Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso |
Premio letterario nazionale
Parole intorno al fuoco
VIII edizione - Arcade, 5 gennaio 2003
per un raccolto sul tema:
"Genti, soldati e amanti della montagna:
storie e problemi di ieri e di oggi"
Secondo classificato
UN VIOLINO E LA STORIA
di Iosetta Mazzari
Vigonza (PD)
I libri di storia non ne parlano, ma è successo.
E' successo in una terra avara, che stentava a nutrire i suoi figli e tanti hanno dovuto cercare il pane lontano, fermandosi per mesi, anche per anni in un paese straniero. Poi tornavano. Forse perché il profilo dei monti gli si incideva nel cuore e riempiva le notti di nostalgia, forse perché gli affetti parlavano friulano e l'anima non può restare muta, o forse perché solo la fontana che ha rinfrescato le tue corse di bimbo può dissetare i tuoi sogni di vecchio.
Rocco era cresciuto lì, in Carnia, alternando penna e calamaio con il sano lavoro dei campi, grato alla fatica che gli permetteva di mettere a tavola la polenta e il formaggio, grato alla vita che gli aveva dato braccia robuste e cuore allegro. Aveva la mascella forte e i capelli pettinati alla mascagna, lucidi di brillantina; fin da giovanissimo, se sorrideva, gli venivano delle piccole pieghe ai lati degli occhi e l'espressione si addolciva fino a farlo sembrare bello. Proprio per esprimere l'allegria che aveva nel cuore aveva voluto suonare il violino, prima attraverso le lezioni balorde di un compaesano, poi avvicinando altri suonatori e imparando qualcosa da ognuno. Così il padre, emigrante in Francia, alla prima occasione gli portò in regalo un vecchio violino acquistato da un rigattiere, sicuro di farlo felice. Rocco si esercitava con più impegno che talento, alternando la musica ad altre passioni, come è giusto che sia quando si è ragazzini, ma senza trascurare mai il suo strumento. Anzi, fu forse per un eccesso di confidenza che, portandolo a tracolla senza custodia, scivolò sulla neve e, cadendo, lo rovinò irreparabilmente. Intanto era venuta la guerra, i cosacchi si erano alleati ai tedeschi e avevano ricevuto, in cambio dei loro aiuto, una nuova terra dove abitare. Nelle loro carte militari la Carnia era già stata ribattezzata Cosacchistan. Così vennero i cosacchi, con la ragione del più forte: ogni casa doveva ospitare una famiglia straniera, in ogni stalla entrarono i cavallini della steppa, in ogni focolare si alternava la pentola della "supa" con la caliera della polenta. Non ci furono veri e propri soprusi, almeno non nel paese di Rocco: gli uomini erano a combattere e si vedevano solo durante le licenze, gli invasori erano per lo più donne, vecchi e bambini che, se non fossero stati imposti con la forza, sarebbero ugualmente stati accolti per carità. Nella casa di Rocco prese alloggio una vedova di guerra con due figlie piccole e il vecchio padre, un anziano con gli occhi chiari, cisposi, una buffa pipa ed enormi baffi grigi ... portava con orgoglio il colbacco militare, quindi ai suoi tempi doveva essere stato soldato anche lui. La diffidenza reciproca durò fino a sera: quando il vecchio cosacco tirò fuori dal baule un violino e suonò i valzer viennesi le bambine si misero a ballare, imprecise ma aggraziate, le donne cominciarono a battere il tempo con il piede e lui, Rocco, si avvicinò incantato a studiare il gioco dell'archetto sulle corde. Con il tempo si capì che i cosacchi venivano dalla Russia, dal Caucaso, poiché erano tradizionalmente fedeli allo zar dopo la Rivoluzione d'Ottobre non avevano più avuto vita facile. Il vecchio era stato ferito tre volte (mostrava volentieri le cicatrici), l'ultima volta a Mosca, nel 1917. Non ci fu verso invece di capire da dove venisse il violino, da quanto tempo appartenesse a loro, se lo avessero acquistato o se fosse bottino di guerra, solo si capiva che il vecchio c'era molto affezionato: faceva notare a Rocco il colore ambrato della vernice e il taglio perfetto dei legno, che a guardarlo pareva ondeggiato ma a toccarlo era perfettamente liscio; faceva sentire come il suono potesse diventare caldo e avvolgente odorato e squillante, quasi che lo strumento adattasse la voce alla situazione; e spiegò, sì, questo Rocco lo aveva capito bene, spiegò che proprio la capacità di cambiare voce rendeva speciale quello strumento, lo rendeva capace di portare a galla i sentimenti più intimi, era perfino in grado di far innamorare i giovani che lo ascoltavano.
