Il bosco delle melodie perdute
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade
PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”XXVII EDIZIONEArcade, 8 gennaio 2022
Segnalato
Il bosco delle melodie perdute
di Giovanni Scanavacca - Lendinara (RO)
Storia di polifonia è questa… O meglio armonia di accordi in
libertà solo apparente, di dissonanze fugaci, di melodia in sottofondo e di
voce sola in risalto.
Di solisti e comprimari, di
orchestra e coro a trasformare un bozzetto in pittura dipingendo sulla tela
bianca del tempo un quadro che diventa messaggio, sfida infinita fra il ricordo
e l'oblio, la rievocazione e la storia, fra il silenzio e la melodia.
Di voce sola a trasformar
pensieri in canzone che si alza sopra l'orchestra o, meglio, corre parallela a
questa, la precede, la segue e la trascina cercando alleati negli strumenti per
costruire architetture ardite, per far scoprire nuovo l'antico e sempre vivo
motore di ogni canzone. Di amor vo parlando, sentimento potente e fragile,
scopo nobilissimo e dolce, fugace o perpetuo, abile a nascondersi o palesarsi
in infiniti modi.
-.-
"Si dice che, da queste
parti, nelle notti d'estate si senta al canto di una donna, 'l'innamorata' la
chiamano." Mi aveva detto un giorno un montanaro guardandomi fisso
"Perché me lo dici?"
Chiesi pensando che si stesse burlando di me.
"Perché non sei un
turista come gli altri. Basta guardarti. Tu sei uno che cerca. Forse non sai
neppure tu cosa, ma cerchi. Si vede distante un chilometro e qualcosa mi dice
che sarai tu a scoprire l'arcano."
"E perché dovrebbe
interessarmi il canto dell'innamorata?"
"Quello magari ti
interesserà poco. Ad attirarti di più sarà la risposta del suo amante."
"Eh?"
"Voce di violino che vaga
nel bosco a cercar cuori. Sarà quella a trovarti prima o poi."
Rimasi senza parole e non
riuscii a controbattere. Con quella specie di profezia in testa tornai a valle
e impiegai parecchio tempo prima di dimenticarmene.
-.-
Una busta ingiallita dal
tempo. Una delle migliaia da inviare al macero da quel deposito postale
destinato alla chiusura.
Tutte uguali o quasi,
frammenti di vite altrui, di ricordi, emozioni, sentimenti…
Tutte destinate all'oblio in
nome della privacy e del rispetto di mittenti e destinatari.
Eppure quella era riuscita ad
attrarre la mia attenzione.
Forse dipendeva dal colore che
ne tradiva l'età.
Forse era la forma.
Oppure era il suo ostinarsi a
non essere impilata occupando il minimo spazio.
Già forse fu proprio per
quello. Uno strano rigonfiamento che impediva di legarla stretta alle altre e
mi costrinse a toglierla dal mucchio e ad aprirla per ritrovarvi all'interno di
un cilindro di legno di sei millimetri di diametro per pochi centimetri di
lunghezza assieme a una lettera vergata con caratteri spigolosi e fittissimi
qua e là ormai illeggibili.
Il regolamento era chiaro:
distruggere tutto quanto rinvenuto nell'archivio.
La privacy aveva le sue
regole.
Però quella lettera pareva
voler far di tutto per non essere distrutta, per non finire nel nulla.
Trafugarla, in fondo, non era una grande infrazione.
Per questo decisi di cedere
alla curiosità, convinto che il tempo avesse già fatto gran parte del lavoro
preparatorio all'oblio e che, se anche avessi scoperto qualcosa probabilmente
gli interessati sarebbero stati morti da decenni.
Da lì a trovarmi coinvolto in
un mistero vecchio di un secolo il passo fu breve e l'enigma fu ingigantito
dall'inchiostro che, scolorito ovunque, a tratti diventava un segno appena
visibile e quasi indistinto come se le parole che gli erano state affidate si
fossero trasformate in sospiri lievi e impercettibili.
