Meno di un anno, più di una vita - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Meno di un anno, più di una vita

Tutte le edizioni > Edizione07
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

VII EDIZIONE - Treviso, 28 ottobre 2001
Secondo classificato
e Rosa d'Argento Manilla Bosi

Meno di un anno, più di una vita

di Rosa Romano Bettini - Legnano (MI)



...Nella vita non c'è una classe per principianti.
Da noi si pretende sempre il più difficile...
Rainer Maria Rilke

Era affannata e stravolta, poi si trovò davanti la bianca chiesetta del Pozzo.
Aveva corso, quanto aveva corso neppure lei lo sapeva. Aveva attraversato metà della valle, zigzagando tra gli alberi, scendendo e risalendo pendii, scavalcando scarpate. Dietro, sempre loro, i soldati tedeschi.
Con voci strozzate, appannate dalla birra e dall'alcool, gridavano parole che non eran parole, ma un'accozzaglia di suoni gutturali ed oscuri...
Entrò rapidamente e chiuse la porta. Doveva nascondersi in fretta, pensò. Qualche minuto e sarebbero entrati anche loro.
Si guardò attorno: non c’erano porte segrete, né nicchie, né possibili nascondigli. Così si distese per terra, ai piedi di un piccolo altare, protetta alla vista dalla balaustra.
Immobile, contratta in uno sforzo per lei troppo grande, cercò di allentare la paura e riprendere fiato.
Ma il cuore batteva forte. Lo sentiva fin sopra le tempie; avrebbe voluto fermarlo, non farlo vibrare, invece lui c’era e pulsava, le sollevava il petto acerbo, sconosciuto compagno a cui non era abituata. Non riusciva a calmarsi. Sopra di lei dominava il soffitto affrescato e solo a guardarlo rabbrividiva. Era una bolgia infernale, affollata di mostri, di belve inferocite e aggressive; un cenno e le sarebbero saltate addosso.
Avrebbe voluto girarsi, non guardare, ma, bloccata com’era, non riusciva neppure a muovere la mano. Chiuse gli occhi, poi li riaprì subito. Con gli occhi chiusi non avrebbe visto chi entrava. Durò qualche secondo, e le parve un’eternità, poi lentamente si conformò alla penombra e alle ombre, le figure grottesche si ammorbidirono, i loro tratti ferini si stemperarono nei delicati colori pastello della volta per trasformarsi pian piano in armoniosi beati che rendevano grazie alla Vergine Assunta.
Ora sentiva il suo cuore battere più lentamente e ogni battito faceva affiorare un avvenimento recente.
Erano tanti, e galleggiavano come libri già letti nella maremma della sua fanciullezza...
"Che stava accadendo?" si domandò. Meno di un anno e tutto era precipitato.
Meno di un anno... e chi le era amico era diventato un nemico temibile. Meno di un anno... e chi l'aveva adulata ora la guardava con sdegno. Meno di un anno e... non si sentiva più sicura di niente.
Desiderò avere vicino suo padre. Gli appariva perfetto, sia pure nel ricordo impreciso, capace e preparato per rispondere ad ogni domanda, autorevole al punto da rassicurare chiunque. Di lui non sapeva più nulla. Dov'era? Perché non tornava? Ormai stavano tornando tutti. Tutti, tranne i prigionieri e i morti.
Al solo pensiero che gli fosse successo qualcosa, un'apprensione convulsa le si infiltrò nelle ossa, nei denti, nel sangue, in quel sangue vergognoso ed oscuro che il mese prima aveva segnato la fine del suo esser bambina.
"Adesso sei donna, stai attenta, sai cosa intendo..." aveva detto sua madre.
Meno di un anno... e sua madre, da sempre timorosa e obbediente, s'era trasformata in un'altra persona. Forte, disciolta, libera quasi, tanto che, nonostante la pancia, passava spesso il confine per contrabbandare un po' di riso e farina. Quella pancia, ma perché ancora un figlio?
Le ronzavano le orecchie mentre pensava a suo padre, a sua madre, ai suoi fratelli, al cibo che iniziava a mancare, al freddo impietoso che stava per arrivare, ai tedeschi ubriachi e maneschi, agli spari dei traditori e traditi, alle offese. Sì, erano le offese che più di ogni altra cosa le facevano male. Fino all'anno prima erano tutti sorrisi. In paese, e anche a scuola, le compagne e le amiche la guardavano con fare ossequioso. "Suo padre appartiene ad un corpo speciale del duce" sussurravano tra loro in segno di stima. Ora invece, la guardavano con un certo imbarazzo, a volte fingevano di non vederla. Cos'era cambiato?
