Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

 

Premio letterario nazionale "Parole intorno al fuoco"

VII edizione - 28 ottobre 2001

80° Anniversario della Sezione di Treviso

 

Segnalato

 

FORSE E' SOLO UNA CANZONE

 

di Roberto Fioraso

Piazza Urnberto I°, 22

36040 SAREGO (VI)

C'è un villaggio sulle nostre montagne e, appena un po' fuori dell'abitato, una bella casa con grande stalla e piccolo caseificio annesso: solida aziendina agro-alimentare con produzione di formaggi di qualità destinati alle mense dei buongustai. Una sera d'autunno piove a dirotto sul villaggio e sulla casa dentro la quale Toni, il padrone di tutto, sua moglie e i suoi due figli, un maschio e una femmina, hanno appena finito di cenare. La mamma riordina, mentre il papà e i figlioli guardicchiano la televisione. Il fuoco scoppietta nel caminetto e c'è un caldo buono. 1 ragazzi, che hanno undici/dodici anni, cominciano a ciondolare il capo per il sonno. Toni si alza, va alla finestra, guarda fuori.

- Prima di mattina sarà neve - dice e torna a sedersi davanti alla televisione.

Suona il campanello del cancelletto che dà sulla strada.

- Chi può essere a quest'ora? - chiede Marisa rivolta al marito.

- Aspetti qualcuno?

- Io no, eh! - risponde questi, alzandosi e avvicinandosi alla finestra per guardare fuori - C'è uno, imbacuccato sotto la pioggia, anzi comincia a nevicare.

Va al citofono che è nell'ingresso e chiede:

- Chi è?

- Sono io, Ulisse. - risponde una voce da fuori.

- Ah, sei tu! ma dove vai a quest'ora e con questo tempo? Dai, entra. - e schiaccia i pulsanti che fanno aprire il cancello e la porta di casa, mentre grida alla moglie e ai figli in cucina:

- E’ Ulisse!

Poco dopo si presenta sulla soglia un vecchio imbacuccato in un ampio mantello, con in testa un cappellaccio a larghe falde, entrambi grondanti d'acqua. Arriva Marisa:

- Dammi il tabarro e il cappello - dice rivolta al nuovo venuto - che li porto in bagno altrimenti mi allaghi tutta la casa. Ma guarda se hai sentimento ad andare in giro con questo tempo. Sei bagnato anche sotto?

- No, no. Il tabarro è di quelli di una volta e non passa neanche una goccia d'acqua. Piuttosto, posso togliermi le scarpe?

- Certo e dalle qua che le mettiamo vicino al fuoco. E dopo, quando saranno ben sgocciolati, metteremo vicino al fuoco anche tabarro e cappello. Toni dai un paio delle tue ciabatte a Ulisse.

Dopo pochi minuti sono tutti in cucina. Ai ragazzi l'arrivo improvviso ha fatto passare il sonno. Marisa, senza parlare, prepara una pezzetto di tavola, alla quale, pure in silenzio, Ulisse si siede mentre gli vengono messi davanti una scodella di latte caldo, pane, formaggio, salame, peperoni sott'aceto, vino.

- Se arrivavi un poco prima cenavi con noi, ora di pronto non ho altro. - dice con un certo rammarico la donna.

- Anche troppo, anche troppo. - risponde Ulisse con la bocca già piena.

- E stanotte dormi qui naturalmente. - interviene Toni. - Lo sai che un posto per te c'è sempre.

Non è la prima volta infatti che il vecchio si ferma a casa di Toni e Marisa.

- Ah, voi siete come i montanari di una volta: il povero, il viandante e l'ospite vi sono sacri. - conclude Ulisse con quel po' di retorica che gli piace ostentare, e continua a mangiare.

Ulisse è un vecchio alto e ancora robusto nonostante gli anni, che nessuno sa quanti siano ma sono certamente tanti. Porta una lunga barba e lunghi capelli bianchi. Nei villaggi della montagna tutti lo conoscono solo come Ulisse, nessuno sa nulla di lui, tutti lo considerano un po' fuori di testa ed egli gira a piedi per case e paesi chiedendo e trovando ospitalità, un po' come accadeva per poveri e matti, mendicanti e girovaghi, del passato. Ogni tanto scompare per periodi anche abbastanza lunghi senza che nessuno sappia dove vada a finire, e c'è sempre qualcuno che sparge la notizia che sia morto, ma poi egli ricompare vivo e arzillo più di prima. Non ha fissa dimora ma qualche assistente sociale delle ULS dei comuni montani che attraversa si è interessata a lui e ha cercato di sistemarlo in una casa di riposo per anziani, ma egli non ne ha voluto sapere e preferisce la strada e le intemperie e l'ospitalità precaria dei montanari di buon cuore, anche se deve talvolta sopportare qualche angheria e qualche presa in giro. Si adatta a dormire dappertutto: nei fienili e nelle stalle, ma anche su una sedia accanto al camino, nella legnaia e pure in un buon letto quando c'è, come a casa di Toni. Mangia di tutto con solido appetito e se i suoi ospiti lo ascoltano racconta lunghe storie fantastiche di orchi, streghe e gnomi, che nella notte dei tempi popolavano le nostre montagne e inserendovi dotte citazioni che nessuno riesce a capire dove possa averle apprese.