Dopo pochi mesi i cosacchi se ne andarono, sul più bello che avevano trovato un embrione di vocabolario comune, proprio quando avevano imparato a conoscersi e, spesso, ad apprezzarsi, le sorti della guerra cambiarono e in fretta, nel giro di quarantott'ore, in un giorno gelido di pioggia e vento, i cosacchi caricarono i carri e si misero un'altra volta in strada. Fuggivano dalla Carnia e non sapevano per andare dove. I vecchi, che ne avevano viste troppe, insieme alla speranza lasciarono ad ogni famiglia che li aveva ospitati qualche piccolo dono. Al sacrestano donarono un'icona della Madonna davanti alla quale la vecchia cosacca e la vecchia italiana avevano pregato insieme, ognuna per il proprio figlio al fronte. Il falegname ebbe un colbacco da ufficiale che aveva visto la battaglia di Tannenberg, nel 1915; venne posto in una mensola, accanto al cappello con la penna nera, quello che il nonno indossava sul Piave, nel '18. Rocco ebbe il violino, il vecchio glielo mise in mano con delicatezza e poi carezzò lo strumento, quasi ad accomiatarsi da un caro amico. E la storia, quella che i libri si incaponiscono a non raccontare, sa che quei cosacchi sono finiti male, traditi e venduti. Rocco si era fatto attento e trattava il violino con riguardo, lo riponeva con cura, lo maneggiava con entusiasmo, lo suonava con competenza crescente. Nei primi anni dei dopoguerra, quando la frugalità tipica delle sue montagne era diventata miseria, anche Rocco cercò di sopravvivere arrangiandosi con qualche lavoretto. Ebbe l'idea di integrare le magre entrate proponendosi come suonatore di violino alle feste paesane; almeno quella, la voglia di far festa, non mancava. Bella idea. Peccato che l'avessero avuta in molti e ogni borgata poteva improvvisare un'orchestrina con fisarmonica, violino, chitarra, ... Come convincere gli organizzatori a chiamare lui invece che altri? Suonare meglio dei concorrenti non serviva, la gente voleva divertirsi e non era tanto pignola se capitava una stonatura. Abbassare i prezzi? Ma meno di così...
"Il mio violino fa innamorare - spiegava Rocco - è una sua particolarità, se un giovanotto ascolta la musica del mio violino assieme ad una ragazza che gli piace, e soprattutto se ballano insieme, si innamoreranno l'uno dell'altra e sarà un grande amore". Era convinto di quanto diceva, per questo gli era facile convincere. Un paio di fidanzamenti ufficiali diedero spessore alle sue parole. Lo avvicinavano prima di iniziare il ballo: "Quella, la vedi? Quando ballo con lei è il momento giusto.".
E durante la polka, al momento giusto, Rocco annunciava a voce alta "Toni dedica questo brano a Maria!".
Maria diventava rossa, Toni gonfiava il petto, le comari si mettevano a parlare fitto, l'allegria aumentava. Gli affari andavano bene. Un giorno Rocco vide una ragazza che pareva un bosco in primavera, irradiava voglia di vivere, giocava tra i raggi del sole, rideva come l'acqua quando salta tra i sassi.
"Rocco dedica questo brano a Silvia" gridò, ma non successe niente.
Ci riprovò dopo un paio di sere, chiese alla ragazza di stargli vicino mentre suonava, ma non successe niente. Certo, Silvia era stata educata e gentile, non lo trattava male, ma decisamente non si innamorava di lui. Stupido violino che sapeva far innamorare chi ascoltava la sua voce e faceva patire le pene d'inferno a chi lo curava! Rocco non avrebbe accettato di far felici gli altri a prezzo della sua felicità, al diavolo anche il violino!. Voleva romperlo, lo avrebbe fatto di sicuro, sbattendolo a terra, se un amico d'infanzia non fosse passato di là proprio nel mezzo della notte.
"Lo voglio spezzare."
"E' un peccato. Perché?"
Non voleva raccontare della delusione con la ragazza.
"Non mi serve più, farò il manovale in Francia,mica si può suonare con i calli alle mani."
"E' così bello! Perché romperlo? Lascialo a casa."
"Andrebbe sciupato..."
"Allora dallo a me."