Lei era sempre la stessa, erano gli altri, era il mondo che non era più uguale.
La porta scricchiolò lentamente. Uno strofìnio di passi stentati, poi nulla. Girò appena la testa e intravide, tra le fitte colonnine della balaustra, il fondo scuro di una sottana. Non si mosse. La veste era rassicurante, ciò nonostante pensò fosse prudente non muoversi. Pochi istanti, poi il temuto schiamazzo. Entrarono agitandosi tutti insieme. Li fermò sulla porta la veste, e solo allora Mariella riconobbe la voce della vecchia Maria, nonna Maria per l'intero paese.
"Siete luridi miscredenti. Le porte del Paradiso si sono già chiuse per voi" urlava agitando le braccia ed il corpo per impedire ai tedeschi di oltrepassare la soglia. Ma i soldati erano troppo ubriachi. Le si avventarono contro e la trascinarono fuori. E lì nel chiaroscuro di un nuvoloso crepuscolo, la picchiarono a sangue. Poi, fieri e appagati, se ne andarono barcollando.
Nonna Maria, insanguinata gemeva sui sassi. Mariella le si avvicinò piano piano. Stava per vomitare, avrebbe voluto correre a cercare aiuto, piangere, urlare, avrebbe voluto... invece si inginocchiò vicino a nonna Maria e la chiamò sottovoce: "Come stai nonna?" le chiese. "Scappa, nasconditi": Rispose quest'ultima con un gemito acuto. Mariella restò lì e scosse il capo.
"No, io non vado, non posso andare, ho paura". "E invece devi farlo, ora, sono andati dall'altra parte, verso il passo della Forcora". "E tu? Non puoi restare qui, così insanguinata". "lo sono vecchia, ne ho passate di peggio. Non è nulla guarda, mi sto già alzando" continuò nonna Maria e con uno sforzo sovrumano tentò di mettersi a sedere.
La sera, intanto, scendeva pian piano. L’orizzonte ormai era una linea fumosa, contro cui si stagliavano le sagome scure degli alberi e dei costoni.
Sedute, davanti alla chiesa, in quella parte della valle dove ogni cosa sembrava stagnante, loro due, una donna matura e una nuova ragazza, tacevano, bloccate da un antico pudore.
Nonna Maria, il volto rigonfio, il labbro spaccato, di tanto in tanto chiudeva gli occhi e gemeva. Mariella, seduta al suo fianco, con un lembo del fazzoletto le tamponava il naso grondante di sangue, mentre uno, dieci, cento pensieri si divertivano a tormentarla. Pensava ancora a suo padre; si domandava dov'era. Di tanto in tanto la sorprendeva il timore che fosse cambiato anche lui, com'era cambiata sua madre, com'era cambiata la gente. Forte, troppo forte fu il desiderio di sentirlo vicino. Si aggrappò ai ricordi di un passato recente, di quando era ancora bambina e stava bene, ed era felice...
... Se crescere significa questo, pensò, molto meglio non crescere.
"Perché t'inseguivano?" domandò all'improvviso nonna Maria. "Non so... Ritornavo con Giuseppa, la capra, dal pascolo. Ad un tratto s'è udito uno sconquasso di voci, di grida, la capra, spaventata si è messa a correre, per paura di perderla io l'ho seguita fino a che non me li sono trovati davanti. Appena mi hanno vista si sono messi a gridare, uno tra loro ha riso, un altro mi ha indicato col braccio... Mi sono voltata e ho ripreso a correre. Non so neppure dove e come...”.
Raccontare le faceva bene. Liberava la paura e l'affanno, violava il silenzio opprimente, gravido di cose non dette. "Perché?, perché?, cosa sta succedendo?" domandò ancora, e questa volta a nonna Maria. Nonna Maria la guardò, con la mano tracciata di segni e di rughe, una per ogni dolore, le accarezzò lievemente le gote. "Non ci sono risposte semplici e brevi. E la vita... Nulla si può contro la vita. Arriveranno altri giorni e vedrai, saranno migliori..."
"No, non può essere questa la vita... E' tragedia, è pazzia". "Anche, ma è così. E si ripete da sempre. Io l'ho vissuta altre volte". "Tu?. Quando, e in che modo?" Mariella sapeva che su nonna Maria aleggiavano dicerie, leggende, ombre inquietate.