Quando ha finito di mangiare, Ulisse tira fuori dal tascapane, che porta a tracolla e che non si è mai levato, una vecchia pipa annerita, la riempie di tabacco, sta per accenderla ma si ferma e chiede:

- Posso fumare?

- Guarda che Toni ha praticamente smesso di fumare - risponde Marisa - e se proprio vuol farsi una fumatina lo costringiamo ad uscire, vero ragazzi?

- Sì, mamma, - dicono questi - ma per questa sera lascialo fumare qui. Però tu, Ulisse, in cambio ci racconti una bella storia.

- Ma è tardi, dovete andare a letto, domani dovete andare a scuola.

Le suppliche di Jacopo e Giulia, l'intervento a loro favore, e a favore della fumata, di Toni fanno sì che mamma sia costretta a cedere. Ulisse fa sedere tutti accanto a sé, ordina di spegnere la televisione (rumoroso scatolone propinatore di bugie e imbecillità, secondo lui), accende la pipa e comincia.

- Questa sera non vi racconterò una storia di streghe e gnomi, ma vi racconterò una storia vera, la mia storia, che non ho mai raccontato a nessuno. La racconto a voi perché siete sempre tanto buoni con me e non mi prendete mai in giro.

Tanti e tanti anni fa ero giovane, vivevo da solo in una piccola casa, dopo che erano morti i miei genitori, lavoravo instancabilmente nei prati, nei campi, nei boschi, avevo qualche mucca, galline, il maiale, non ero ricco ma neppure povero, non mi mancava niente. Ero il più bel giovanotto del mio paese. La verità bisogna sempre dirla, non è per presunzione, ero proprio il più bello e tutte le ragazze mi guardavano con occhi languidi. Avevo fatto il soldato negli alpini, ero il più bell'alpino del mio reggimento, non scherzo mica sapete! Quando nelle feste mi mettevo il mio cappello con la lunga penna, non c'era ragazza che non mollasse lì il moroso per venire a farmi gli occhi dolci.

- Beh, raccontale un po'meno grosse, Ulisse! - interrompe Toni.

- Ti dico che era proprio così! - dice con vivacità il vecchio, poi più pacato aggiunge - Ma io avevo altro per la testa.

Si ferma, beve d'un fiato un bicchiere di vino poi riprende.

- Conoscete, bambini, quella vecchia canzone di montagna che si chiama La montanara?

- Sì, si. - risponde il ragazzo - C'è nei CD dei canti di montagna del papà e ogni tanto la cantano anche al bar della Màlgari in piazza.

- La montanara ohé, si sente cantare... - intona a mezza voce Toni.

- Ecco, sì, - interrompe Ulisse - e allora sapete che nella seconda strofa si dice: Lassù sui monti, tra i rivi d'argento, una capanna cosparsa di fiori. Era la piccola dolce dimora di Soreghina la figlia del sol. lo da soldato avevo imparato e cantato tante volte La montanara e mi ero innamorato di Soreghina, senza mai averla vista, senza sapere se davvero esistesse. Sapete, o meglio non sapete, che Jaufré Rudel, un trovatore provenzale del medio evo, si innamorò della contessa Melisenda e Sandokan della Perla di Labuan...

- lo Sandokan lo conosco - interrompe il ragazzo - ho letto Le Tìgri di Mompracem!

- Bravo!... allora... Jaufré Rudel e Sandokan si innamorarono di Melisenda e di Marianna senza averle mai viste, ma solo avendone sentito parlare. Ebbene io mi innamorai di Soreghina, la figlia del sol! Ne parlavo con i miei amici, con i miei compaesani e tutti mi prendevano in giro: "Ma va là che sei matto," mi dicevano "la Soreghina non esiste, è solo una canzone." Ma io non trovavo pace e decisi di andarla cercare. E ho cominciato a girare per le montagne, in cerca dei rivi d'argento e della capanna cosparsa di fiori. E un giorno l'ho trovata! Lassù dove le nevi e i prati si confondono, in una valletta inondata di sole, tra bellissimi, veramente rivi d'argento, ho trovato una casetta incantevole davvero cosparsa di fiori, e accanto c'era lei, la Soreghina, la figlia del sole! Come mi ha visto arrivare mi è venuta incontro: "Ti aspettavo" mi ha detto "so che sei innamorato follemente di me e hai sofferto di tutto per arrivare fin qui. Anch'io ti amo e non vedevo l'ora che arrivassi." Potete immaginare la mia gioia. La ragazza era bellissima, dire bellissima è poco, ma non so come altro dire, e in più mi ha detto che mi ama! Mi ha baciato, ci siamo baciati, mi ha portato nella sua bellissima casetta, mi ha fatto mangiare cibi buonissimi...