La lettera era per una donna.
Elena era il nome che si
poteva leggere all'inizio della missiva e forse era stato anche sulla busta
dove una macchia d'umidità l'aveva cancellato.
- 1917 El Milanin,
Duemila metri sul livello del
mare, -20°
Fa freddo quassù, quest'anno
l'inverno è rigido e questo già basterebbe. La quota fa il resto.
Temo il domani, ma che dico?
Temo l'oggi, anzi il prossimo minuto, il prossimo secondo.
Non c'è speranza nel mio
cuore.
Troppo sangue ho visto
scorrere, troppe vite ho visto rubare, troppe bombe ho sentito arrivare e poi
cadere ed esplodere.
Troppe urla strazianti, troppi
rantoli, troppi sospiri ho sentito spegnersi, troppi occhi ho visto chiudersi
per sempre.
La speranza mi ha abbandonato.
Non ho più la forza di
guardare l'orizzonte per cogliere il sorgere del sole con i suoi colori.
Prevalgono nei miei occhi il
rosso del sangue e il nero della morte e non so se e quando potrò riprendere ad
apprezzare tutti i colori dell'arcobaleno. Avrei bisogno di silenzio per
ascoltare il vento leggero, la bufera, il richiamo degli uccelli solitari e,
magari, in lontananza quello degli animali della notte. E invece anche quello
mi è stato tolto. -
Pensai molto dopo aver letto quelle
frasi.
C’era qualcosa di universale e
drammatico in quella lettera che non voleva rassegnarsi al silenzio.
Provai a parlarne con amici e
trovai risposte differenti, ma non esaustive. Fu Antonio a voler vedere la
lettera.
"Ti dovrai concentrare
ben bene per riuscire a decifrare il resto. Hai capito cos'è questa?" Mi
chiese tenendo in mano il tondino di abete che accompagnava la lettera.
"Sinceramente me lo sono
chiesto, ma non saprei. Una matita non è, altro non so."
"Te lo dico io. Questa è
l'anima di un violino. Cosa ci faccia lì non saprei. Di sicuro chi ce l'ha
messa avrà avuto le sue ragioni. Se non mi credi questo è l'indirizzo di un
liutaio mio amico. Vai da lui e chiedi conferma."
Rimasi perplesso però decisi
di seguire il suo consiglio.
Andai dal liutaio.
C'era in quella bottega con
sentore di antico. Fosse colpa della resina, delle vernici o delle colle non
era dato sapere. C'era e basta, tanto che mi è impossibile immaginare quel
luogo senza ricordarlo.
Il liutaio era un vecchio che pareva
uscito da un libro di favole.
"Sicché dovrei
confermarle che questa è l'anima di un violino?"
"Appunto."
"Confermo. Le basta o
vuole sapere altro?"
"Cos'altro dovrei
sapere?"
"Che è molto vecchia ed è
stata rimossa da una mano inesperta perché è leggermente danneggiata, sono
quasi sicuro che provenga da boschi italiani perché è di abete di ottima
qualità. Dove l'ha trovata?"
Glielo spiegai. Quello rimase
pensieroso.
"Quindi è un messaggio
nel messaggio."
"Cioè?"
"Solo un violinista lo
può capire. È l’anima che permette al violino di suonare, lì è racchiuso il
segreto dello strumento. Il violinista e il suo strumento spesso sono quasi una
cosa sola. Togliendola e portandosela dietro lo sconosciuto deve aver avuto
l’impressione di avere ancora il suo strumento. Spedirla per lettera a una
donna è un messaggio romantico e profondo. Significa dirle più o meno: - A te
regalo la mia anima. - Questo significa quel pezzettino di legno. Le auguro di
riuscire a capire chi sono i protagonisti. C’è molto amore in quel pezzetto di
legno."
Uscii da quella bottega con
una strana sensazione: mi pareva di aver fatto un passo avanti, ma non riuscivo
a capire in quale direzione.
