Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

 

Premio letterario nazionale

Parole intorno al fuoco

VIII edizione - Arcade, 5 gennaio 2003

per un raccolto sul tema:

"Genti, soldati e amanti della montagna:

storie e problemi di ieri e di oggi"

 

Segnalato

 

NINO... NINO...!!

 

di Glauco Schoch

Padova

 

La guerra era finita. Anche su quelle alte montagne del Trentino era cessato il fragore degli scoppi ed i camosci, un po' alla volta, erano riapparsi sulle crode delle cime più impervie.

Berto, l'incorreggibile bracconiere della vallata, quel 15 agosto anziché partecipare alla tradizionale festa paesana, aveva preferito partire di buon mattino per appostarsi lungo il sentiero tracciato dagli alpini appena sotto il crinale della Forcella Nuda, nei pressi della Busa Fonda. Aveva visto qualche giorno prima un camoscio arrampicarsi fra quelle rocce.

Attese a lungo, senza fortuna, e poi, imprecando contro un temporale che si avvicinava tuonando dai monti all'orizzonte, decise di scendere al piano attraverso il Passo della Mula.

Poco sotto il crinale c'erano dei gradoni rocciosi che sostenevano le pietraie alla base delle creste più alte, laterali. Durante la guerra, a ridosso di quei gradoni, gli alpini avevano costruito delle baracche di legno per proteggersi dal freddo e dalle frequenti tempeste di neve.

Berto sostò nei pressi della prima baracca e ad un tratto sentì, o gli parve dì sentire. una voce d'uomo proveniente dalla vicina Forcella Nuda; era un grido ripetuto più volte, insistito: Nino....Ninoo ... Ninoooo! Chi poteva essere a quell'ora in un posto così impervio? Berto ebbe il dubbio dì non aver udito bene, di essersi fatto suggestionare dall'ambiente... forse era il verso di qualche animale o il vento fra le rocce.

Non gli era mai capitata una cosa del genere...

Tese l'orecchio montando su un masso per poter scrutare oltre il gradone, sopra il tetto della baracca. Il grido si ripeté monotono e ben distinto: Nino... Ninoo ... Ninooo! Sembrava più un lamento che un richiamo.

Berto trasecolò incredulo. Non c’era nessuno nei paraggi, non poteva esserci alcun uomo così vicino: lo avrebbe visto certamente in quel lungo lasso di tempo trascorso in attesa del camoscio. Ebbe quasi paura. Riprese il cammino scuotendo la testa.

Il grido lo seguì per lungo tratto, sempre più flebile a mano a mano che Berto si allontanava, finché quella voce fu coperta dallo scrosciare di una cascatella.

Berto, nel timore di essere deriso dai paesani, non raccontò a nessuno quanto gli era accaduto lassù alla Forcella Nuda. Un po' alla volta il ricordo si stemperò nel tempo e Berto non pensò più a quell'incredibile episodio. Forse se ne sarebbe dimenticato del tutto se un anno dopo, proprio il 15 di agosto, in paese non fosse giunto un giovanottone dal tratto tipicamente montanaro: barba e baffi biondi con striature rossastre sotto le narici dovuta al fumo di tante sigarette, la pelle abbronzatissima e secca per la lunga esposizione al sole la camicia a quadrettoni gli scarponi grossi e ferrati e, in testa, l’immancabile cappello alpino con la penna.

Berto stava giocando a carte nell'unica osteria del paese; con lui, allo stesso tavolo, c'erano tre suoi paesani che vociavano animatamente rimproverandosi i reciproci errori in una accanita partita a briscola e mettendo a rischio il fiasco di vino posato in un angolo del tavolo.

L'estraneo era entrato nell'osteria, aveva buttato là un “salve” rivolto a tutti e si era avvicinato al bancone ordinando un mezzo litro di rosso. Se ne stava, quasi assente, appoggiato col gomito sinistro sul bancone, tenendo nella mano destra il bicchiere che ogni tanto portava alla bocca; svuotato lo riempiva accuratamente e riprendeva a sorseggiare con lo sguardo nel vuoto.