- Avete fatto l'amore! - interviene improvvisamente Giulia.

Ulisse tossicchia un po' imbarazzato. Mamma interviene, anche lei con un certo imbarazzo:

- Giulia, non essere sfacciata, ma cosa dici!

- I ragazzi d'oggi ne sanno ben più di noi, caro Ulisse. Non è come ai tuoi tempi e nemmeno come ai miei!

- Mamma, papà, Ulisse, lo sappiamo tutti che i bambini non li porta la cicogna e quando due sono innamorati fanno l'amore. - sentenzia Jacopo.

- Sì, va bene, ma bisogna considerare... - cerca di avviare una spiegazione mamma Marisa.

- Ma adesso vai avanti con la storia. - conclude con decisione Jacopo.

Ulisse riprende.

- Bene, ho passato con lei un certo tempo, non so più quanto. Un tempo felicissimo. Lei era davvero la figlia del sole. E non vi dico altro. Un tristissimo giorno Soreghina mi porta in cima ad una montagna altissima, vicino al sole e mi dice con tono molto fermo: "Ulisse, devi tornare alla tua casa, al tuo lavoro, ci dobbiamo lasciare, mio padre, il sole, ha bisogno di me, il nostro stare insieme finisce qui. Non c'è nessuna possibilità, non dire niente, devi partire, ritornare tra i tuoi compaesani. E non raccontare nulla di quanto è accaduto, tanto non ti crederebbero e solo ti prenderebbero in giro. Ma tu sai quanto è grande il nostro amore, ti lascio come ricordo questa goccia di sole." E così dicendo tirò fuori da non so dove una scatolina di legno nero. L’aprì e un fulgore abbagliante si sprigionò. La richiuse e me la diede con un bacio. Mi disse ancora: "Ti ripeto: non raccontare a nessuno il nostro amore; non pensare, se mai ti verrà in mente di raccontare a qualcuno la nostra storia, che questa goccia di sole ti possa servire da prova." La scongiurai di non lasciarmi; le giurai che sarei diventato suo schiavo, se voleva, le dissi che senza di lei non potevo vivere, inutilmente. Gli occhi pieni di lacrime mi impedivano di vedere. Quando mi asciugai le lacrime lei non c'era più. Scesi dalla montagna con l'intenzione di ritornare alla nostra casetta ma non mi fu possibile trovarla. Per giorni vagai per le montagne ma non riuscii più a ritrovare la piccola, dolce dimora. Ritornai al paese. Alle domande dei compaesani su dove fossi stato rispondevo evasivamente. Prima di partire per la mia avventura avevo affidato la mia casa e i miei averi ad un amico. Cercai di riprendere il mio lavoro, la vita di prima ma non ne fui capace. Il mio unico pensiero era Soreghina. Passò qualche tempo. Un giorno alle insistenze di alcuni paesani nel chiederne dove fossi stato per tutto quel tempo cedetti e raccontai la mia avventura amorosa. Col risultato di diventare l'oggetto del loro scherno. "Gran gnocca..." oh, scusate, ci sono i bambini!

- Ma quali bambini - interviene Jacopo - dai, vai avanti!

- Va ben! "Gran gnocca, ah, la Soreghina!" mi canzonavano i miei coetanei, che mi avevano sempre invidiato per il mio successo con le ragazze. Un giorno non potendone più, volli portare la prova che dicevo la verità e tirai fuori la scatolina con la goccia di sole. L’apersi e non successe niente: dentro c'era un pezzetto di metallo, poteva anche essere oro ma poco importava, a forma di goccia. Non emanava nessun fulgore. "L’hai comprata in città dall'orefice o magari è solo ottone lucidato!" sghignazzavano. Lasciai il paese e presi a girovagare per le montagne. Dapprima nel tentativo di ritrovare la casetta di Soreghina, quella mitica piccola, dolce dimora, poi - una volta persa ogni speranza, dopo lungo, inutile cercare - senza scopo, solo per non dover tornare al mio paese, solo per tentare di alleviare il mio tormento, di allontanare il ricordo di lei. So che molti mi prendono per matto, hanno soltanto qualche compassione per un povero vecchio un po' via di testa. E ormai credo anch'io che tutto sia stato solo un sogno, un gran bel sogno, una bella storia d'amore che mi sono inventato.

- Ma è lo stesso una bella storia. - dice Giulia con occhi sognanti. - Chissà che amore la tua Soreghina!

- Ah, proprio meravigliosa! - esclama Ulisse - Pur se forse non è mai esistita, pur se forse è solo una canzone. Ma vi voglio far vedere lo stesso la goccia di sole che mi ha dato per ricordo, anche se non risplende, anche se non serve a niente, anche se neppure voi mi potete credere.

Ulisse tira fuori dal tascapane una scatolina di legno nero e l'apre. Un improvviso, accecante fulgore riempie tutta la stanza.