Impiegai del tempo prima di
ricordarmi della strana predizione che il montanaro mi aveva fatto anni prima.
Tornai alla lettera con
l'intenzione di decifrarla fino in fondo.
Impiegai molto tempo per
leggere il resto della lettera consunto com'era.
Ci vollero giorni per capire
che quelli che mi erano sembrati segni incomprensibili altro non erano se non
accenni a un rigo musicale sul quale era segnata una melodia. All'inizio dei
versi sottostanti riuscii a leggere solo
"abeti" e
"armonici".
Solo allora cominciai a
pensare che la profezia del montanaro avesse un fondo di verità e capii di dover
tornare dove tutto era iniziato. Per questo tornai nel suo mondo.
Abeti secolari rivestivano il
fianco della montagna a perdita d'occhio lasciandone spuntare solo la cima di
roccia brulla, territorio di altre piante più piccole, ma più audaci e resistenti.
"Cosa vuoi da me,
straniero?" Fu la domanda che mi pose a bruciapelo.
Cercai di fargli ricordare ciò
che mi aveva detto anni prima: "Dicono che lei conosca meglio di tutti le
storie del bosco. Forse la melodia alla quale si riferiva mi ha trovato."
Quello mi guardò, anzi mi
squadrò da capo a piedi e poi, prima di riprendere a sgrossare con l'accetta un
tronco appena tagliato mi rispose: "E chi ti assicura che io abbia voglia
di parlare di queste cose?"
"Nessuno. Mi era parso di
aver capito che lei conoscesse la storia dell'innamorata e del suo
amante." Azzardai.
Quello parve non aver sentito
e continuò il suo lavoro.
Lo guardai per un po' senza
porre altre domande.
"Cosa ti pare?" Mi
chiese all'improvviso.
"Di cosa?"
"Di questo." Rispose
lui indicandomi il tronco.
"Non saprei… È un tronco
tagliato da poco…"
"Già… Quello lo capirebbe
anche un bambino."
"Cosa dovrei aver notato
in più?"
"Se non fossi uno
straniero sapresti che qui gli alberi suonano."
Lo guardai perplesso.
"Se non fossi straniero
avresti già notato che questo suona bene."
A me pareva solo di aver
sentito solo i colpi dell'accetta all'attaccatura dei rami. Tacqui.
"Se non fossi uno
straniero sapresti che non ti ho raccontato una favola. Invece hai in mano le
prove che si tratta di un fatto vero e non ci credi ancora. Voi, gente di
pianura, certe cose non le capite."
Poi, di colpo si fermò senza
riuscire a parlare. Capii che era successo qualcosa che lo stava coinvolgendo.
Decisi di aspettare. Passarono alcuni minuti durante i quali il mio interlocutore
si girò volgendomi le spalle. Intuii che stava piangendo.
Quando si girò pareva un'altra
persona: "Non chiedermi perché, ma l'avevo sentito che tu eri la persona
giusta, che tu mi avresti portato la risposta che cerco da tanto tempo.
Il violinista era mio nonno.
Partendo per il fronte aveva smontato l'anima del suo violino.
- Resterà muto per tutti, ma
non per te. - Aveva detto a mia nonna.
- Porterò con me la sua anima
per dedicarti la mia ogni giorno. Quando tornerò riprenderò a suonarlo. -
Non tornò mai. Disperso,
annientato, scomparso come chissà quanti altri.
Eppure ero sicuro che si
sarebbe rifatto vivo.
La cantante era mia nonna
Elena, è stata lei a trasmettermi questa certezza. La guerra li ha divisi per
sempre. Lui non ha più fatto ritorno e non si è mai saputo dove sia il suo
corpo. Lei lo ha sempre considerato vivo come se fosse nascosto da qualche
parte.
La musica li univa, per questo
lei ha cantato per lui per tutta la vita salendo in cima alla montagna convinta
che dall'altra parte del crinale il suo amore l'avrebbe sentita.