Spirò un soffio d'aria, insolito per la stagione ed il luogo. Nonna Maria contrasse il volto in uno spasmo, tentò d'avvolgersi lo scialle alle spalle e mosse il capo. Non desiderava parlare, tuttavia capì che doveva farlo.
"Ero già donna quando fuggii dai miei monti friulani e venni qui. Miei, non so quanto fossero miei, ci abitavo, questo si. Io, sono nata non so quando e neppure in che luogo, perché la mia famiglia girava in un carrozzone. "Carrozzone?" "Sì, carrozzone. I miei erano zingari. Si spostavano in continuazione, ma amavano soprattutto il confine tra la Jugoslavia e l'Italia, dove sostavano spesso perché, più che altrove, erano tollerati. La mia mente è stanca e appannata, ma conserva qualche ricordo di quella vita errabonda, immagini, colori, suoni, episodi confusi. Impossibile che io li abbia vissuti, mi dico talvolta, e allora mi figuro che siano soltanto dei sogni, fantasie ereditate da altri. Poi capisco che mi appartengono, che son dentro di me, scorrono con il mio sangue, colorano la mia pelle.
Avevo quattro anni, ho ancora davanti agli occhi la scena e credo che non la cancellerò più. Era notte, noi ed altre tre o quattro famiglie, eravamo accampati sul greto d'un fiume in secca. Avevamo mangiato e parlato a lungo, alcuni dei nostri avevano anche suonato il violino per ingraziarsi "Devèl". Ma qualcosa dovette ferire Devèl quella notte, qualcosa che non saprò mai.
Ci stavamo ritirando, ognuno nel proprio carrozzone, quando all'improvviso, uomini inferociti, sbucarono da dietro i monti, assalirono la carovana e arrestarono la mia gente. A nulla valsero grida, minacce e preghiere. Li trascinarono fuori dai carrozzoni, picchiandoli e deridendoli, li caricarono tutti insieme, come bestie destinate al macello e li portarono via. Nel carrozzone c'ero anch'io, nascosta da montagne di stracci; non mi videro e fu la mia salvezza..."
Nonna Maria tacque. Mariella si sentì fremere dentro. "E poi?". "Poi, fu come in una favola. Piansi per una notte intera rinchiusa nel carrozzone e l'indomani, alla prima luce dell'alba, uscii all'aperto e vagai senza meta. Incontrai Fines, una friulana del posto. La notizia dell'agguato si era divulgata in un baleno, non le ci volle molto per capire chi ero e da dove venivo, mi guardò, e senza dir nulla allargò le braccia verso di me: braccia grandi, avvolgenti, braccia che sapevano di latte e di viole.
Vissi con lei e la sua famiglia. Era gente devota, soprattutto il marito che mi insegnò il Vangelo e il latino; mi volevano bene e me lo dimostrarono accettandomi come una figlia, ma a un certo punto quel bene non mi bastò più.
Scoppiò la guerra, non questa, l'altra. Sui nostri monti arrivarono parecchi soldati. La maggior parte stava al fronte. Altri, un po' più all’interno, retrovie. Nascosti in piccoli gruppi, difendevano postazioni, facevano assalti veloci e imprevisti. Un gruppo arrivò anche da noi. La gente al paese li accolse con simpatia. Li aiutava, per quel che poteva. Anch'io lo facevo, e fu così che incontrai Giulio, un soldatino giovane e intimorito e mi innamorai a prima vista.
"E' stato il periodo più bello della mia vita. Si sparava, si moriva, si piangeva ogni giorno, e noi eravamo felici. Non è il tempo, né la storia, né ciò che ti circonda a regalarti il dolore e la gioia. Ti viene dall'anima, dalla capacità che hai di far vivere dentro te l'illusione d’eternità... L’amore è questo: vivere l'attimo come se fosse l'eternità". "Non credo all'amore, non esiste l'amore, anzi mi fa schifo l'idea..."
"Sciocchezze, ora non puoi capire... Mi batteva il cuore quando stavo con Giulio, mi batteva forte e ne avevo paura, perché capivo che tutto intorno a me era troppo. Troppa la gioia, l'emozione, la sensazione di pienezza che mi dava ogni cosa. Anche la guerra, nella sua crudele rappresentazione, mi riempiva di slanci e speranze.