Dopo una mezz'ora, uno dei tre compagni di Berto, adducendo la giustificazione della moglie indisposta, si alzò per fare ritorno a casa. Fu allora che Berto, per la necessità di trovare il quarto uomo nella partita a briscola, si rivolse all'estraneo:

- Tei, vecio - gli disse Berto - vot far ‘na partìa con noi? L'estraneo, senza rispondere, si mosse lentamente dal bancone, si sedette vicino a Berto, posò rumorosamente il bicchiere vuoto sul tavolo di legno e finalmente fece udire la sua voce:

 - Dai, dame ‘n ombra!

Prontamente uno dei compagni riempi il bicchiere dell'invitato questi alzò il calice esclamando:

- Salute!

- Prosit - risposero quasi in coro gli altri.

Terminati questi preamboli, Berto mescolò le carte, le fece alzare al nuovo venuto e le distribuì lentamente cercando di farlo parlare. Il vino cominciava a fare effetto. Il tizio si lasciò andare a qualche confidenza. Disse che abitava in una vallata poco lontana, che faceva il contadino, che era sposato ed aveva due bambini, che aveva fatto la guerra nel "settimo” alpini, che si chiamava Mariano Tosot - classe 1894.

- Ma tutti quanti i me ciama Nino,- ci tenne a precisare.

- E cossa te sei vegnù a far da ste parte? - incalzò Berto non appena ebbe posato, scoperta. l'ultima carta sotto il mazzo.

Esaurito quel giro, l'ex alpino si decise a spiegare il motivo della sua venuta nel paese di Berto. Raccontò che aveva combattuto su quelle montagne, più esattamente alla Forcella Nuda nei pressi della Busa Fonda. Berto, nel sentire quei precisi riferimenti, impallidì: erano i posti da cui gli era giunto un anno prima quel grido impossibile, prolungato: Nino .... Ninoo....Ninooo!

L'ex alpino descrisse particolareggiatamente le posizioni di allora: gli Austriaci in Val Fusela, al di là del crinale di Forcella Nuda, gli italiani al di qua, in Val Pietrina, con i quattro pezzi di artiglieria da montagna piazzati sotto i gradoni di roccia. Ma per dirigere il fuoco dei cannoni bisognava spingere lo sguardo oltre il crinale, giù nella vallata opposta, e tenere costantemente sotto osservazione quella strada di arroccamento che, con curve ora larghe ed ora strette, si inerpicava sulla montagna nel versante austriaco fino al Passo della Mula.

Ed allora il tenente F.A., di cui l'alpino Mariano Tosot - detto Nino - era attendente, si costruì un piccolo osservatorio nel punto più sporgente del crinale a strapiombo sulla vallata austriaca. Era un osservatorio molto precario, solo un basso muretto di pietre che proteggeva lateralmente il tenente dal tiro di un cecchino appostato negli anfratti di uno sperone roccioso che sovrastava la zona. Un filo telefonico collegava l'osservatorio con la batteria.

Ogni mattina, prima del sorgere del sole, il tenente strisciava dalla trincea fino alla sua minuscola tana e restava per ore e ore steso sotto il livello del muretto, incurante del sole e della pioggia, e rientrava alla sera non appena faceva buio. Un giorno però, sotto un acquazzone tremendo forse nell'intento di sollevarsi un po' dalla pozzanghera che si era formata nell'osservatorio, il tenente smosse inavvertitamente alcune pietre del muretto ed il suo corpo, pur steso a terra, venne a trovarsi parzialmente scoperto. Il cecchino non si fece attendere: risuonarono alcune fucilate, secche, a breve distanza l'una dall'altra, solo il tempo di ricaricare e prendere la mira.

Gli alpini videro i colpi scheggiare il muretto, abbattere qualche pietra ed infine colpire quel bersaglio grigioverde indifeso. Il corpo del tenente ebbe un sussulto e poi si appiattì sul fondo, ma un tremore lo pervase sempre più convulsamente finché un grido giunse alla trincea, un richiamo, una richiesta di aiuto al suo attendente: Nino... Ninoo ... Nino...!