Quelli che conoscono la
montagna continuano a sentire il suo canto anche oggi e sanno che alla sua
canzone corrisponde sempre la risposta del violino che vaga nel bosco a cercare
il cuore giusto dove andare."
-.-
Rimasi di stucco, davvero io
avevo in mano una lettera indirizzata a Elena.
Con l'aiuto di un musicista
capimmo che quelli che avevo scambiato per caratteri semi cancellati dal tempo
altro non erano se non un tema per violino.
Solo dopo aver provato ad
eseguire quella melodia d'improvviso anche il testo divenne più chiaro e ci
fece scoprire una ballata nostalgica che diceva così:
"Musica dalla montagna.
Suoni dagli abeti giù per la
valle.
Mille armonici a rivelar una
melodia.
Triste è il mio silenzio
e l'anima mia vaga per i
ricordi.
Cerca la mia mente il luogo
delle armonie,
vana la mia ricerca di
melodia…"
E qui il testo si
interrompeva, ma non era stato cancellato dal tempo: era stato lasciato a metà
volutamente.
Nel foglio successivo la scrittura
era più comprensibile, forniva una chiave di lettura complessiva e poi si
trasformava in una specie di testamento.
"Troppa violenza mi
circonda, troppi ricordi mi assalgono.
Temo di non farcela.
Sono muto come il violino che
ho lasciato nella mia casa e del quale ho portato con me l'anima.
Speravo mi facesse compagnia e
mi ricordasse i tempi migliori.
Triste e muto la tengo in mano
e piango.
Andate, quando potrete, al di
là del crinale ove sta il bosco degli abeti armonici.
Andate là a perdervi nel
verde.
Andate ad ascoltare il respiro
del bosco.
Andate, se potrete, a cercare
le risonanze che arricchiscono gli strumenti solisti e le orchestre numerose.
E portate con voi i bambini:
fateli giocare con l'eco, fate che il vento disperda nella valle i loro gridi
trasformandoli in richiami di gioia.
E fateli poi riflettere.
Donate loro il vostro tempo.
Scoprirete poi di aver
trasmesso pensieri e idee.
E divertitevi con quelle come
fossero giocattoli.
Le troverete antiche e sempre
nuove.
E poi fermatevi a riflettere:
vi accorgerete di aver giocato con il sorriso di Dio."
Tornai sul monte per
consegnare la lettera all'erede legittimo, ma non lo trovai e nessuno seppe
darmi indicazioni.
Deluso mi avventurai nel bosco
senza una meta precisa e fu allora che udii nel vento una musica e su quella
una canzone:
"Amor ci unì, odio ci
divise.
Canto e piango pensando a te.
Sei nella rugiada che fa
scintillare le foglie degli alberi.
Sei nel vento che mi accarezza
il viso.
Sei nei raggi di sole che
bucano la volta verde del bosco.
Sei sempre con me.
Sei nei miei pensieri.
Tuo figlio ti conosce come se
fossi sempre stato qui.
Guardo lui e vedo te.
Tuoi sono i suoi occhi, tuo il
suo portamento, tuo il suo modo di ridere.
Gli ho insegnato a esser libero.
Ora pensa con la sua testa e
sa che le sue idee sono sorrisi di Dio."
Di colpo mi resi conto che la
melodia era quella che avevamo decifrato e le parole completavano la ballata
che là era stata lasciata a metà. Ebbi una specie di vertigine.
Mi riscossi convinto di avere
avuto un’allucinazione.
Alle mie spalle un piccolo
rumore.
Era il montanaro che avevo
cercato.
"Le ho portato la
lettera."
E lui:
"L'hai sentita anche tu,
vero?"
"Sì."
Ci abbracciammo e piangemmo
insieme.
Ora quel testo è inciso su una
stele affinché i viandanti nel bosco lo possano leggere.
Alla fine c’è una postilla:
"La melodia non è scritta
qui, la udrai se avrai pazienza e sensibilità.
E il testo non a caso si
conclude con dei puntini di sospensione.
Manca un verso: il tuo."