Notti e giorni su e giù per i monti, a fare la guardia, a proteggere il niente, e parole, parole - terra e foglie rubate alle rocce - a riempire gli abissi del cuore, e la luce degli occhi, spicchi di sole a riscaldare le ossa, e carezze di fuoco, con le mani, la pelle, a penetrare le vene, a scavare febbrili nell'anima per trovare l'essenza di vita...
Mariella osservava nonna Maria che parlava. Rapita, ricordava la sua giovinezza e il suo amore. Le si erano illuminati il volto e il sorriso, nonostante il labbro rigonfio, il naso tumefatto e i suoi strani occhi,... uno verde, uno grigio, tutto di lei raccontava di antiche ed intense passioni. Altro che vecchia un po' matta, come si diceva in paese.
"Ho seguito Giulio fin qui, l'ho amato, lo amo anche adesso che se n'è andato. E sono contenta" diceva nonna Maria "Basta un'ora d'amore profondo a segnare una vita, a darle un senso di vissuto e compiuto...
"Dov'è ora Giulio?" "Chi lo sa, forse ad amare altri sogni, altre illusioni di eternità. E' sparito, saranno ormai sette anni, tu eri piccola, non puoi ricordare. Ne parlò il paese intero che gridò allo scandalo. Ma lui è più giovane, molto più giovane di me e non posso rimproverarlo per questo. Io sono rimasta qui, non sono tornata in Friuli. Montagne là, montagne quà, per un’anima zingara è già troppo restare. E poi sento che prima o poi tornerà, ora più che mai. Tornerà, tornerà presto". Parlava nonna Maria, parlava con profonda saggezza. Mariella ascoltava ed ogni parola era una benda che le fasciava ferite.
Ormai non si vedeva quasi più nulla. Frettolosa scendeva la sera e disponeva qua e là poche stelle annebbiate. "Sarà meglio tentare di andare" disse nonna Maria. "Ce la fai ad alzarti?" "Aiutami... Vedrò di farcela... L’importante è arrivare alla curva, là dove il sentiero imbocca la via che sale verso il paese".
Sorreggendosi, una col corpo l'altra con l'animo, le due donne si incamminarono verso la curva. "Sai una cosa?" confessò ad un tratto Mariella. "Io non potrò mai amare nessuno. Gli uomini mi fanno paura...” ”E' presto per dire queste cose..." "O forse no, un uomo potrei anche amarlo, se assomigliasse a mio padre". "Ti manca?" "Molto, e ogni giorno di più. La sera, quando chiudiamo la porta e ci sediamo a mangiare, la sua sedia vuota mi si para davanti, diventa un macigno, anzi un costone roccioso e, nonostante la fame, fatico a mandar giù i pochi bocconi. Lo so che è inutile, che non ha senso, che lui è sempre stato lontano, ma ora lo voglio qua. Ho bisogno di lui. Voglio essere come la Gina, la Carla, che non hanno paura perché il padre ce l'hanno vicino. Sono tornati tutti dal fronte, solo lui non è ancora tornato".
"Chissà, forse sta per tornare. Chi può dirlo?...” sussurrò a mezza voce nonna Maria. "E se fosse morto, ammazzato?" "Ve lo avrebbero detto, non credi?" "E se non tornasse perché è gravemente ferito, o prigioniero...?" "Non temere, tornerà. Devi solo aspettare... Come fai tu, che stai ancora aspettando il tuo Giulio?"
Erano arrivate alla curva.
Sulla strada, davanti a loro, un'ombra scura e ricurva si trascinava verso il paese. Un fagotto appoggiato alla spalla, passi stanchi, pesanti, era un uomo che stava tornando. Lo videro entrambe e nello stesso momento.
Il cuore di Mariella si mise a battere forte; anche il respiro di nonna Maria si fece affannoso. "Chi era? Da dove veniva? Che fosse Antonio? Che fosse Giulio?" Parlare, chiedere, domandare..., sarebbe stato semplice.
Ma non lo fecero. Sorreggendosi l'una all'altra continuarono a camminare.

Fissi gli occhi sull'uomo davanti, mute le voci, serrate le labbra, e ansia che freme e speranza che esplode e realtà senza veli e illusione che abbaglia e frastuono di guerra e silenzio che parla e preghiera che implora e canzone che vola, e acqua che scorre e sete che arde e gelo che stringe e fuoco che incendia e duro lavoro e pane che manca e morte che canta e vita che grida, e bagnarsi di sole e asciugare il sudore e giocare col tempo e lottare col vento, e andare lontano e restare nel cuore, e partire convinti e tornare più soli, e aspettare. Sempre.
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