E Nino, all'osteria, adesso raccontava quel triste avvenimento, gli sembrava di riviverlo, scuoteva negativamente la testa e ogni tanto, con gesto tipico della mano destra, scacciava quell'ingrato ricordo. E insisteva nel dire che lui avrebbe voluto uscire dalla trincea per soccorrere il "suo" tenente ma che il sergente glielo aveva impedito trattenendolo a viva forza.

Quel 15 agosto 1917 Nino non riuscì a staccare gli occhi dall'ufficiale agonizzante, il cui grido si spense solo dopo alcune ore strazianti. Gli alpini attesero il calar della sera per portarsi dal tenente; ne constatarono la morte e ne coprirono il corpo con le pietre del minuscolo osservatorio e con le poche zolle di terra che riuscirono a strappare dai bordi della Busa Fonda. Nino pose su quel tumulo una piantina di garofanini rossi spuntata miracolosamente fra le rocce e promise al suo tenente che sarebbe tornato a prenderlo a guerra finita. Due lagrime gli rigavano il volto buono da bambinone.

 - Mi ghe ‘olea ben al me tenente - continuava a ripetere Nino rivolto a Berto e compagni, portando la sua manona destra al cuore in segno di affetto e di attestazione di verità.

 - Mi no’ ‘olea abandonarlo!

Nino voleva convincere chi lo ascoltava. Chissà quante volte aveva proclamato con forza le sue buone intenzioni! Certo, nessuno ne dubitava ma ugualmente Nino sentiva un senso di colpa che lo spingeva ogni anno a tornare il 15 agosto alla Forcella Nuda.

Finita la partita a briscola, Nino si alzò, ringraziò, batté la mano sulla spalla di Berto, uscì e si incamminò deciso verso la Val Pietrina. Berto lo seguì a distanza per non esser visto. Percorsi circa tre chilometri, Nino abbandonò la carrareccia e si inerpicò su per una mulattiera che, serpeggiando fra muchi e rocce, adduceva alla Forcella Nuda. Di tanto in tanto si chinava a raccogliere qualche fiore selvatico. Giunse alle piazzole della batteria, arrivò ai gradoni con le baracche, si fermò alla trincea, si fermò alla trincea, si appoggiò al  parapetto guardando verso il cumulo sotto il quale giaceva ancora il corpo del suo tenente.

In quel momento risuonò alto il richiamo: Nino.... Ninoo... Ninooo! ... Lo udì distintamente anche Berto che, sempre di nascosto, si era portato nei pressi della Busa Fonda. Ma allora il grido era vero, pensò, non era stata una sua impressione quel grido che già aveva udito un anno prim!

Berto osservava l'ex alpino Nino Tosot - classe 1894 - che con cura rimetteva in ordine le pietre del tumulo, raddrizzava la piccola croce di legno e infilava in una fessura ai piedi della croce il mazzolino di fiori che aveva raccolto.

Berto lasciò che Nino riprendesse la via del ritorno e si allontanasse abbastanza. Poi girò attorno alla Busa Fonda, si portò vicino al tumulo, percorse tutto il crinale, scese fra i gradoni sempre tendendo l'orecchio per sentire quella invocazione che tanto lo aveva impressionato. Ma l'invocazione non si ripeté: lo spirito del tenente aveva ritrovato la sua pace per quel 15 agosto, grazie all'affettuosa presenza del suo attendente.

Berto non disse niente in paese ma per tre anni ancora tornò solitario alla Forcella Nuda il 15 agosto e sempre udì il richiamo. Però non ne parlò in paese, volle conservare il segreto. Finché un giorno fece di nuovo la sua comparsa in osteria Nino. Non era solo. C'erano con lui altri ex alpini del "settimo" agli ordini di un Capitano del Commissariato Onoranze Caduti.

Il gruppo salì alla Forcella Nuda, seguito da Berto, recuperò i resti del tenente F.A. e diede loro sepoltura nel Cimitero di guerra di fondo valle.

Alla mesta officiatura funebre in Chiesa presenziò anche Berto, il bracconiere. E la gente, conoscendone il carattere poco cerimonioso sussurrava: "Come mai gh'è anca Berto?"