ansanti, sorpresi, dalla visione della donna.
Qualcuno imprecò tra i denti!
Un altro bestemmiò contro il Dio degli infedeli!
- E’ l’Occidentale! – gridò uno
- Dio… Che le hanno fatto! –
Gli fece segno di stare zitti e stringendo con vigore il mitra, gli indicò la grotta.
Come prima, in tre si avvicinarono all’ingresso.
Era veramente un buco nero.
Dall’interno si sentiva la bambina piagnucolare.
Il suo cuore era combattuto tra l’agire e l’aspettare.
Si agitò nel letto.
Gli sembrava proprio di essere là.
Era là… maledizione!…. che angoscia… Agire… aspettare!
La sentiva piangere…. povera bimba… e si voltò nuovamente a guardare la madre… dio che morte atroce…!
L’assassino doveva essere ancora dentro… o forse no! Forse era già fuggito… La piccola non sarebbe scappata dentro la grotta, se lui era ancora là…
Guardò il compagno più vicino, il suo volto era inespressivo.
I suoi occhi si rituffarono nel buio di quell’antro.
Tutti i suoi sensi erano tesi a percepire qualcosa: un rumore, un movimento, una presenza… Agire… Aspettare…
Sole, sudore, vento caldo, puzza di sangue…
Come si chiamava la bimba? Maledizione… come la chiamavano per il campo… Come la chiamavano?!
- Alina! – sussurrò – Alina! –
Ed eccoli finalmente quegli occhi color smeraldo affacciarsi alla luce del sole.
Brillavano intensi ed umidi di pianto, lo chiamavano, lo cercavano… avevano bisogno di lui…
Come Ulisse attratto dal cantare delle sirene, fu strappato dalla sua posizione…
Malie del cuore… generosità, voglia di fare del bene.
Un calcio alla prudenza.
- Coprimi le spalle! – ordinò al compagno e senza aspettare risposta si precipitò dentro, per portare in salvo quegli occhi.
L’ombra l’avvolse, ci mise qualche secondo a mettere a fuoco la scena.
La bambina era immobile ad un paio di metri da lui.
Povere cose sparse in terra.
Aria stagnante, ma fresca.
Fece per prendere la bimba, ma si accorse che non era sola.
Un derelitto, barbuto, col turbante nero e gli occhi di pece teneva la bambina da dietro e la stringeva forte a se.
Un coltellaccio ricurvo era puntato alla gola della bimba.
Gridava frasi nella sua lingua lontana.
Non lo capiva! Non capiva che gli stava dicendo maledizione! Ma non aveva dubbi…
Stava per uccidere anche la bimba!
Non poteva sparare! Non poteva sparare…. Dio! Dio!…
Si gettò su quell’essere un attimo prima che la lama tagliasse la gola della piccola.
Con velocità sorprendente, il talebano, si liberò di quel corpicino urlante e colpì dritto davanti a se.
Una cosa fredda, sottile, gli penetrò nella pancia…
Un dolore acuto gli esplose nel cervello.
Tirò il grilletto, la raffica partì pronta… ma andò a vuoto…
Un altro fendente lo fece inginocchiare.
Attorno a se, il buio si riempì di gente, erano i suoi compagni che, urlando rabbiosi, con il calcio dei mitra colpivano ripetutamente quell’assassino.
Cercò disperatamente Alina… era in terra, riversa, sembrava dormisse….
- Nooo! – gridò disperato.
Cercò allora di avvicinarsi a lei.
Cercò di toccarla.
Si rivide le sue mani annaspare nel vuoto.
Si rivide le sue mani lorde del suo sangue.
Tutto divenne buio…
Stava tremando nel letto e cominciò a piangere.
Ora tutto era tornato chiaro.
Tutto era atrocemente chiaro.
Così si accorse di piangere per la bimba.
Di piangere per se stesso.
Di piangere per la sua vita e per le vite di tutti i suoi compagni.
Di piangere perché era giusto piangere in quel momento.
Si sentì scuotere per un braccio.
Aprì gli occhi.
Quegli stessi occhiali di prima lo stavano nuovamente scrutando.
Riemerse dal passato.
Risentì il ronzio, vide un volto amico dietro quegli occhiali…
Era il suo colonnello che gli sorrideva.
- La bimba?! – fu la prima cosa che chiese
L’ufficiale abbassò gli occhi e non rispose.
Avrebbe voluto urlare per la rabbia… ma non lo fece.
- L’uomo è stato arrestato – disse il colonnello - L’ha fatto perché, secondo la loro religione, la donna andava punita… li disonorava… non portava il burka e…. si univa agli infedeli. –
- Ma la bimba no! – quasi gridò, agitandosi.
- La bimba era la figlia… Sarebbe diventata come la madre... – gli rispose serio.
- Allora è stato tutto inutile…. - sussurrò
- Un gesto d’amore non è mai inutile !… Alpino! Tu sei un eroe! … Bravo! – gli disse il colonnello poi, si mise sull’attenti, lo salutò impettito e, voltati i tacchi, uscì dalla stanza.
Era tornato il silenzio e con lui il ronzio che adesso sembrava più lontano…
Pensò un attimo a quegli occhi, li vide davanti a se, un’ultima volta… poi… con un sorriso tornò a casa sua, alla sua Gianna, alla sua terra, alle sue montagne.
Dio come era lontano tutto!
Non se ne preoccupò.
Stava guarendo.
Il peggio era alle spalle.
Presto, molto presto, l’alpino, sarebbe tornato a casa.