Il violino cosacco, quello con la voce come un'aurora d'amore, finì in casa di Michele, un giovanotto buono e leale ma che non sarebbe stato in grado di suonare neppure un fischietto, e rimase muto, passando dall'armadio allo scaffale, dallo scaffale alla soffitta, dimenticato in una vecchia custodia di stoffa pesante. Rocco tornò al paese dopo più di vent'anni, un intero mese di ferie da passare nella vecchia casa, dove ora viveva la sorella, con tutto il tempo per salutare gli amici rimasti e piangere quelli scomparsi. Portava ancora i capelli pettinati alla mascagna, ma ora erano grigi, e le rughe attorno agli occhi si erano moltiplicate, chissà se per gli anni o i tanti sorrisi. Portò un violino, uno strumento di serie, da pochi soldi, con cui riusciva a divertirsi e a far divertire. Tutte le sere si trovava con gli amici all'osteria e non si faceva pregare per improvvisare una polka.
"L’anno scorso è tornato Mario, dal Canada, con tutta la famiglia, aveva una fisarmonica con i tasti di madreperla, se ci fossi stato anche tu..."
"Ti ricordi di quel carnevale che Mario suonò vestito da donna?"
"Ti ricordi di Carlo che aveva salvato la tromba durante la ritirata del Don?" "Ti ricordi di suo fratello Filippo e della Pina? Si innamorarono con il tuo violino, ora hanno sette figli e stanno per diventare nonni."
E qualche sera dopo, mentre il tramonto inteneriva il paesaggio, Rocco fu circondato da un gruppo di amici. Avevano l'aspetto misterioso e felice di chi sta portando una bella notizia e, con solenne semplicità, gli consegnarono il violino cosacco. Era senza corde, anche il crine dell'archetto era scomparso, il manico era sinistramente bucato dai tarli e la custodia, beh, la custodia sembrava uno straccio usato nel motore di un camion, ma chi badava all'astuccio? Michele aveva rivisto con immenso piacere Rocco, aveva parlato a casa, con i figli, delle ragazzate combinate insieme e, sull'onda dei ricordi, aveva ripescato anche il vecchio violino dimenticato in soffitta, sotto i sacchi a pelo dei ragazzi. Era sicuro che gli avrebbe fatto piacere riaverlo, ma non immaginava quanto. Rocco accarezzò la curva della cassa, come un vecchio soldato aveva fatto tanti anni prima. Gli occhi umidi esprimevano una gratitudine che le parole non riuscivano a spiegare. Per fortuna qualcuno fece comparire della grappa fatta in casa e la commozione si stemperò nell'allegria delle villotte. Il violino, naturalmente, seguì Rocco in Francia. Poi la storia incise una pagina su pietre e mattoni: il terremoto dei 6 maggio, mezzo Friuli messo in ginocchio. Anche il paese di Rocco fu colpito. Rocco sarebbe forse rimasto lontano altri vent'anni, ma dovette tornare per sincerarsi delle condizioni della sorella e per i cento documenti che servivano anche solo per cominciare a pensare alla ricostruzione. Chissà perché portò con sé il violino cosacco? Lo aveva fatto restaurare ed era tornato perfetto, il suono spaziava in ogni angolo del sentimento, cantava la malinconia e la serenità, ma ancora una volta dava il meglio quando cantava l'amore. Gli chiedevano di suonare tutte le sere, attorno al fuoco, Dietro alla tendopoli.
Al violino piaceva il fuoco, lo si capiva da come vibrava ogni sera, quando Rocco lo toglieva amorevolmente dalla custodia: vibrava per raccontare il dolore della casa distrutta, la paura di ogni nuova scossa, lo sconforto della stanchezza, i calore della solidarietà. Qualcuno ascoltandolo piangeva, e tutti fingevano di creder che fosse colpa del fumo; qualcuno si prendeva per mano; qualcuno trovava anche il coraggio di ballare.
Fin che Rocco rimase in paese il violino fu la colonna sonora delle emozioni forti.
Ho saputo la storia del violino cosacco da mio marito: un giorno i bambini gli hanno chiesto come è riuscito a farmi innamorare e lui ha spiegato come mi scaldò le mani una sera, attorno al falò, mentre Rocco suonava.
Io non sono portata per la musica e sono sicura di non aver ballato, non lo faccio mai, sostengo quindi che il violino non può avermi influenzata, ma ogni volta che lo ripeto mio marito e i miei ragazzi si scambiano uno sguardo complice, d’intesa.
Ho capito che a loro piace pensare che ci sia qualcosa di magico nel nostro amore e io glielo lascio credere. Però mi chiedo perché ogni sera, quando i ragazzi che dormono, sento nel cuore un concerto di violini.